In questi lunghi anni di traversata in mille deserti della rassegnazione ci siamo abituati a votare “contro” e in nome di una “utilità” del voto che veniva stabilita come tale se si indirizzava il consenso verso la coalizione o il candidato che fronteggiava le destre berlusconiane e fasciste.
In questi ultimi anni, poi, è cambiato qualcosa. Anzi, è cambiato molto nel panorama politico e sociale del Paese: Matteo Renzi ha scavalcato qualunque legge non scritta che, con una tradizione molto britannica, induceva a fare un percorso di un certo tipo prima di candidarsi alla guida di Palazzo Chigi.
La necessità di proteggere gli interessi dei grandi gruppi bancari prima, i dettami della Banca Centrale Europea poi, unitamente alla voglia di rivalsa di Confindustria dopo la inesorabile crisi del berlusconismo e di Forza Italia, hanno stravolto tradizioni, protocolli e dettami costituzionali: Giorgio Napolitano per primo ha infranto queste procedure e le più elementari norme scritte nella Carta del 1948 e ha prima imposto Mario Monti come proconsole tecnico – politico degli interessi di queste grandi concentrazioni di speculazioni finanziarie e poi, dopo la parentesi di Letta, ha trovato in Matteo Renzi l’energico giovane sindaco della seconda capitale d’Italia che poteva guidare l’Italia intera nel nome della rottamazione e di un presunto “rinnovamento” riformista.
Dopo un anno e mezzo ci troviamo ad avere un governo che ha completato l’opera di svilimento di ogni settore pubblico di una certa rilevanza sociale: pensioni, scuola, sanità, terzo settore e lavoro in generale.
Un governo, emanazione del PD e del Nuovo Centrodestra, che ha in disprezzo il sindacato e ne invoca uno unico come nei peggiori tempi della storia d’Italia; un governo che non intende dialogare con i lavoratori, che è rimasto invischiato nella protesta costante e uniforme in tutto il Paese in difesa di una scuola che rischia di avere dei presidi monarchi degli istituti da loro guidati, che rischia di incamminarsi ancora una volta di diventare la variabile dipendente dalle esigenze del profitto e del mercato.
Queste sono politiche di destra, che potrebbe fare tranquillamente qualunque governo a guida conservatrice e antioperaia, antisociale.
Questo è, in sostanza, un governo antisociale e quindi un governo che la sinistra vera (non quella evocata come marchio storico da parte dello stesso Renzi) deve combattere con tutte le sue forze e deve farlo ovunque le si presenti questa opportunità e necessità imprescindibile.
Le elezioni regionali sono alle porte e per la prima volta dopo tanti, tanti anni possiamo finalmente esprimerci senza avere paura che la vittoria del centrodestra voglia dire la sconfitta del progressismo: che vinca il PD o che vinca Forza Italia, le politiche regionali che saranno fatte in Liguria da Lella Paita, quanto in Veneto dalla Moretti o in Campania da De Luca (ammesso che riesca ad essere eletto nonostante la Legge Severino) sono politiche che traggono la loro primigenia ispirazione da quelle renziane e all’ispirazione antisociale del governo si ispireranno ogni giorno della legislatura.
Per questo è necessario iniziare anche nei territori a contrastare l’avanzata del liberismo renziano che non si fa scrupoli di chiedere sostegno ai più moderati sia di centro che di destra nell’assicurarsi delle maggioranze in stile “larghe intese” nazionali anche per le regioni che potrebbe andare a governare.
La Liguria è un test importante perché è l’unica regione dove la dissidenza dal e nel PD ha uno spessore non indifferente e dove la Rete a Sinistra, che candida Luca Pastorino alla presidenza, riunisce tutte le forze della sinistra: da Rifondazione Comunista a Sel, dai civatiani di Possibile ai comitati locali in difesa del territorio, dalla Fiom alla Comunità di San Benedetto al Porto. Una politica e una società diffuse, ampie che non fanno certo riferimento al complesso sistema di potere che ruota attorno al PD e che si aspetta da Paita e anche da Toti un perfetto continuismo con la gestione di Claudio Burlando.
Il renzismo, il liberismo sfrenato del governo centrale va sconfitto anche a partire dalla Ligura, dal Veneto, dalla Campania e da tutte le regioni e i comuni che vanno al voto in queste ore.
Parafrasando i fratelli Rosselli, e ben sapendo che l’autoritarismo dei mercati non è meno pericoloso di quello ispirato dalle grida di odio di Salvini, facciamo che queste parole diventino un programma politico che abbracci tutto il Paese: “Oggi in Liguria, domani in Italia”.
MARCO SFERINI
30 maggio 2015
foto tratta dal profilo Facebook di Rete a Sinistra Liguria