Per carità! Il Parlamento è il luogo deputato appunto al dialogo, al confronto, alla polemica ed anche allo scontro. Tuto nei limiti non solo costituzionalmente previsti ma, ci si augurerebbe, anche in quelli della morale, della decenza e del rispetto reciproco. Se non altro personale.
A dire il vero non si registrano fatti incresciosi in questi giorni nell’aula della Camera dei Deputati. Sarebbe quasi stato meglio assistere a qualche turbolenza verbale in più invece che tornare ad essere spettatori di un indegno balletto di numeri sui “franchi tiratori”, di marce in avanti e retromarce sul testo della legge elettorale approvato in commissione, su giochi e giochetti, insomma, studiati per modificare le regole non in favore del principio di eguaglianza del voto bensì tirando la coperta ciascuno dalla propria parte, per favorire questo o quello scenario di voti che ci può trovare innanzi.
Brecht lo diceva a proposito del comunismo, che è “la cosa semplice che è difficile fare”; noi potremmo adattare questa citazione all’attuale calvario di riscrittura di una legge elettorale per il Paese.
Ma la strada facile, proprio come quella del comunismo, terrorizza molti, moltissimi: tutti quelli che non possono sopportare che la sovranità popolare, in fondo, sia veramente tale quanto meno quando si esprime nella scelta dei propri rappresentanti legalmente eletti. E “legalmente” è avverbio che dovrebbe essere sinonimo di “costituzionale”, quindi del trovarsi in presenza non di un insieme di regole tecnicamente complesse per eleggere il Parlamento, ma di quelle più semplici possibili che dal 1946 al 1993 hanno consentito, nel bene e nel male, di avere molti governi e di avere un Paese dove la maggioranza di governo si formava secondo Costituzione e dove l’opposizione faceva il suo sacrosanto mestiere.
Sovente, visto che tutto – almeno sul piano tecnico – funzionava, era proprio l’opposizione comunista che riusciva a prevalere sulle proposte della maggioranza pentapartitica e a far passare idee e progetti e poi leggi che non erano affatto nel programma del governo che sedeva a Palazzo Chigi.
Oggi, quando un governo deve far approvare una legge un po’ divisiva tra le forze politiche, ricorre spesso e volentieri o alla decretazione d’urgenza o alla fiducia così da ammansire i suoi stessi alleati e ricondurli a più miti consigli.
L’abuso che si è fatto, oltre a tanti altri, anche dello strumento della fiducia è una delle cartine di tornasole del perverso attorcigliamento della democrazia parlamentare in una democrazia governativa che ha tentato, infatti, negli ultimi anni di trasformare la Repubblica in un semipresidenzialismo con tendenze autoritarie, intendendo persino lo strumento referendario come una proforma, dando per scontato che il popolo italiano avrebbe seguito e obbedito ai voleri del capo in carica.
Invece, ogni tanto, il popolo si accorge delle prepotenze che subisce e reagisce seppur facendolo con punti di vista magari anche diametralmente opposti sul piano dell’interpretazione sociale e politica, ma comunque reagisce e boccia l’arroganza dei governi.
La ballata della legge elettorale potrà essere scritta a breve: basterà una chitarra buona e un buon cantautore per mostrare, come nei tempi antichi facevano i menestrelli di strada, che per licenziare in venti minuti le regole del gioco nell’elezione dei deputati dei senatori basta affidarsi al principio costituzionale dell’eguaglianza del voto: senza doppi pesi, senza sbarramenti, senza premi di maggioranza. Rischiando il dialogo, rischiando la polemica, rischiando il confronto, rischiando di non avere più la certezza di detenere, da soli, tutto il potere nell’asse pericolosamente costituito di guida del Parlamento da parte del governo e del governo stesso da parte di un unico partito.
Come abbiamo ripetuto più volte, l’unica legge elettorale che garantisca tutto questo e metta in crisi il sistema oligarchico che è sempre sull’uscio della porta governativa è il proporzionale puro, senza sbarramenti.
I collegi si dividono in base alla popolazione, si assegnano i numeri dei deputati da eleggere in base al criterio, sempre proporzionale, del numero di cittadini presenti su un territorio e si procede, senza alcun sbarramento, al voto.
Quando l’assegnazione dei seggi è terminata, si chiude la porta e chi non ha ottenuto voti sufficienti per poter entrare, resterà fuori dalla porta delle due aule ma, anche se escluso da lì, non dovrebbe mai esserlo dalla considerazione mediatica generale e dovrebbe essere sempre considerato comunque una voce di qualcuno che, pur avendolo votato, non può essere rappresentato alla Camera dei Deputati ed al Senato della Repubblica.
Invece questo sistema politico deteriorato dai personalismi e dai voleri delle banche che hanno individuato i candidati migliori per essere rappresentate e protette a Palazzo Chigi, non solo con sbarramenti fino all’8% e premi di maggioranza ha truccato le carte e ha impedito a milioni di cittadini di trovare voce in Parlamento, ma ha poi punito i vinti con l’esclusione pressoché totale dai dibattiti politici e culturali in televisione, sulle pagine dei giornali e persino su Internet.
Evidentemente esiste ancora la paura. La paura che certe idee avanzino, che una certa coscienza di classe riprenda piede e inizi a svilupparsi come autonoma forma di pensiero e di azione nella vita di ogni giorno.
Questa paura è e deve essere il programma politico delle comuniste e dei comunisti, della sinistra di alternativa. Tutto ciò che impaurisce le tre destre che stanno giocando alla formulazione di una nuova legge elettorale incostituzionale è un bene assoluto e va coltivato come elemento di scardinamento di questo sistema. Teniamone conto, valorizziamolo, facciamone le nostre bandiere.
MARCO SFERINI
8 giugno 2017
foto tratta da Pixabay