Per l’ennesima volta leggo sui quotidiani di oggi una intervista. A volte sono più stimolanti degli articoli di fondo, degli editoriali come questo: a domanda si risponde e sembra di assistere quasi ad una partita di tennis. Quant’anche il tennis a me non sia mai piaciuto molto, vedere una palla che si destreggia tra i colpi delle racchette e tra i movimenti degli atleti in gara è certamente più eccitante dello stare a guardare un monologo.
Pertanto, leggo l’intervista a Pierluigi Bersani su “La Stampa”. Apprendo dall’esponente di Articolo 1 che ci sarebbe in Italia bisogno di un nuovo 1968, di una rivolta generazionale quindi, per contrastare una deriva antisociale che si fa sempre più vasta, che travolge generazioni di giovani che si sono passivizzati (in larga parte) e che lo sono perché la rassegnazione ha prevalso sulla speranza del cambiamento.
Mi dico, con qualche perplessità circa il ruolo di Articolo 1 svolto sino ad ora in Parlamento: “Oh bene!”. Bersani dice una cosa giusta: bisogna cambiare nettamente passo, bisogna svoltare a sinistra, bisogna capovolgere ciò che oggi è invece “sostenibile”.
Poi scendo di alcune domande nella mia lettura e scopro che Articolo 1 ha ieri dato la fiducia al governo Gentiloni sul provvedimento riguardante le banche venete. Un provvedimento che ha fatto gridare vergogna persino ad eminenti quotidiani stranieri non certo tacciabili d’essere comunisti.
Da un lato dunque si fa riferimento al 1968, dall’altro si appoggia un governo che nega i valori del vecchio e anche di un nuovo ’68. O con la conservazione dei privilegi dei potentati economici o con la costruzione di una nuova coscienza di classe e magari, chissà, anche di una nuova rivolta generale e generazionale.
A chi devo credere? Al Bersani che rimpiange i “ribelli” o al Bersani che, pur tra differenze di posizioni interne, sposa alla fine la linea di Giuliano Pisapia che sollecita a non far cadere il governo?
Tutto per salvare ancora il Paese della “destre”? Per favore, abbiate rispetto della nostra intelligenza e non prendeteci così platealmente per il naso: quella misura votata con la fiducia per essere certi che passasse e votata anche da Articolo 1 è la negazione non tanto della ricreazione di una sinistra anche moderata nel Paese ma persino di un centrosinistra, diciamo così…, degno di questo nome!
Qui non siamo nemmeno nel paludoso terreno dell’ambiguità, qui siamo davanti ad una incertezza tutta nel solco della migliore collocazione politica possibile.
Quindi la domanda imprescindibile da farsi non può che essere questa: ma la costruzione delle decisioni politiche, quindi delle linee e dei programmi, è una variabile dipendente dalla possibilità di entrare o meno a far parte di un futuro governo del PD (renziano) o è invece una forma di autonomia in base alla quale si decide come schierarsi senza farsi influenzare dai rapporti di forza ampiamente dimostrati in questi ultimi anni?
Dopo aver finito di leggere l’intervista a Bersani, ho una certezza di avere un dubbio: non scioglierò mai questo enigma se non rassegnandomi. Come quei ragazzi che ascoltano le parole sul nuovo ’68 e poi assistono al voto di fiducia sul salvataggio degli istituti di credito con fondi che invece potrebbero essere destinati al salvataggio di precari, disoccupati e lavoratori di mezza età senza alcuna speranza. Loro, come qualcuno ha ben scritto tante volte, non sono una banca.
MARCO SFERINI
13 luglio 2017
foto tratta da Pixabay