Il tema della riduzione del tempo di lavoro (RTL) emerge finalmente anche in Italia, per esempio nei programmi del M5S, della Alleanza Verdi Sinistra e della Unione popolare. Nel pensare e nel presentare l’argomento, però, occorrerebbe una «rivoluzione copernicana del tempo sociale». Si dovrebbe mettere l’accento sul tempo libero guadagnato, invece che sul tempo di lavoro evitato. Insomma: più aquiloni e meno tute blu. Le ore di lavoro salariato vanno ridotte per far fiorire la vita personale e di comunità, non (solo) perché «lavorare stanca» – e molto spesso uccide.

Per attuare questa «rivoluzione copernicana» occorre pensare e presentare anche in un solo «pacchetto» i parametri del tempo di lavoro e del suo reciproco, il tempo libero: le ore settimanali di lavoro salariato, i giorni di ferie e festivi, l’età del pensionamento. Sono essi che, tutti insieme, determinano una (ora inconsapevole) «politica del tempo» che copre tutta la durata di una vita. La nostra produttività è diventata così alta che potremmo esplicitamente permetterci di decidere dapprima quanto tempo libero vogliamo, e poi, nel tempo che ci resta, lavorare.

In Francia ho confrontato la implicita «politica del tempo» della maggioranza presidenziale con quella della sinistra (Nouvelle Union Populaire Ecologique et Sociale, NUPES) di Jean-Luc Mélenchon. La prima propugna il pensionamento a 65 anni (ora 62), le attuali 5 settimane di ferie, la settimana lavorativa di 35 ore (o di più). La NUPES, invece, propugna il pensionamento a 60 anni, una sesta settimana di ferie, meno eccezioni alla settimana lavorativa di 35 ore, con tendenza alle 32 ore. Con la NUPES, ho calcolato, si guadagnerebbero in media 20 000 ore di tempo liberato in una vita lavorativa.

È interessante confrontare le 20.000 ore in più di tempo liberato con il programma della NUPES con le 40.000 ore di lavoro in una vita che il grande economista francese Jean Fourastié prevedeva nel 1964 per l’anno 2000 (30 ore settimanali per 35 anni). Se durante i “Trenta gloriosi” (1945-1975) conteggiare le ore di lavoro nell’arco di una vita corrispondeva al contesto dell’epoca, ora sarebbe opportuno fare il contrario, ossia conteggiare e mettere in risalto la somma delle ore di tempo libero. Aritmeticamente è la stessa cosa. Ma l’inversione di questi due termini (lavoro e non-lavoro) sarebbe quella «rivoluzione copernicana del tempo sociale» che mi pare tanto necessaria.

Tuttavia, l’orgoglio di aver riportato sulla scena politica francese il nobile aggettivo «popolare» (Nouvelle Union Populaire Ecologique et Sociale) non deve nascondere la realtà: il «popolo» è diventato minoranza. Oggi, infatti, le classi sono definite sempre più da ciò che consumano, piuttosto che da ciò che producono. Per costruire un polo politico di sinistra maggioritario, non è più sufficiente cercare il sostegno delle vittime dell’ingiustizia e della miseria (pur ancora troppo diffuse).

Oggi è necessario riuscire ad attrarre anche quei cittadini che, pur vivendo in un certo agio materiale, soffrono di un malessere che non sempre sanno interpretare. La maggior parte di loro non sogna un «altro mondo» come evoca lo slogan della NUPES. Questo mondo gli basta. Vorrebbero solo avere il tempo per goderselo! La loro principale fonte di ansia è un’agenda piena, non uno stomaco vuoto! È anche su questa carenza di tempo che le sinistre ecologiche e sociali dovrebbero fare leva. Spetta a loro di offrire alternative di vita ai tanti che barattano la ricchezza di cose con la mancanza di tempo.

A metà del XIX secolo, quasi tutte le ore di un salariato (escluse quelle di sonno) erano occupate dal lavoro. Oggi il lavoro salariato occupa meno del 15% del mezzo milione di ore attive della nostra vita (senza contare il sonno). In Francia in 170 anni il tempo di lavoro dei salariati è diminuito da 3.100 ore a 1.400 ore, l’aspettativa media di vita è raddoppiata e la produzione di beni e servizi è aumentata spettacolarmente. Dal momento che l’enorme crescita della produttività ora ci permette di farlo, dovremmo mettere al primo posto una consapevole «politica del tempo».

Il nostro tempo di vita, infatti, è l’unica vera risorsa non rinnovabile. Abbiamo davvero bisogno di lavorare e produrre di più? Si sente ripetere: «Dobbiamo lavorare di più perché viviamo più a lungo». Invece è vero il contrario. Viviamo più a lungo anche perché lavoriamo meno. E anche: «Dobbiamo lavorare più a lungo per finanziare le pensioni».

Ma questo argomento è ecologicamente cieco, poiché l’aumento degli scambi immateriali (il denaro) causa l’aumento degli scambi materiali: miliardi di tonnellate di acqua, di materie prime, di esseri viventi, di manufatti, di rifiuti e di emissioni nocive. Mentre per gli scambi immateriali non ci sono limiti, per la produzione e la distruzione materiali i limiti esistono, eccome! Sono i cosiddetti «limiti planetari» oltre i quali la vita umana e quella sul Pianeta si degradano più rapidamente.

Ci manca davvero qualcosa? Forse siamo a corto di cibo? No! (nei paesi ricchi). Un terzo del cibo che buttiamo via è ancora buono e i nostri eccessi alimentari causano sovrappeso e malattie. Siamo a corto di vestiti? No. Non usiamo neanche metà dei nostri vestiti – e ogni anno ne compriamo ancora! Ci manca la plastica? No. Ne riempiamo gli oceani con decine di milioni di tonnellate. Ci mancano le auto? No! I nostri garage, le strade e i parcheggi ne sono pieni.

Non ci basta far parte dell’1% più ricco degli otto miliardi di persone sulla Terra? Ci manca ancora qualcosa? Sì. L’unica cosa che ci manca davvero è il tempo per vivere al di là del lavoro! Le riflessioni di Paul Lafargue e di André Gorz per invertire la priorità tra tempo di lavoro e tempo libero devono finalmente uscire dai circoli intellettuali e influenzare i programmi e i discorsi politici.

Se una sinistra ecologica e sociale vuole avere una chance di raccogliere un maggiore consenso in questa epoca di sovrapproduzione e di stress, essa deve mettere al centro del proprio discorso il tempo di vita, non il lavoro e il denaro. «Più vita per tutti!» dovrebbe diventare il suo motto.

MARCO MOROSINI

da il manifesto.it

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