Si sta concludendo il ciclo del “dominio atlantico” e della “globalizzazione”?
I segnali, da tempo, ci stanno tutti: prima la crisi del 2008, poi il crescendo protezionista e le tensioni di potenza tra Stati Uniti, Cina e Russia.
Le vicende legate alla “via della seta” appaiono paradigmatiche di un nuovo quadro.
Alziamo lo sguardo dal provincialismo di casa nostra dove temi come questo sembrano essere oggetto soltanto di misere dispute intorno a un pugno di voti.
La guerra, s’intuisce, potrebbe non rappresentare più un’eventualità futuribile.
L’Europa è presa in mezzo in un gioco ambivalente ma nel quale l’Unione fa valere comunque i suoi poteri, la sua moneta, i suoi capitali: tutti fattori che non possono essere ignorati.
Quale eredità lascia, allora, l’ultimo ventennio?
La prima questione è quella del cosiddetto “ritorno alla Geografia”: l’idea dell’inesorabile dismissione del concetto di “Stato- Nazione” ha subito, almeno a mio giudizio, un fiero colpo
Questo primo punto richiama la necessità di rialzare la bandiera internazionalista nel rifiuto, secco e immediato, di qualsiasi tensione nazionalista. E’ questo un punto sul quale “indietro non si torna”!
La seconda questione è quella di una difficoltà evidente, nell’insieme delle relazioni economiche internazionali, del cosiddetto “multilateralismo” (cioè la stipula di accordi generali aperti a tutti i paesi su basi paritarie): una difficoltà che , nell’insieme di una complessità di altri fattori, ha certamente agevolato la vittoria di Trump, come segnale evidente di un mutamento del quadro.
Si evidenzia una nuova qualità nella contesa sui mercati: la Cina, ad esempio, si fa avanti in molti settori delle alte tecnologie e i segnali di contrasto su questo sono evidenti.
Si fa aspra la battaglia per sbarrare il passo ai nuovi campioni industriali e per ottenere l’apertura di nuovi mercati.
Tutto questo avviene nelle telecomunicazioni (esemplare il caso Huawei) e nel settore dell’auto dove si stanno realizzando colossali investimenti nell’elettrico, settore nel quale anche la Germania sta tentando un’offensiva.
Si potrebbe dire con una frase fatta che la Storia è al bivio.
Chi avrebbe detto che negli USA oggetto del contendere delle presidenziali sarebbe stato un muro da tirar su ai confini con il Messico?
Oppure che la Gran Bretagna si sarebbe impantanata senza soluzione nella Brexit?
Oppure che in Italia la segregazione degli immigrati regolari sarebbe stata esibita come pezzo pregiato della campagna elettorale?
E ancora, nello smarrimento di senso che sembra pervaderci il fatto che Twitter, Facebook, Instagram combinati coi salotti televisivi sarebbero divenute le piazze e le tribune della lotta politica imponendo i passaggi prima verso la “democrazia del pubblico” e successivamente verso la “democrazia recitativa”?
Chissà per quanto tempo resisterà la storia per far nascere un nuovo ordine durante una fase nella quale possono prevedersi crisi e tensioni micidiali.
Non si può assistere soltanto a tutto questo: occorre intervenire, organizzare la politica, in nome della nostra autonomia di soggetti colpiti dall’inasprirsi dei meccanismi di sfruttamento.
E’ l’inasprirsi delle condizioni di sfruttamento e il loro allargarsi al quadro complessivo delle contraddizione sociali il vero fenomeno emergente che indica come restino in piedi i fondamentali della lotta per l’uguaglianza e insieme per l’affermazione di una nuova qualità della rappresentanza democratica.
Il livello di scontro sociale sta facendosi molto più intenso e radicale: sfuggono i termini di possibili mediazioni.
La contrapposizione sul piano sociale, politico e culturale appare molto più netta, posta proprio sull’esposizione del sistema di valori.
La destra ha capito questo e sta interpretando i tempi: la sinistra appare in ritardo ferma a elucubrare formule vuote.
In Italia, nel ristretto ambito del nostro sistema politico, stiamo vivendo una fase di questo tipo.
Da parte nostra di quante/i si sento eredi e parte di quella che è stata la sinistra nelle sue diverse articolazioni storiche, sembra mancare una strategia di contrasto fondata sui valori dell’uguaglianza e della lotta allo sfruttamento.
Sembra perpetuarsi una sorta di sudditanza culturale al “politicismo”, come accaduto nel corso degli ultimi trent’anni alla parte politica autodefinitasi come “progressista”.
Si tratta di allora di tornare semplicemente a riconoscere i nostri fondamentali, le nostre insuperate basi teoriche come riferimento nella radicalità dello scontro in atto in quella che proprio si può considerare come una fase drammaticamente aperta.
FRANCO ASTENGO
30 marzo 2019
foto tratta da Pixabay