Non faccio giri di parole. È ormai abbastanza chiaro a tutti e non sono nemmeno il primo a scriverlo. Di fronte all’offensiva social populista di Berlusconi, e in parte di Grillo, la risposta del centrosinistra e del PD non sembra per niente all’altezza del problema. L’impressione è che l’immagine di se che il centrosinistra si è costruita con la fase vincente delle primarie stia ora – in dirittura di arrivo elettorale – diventando una sorta di armatura che blocca e irrigidisce. Se metà degli italiani poveri non vota (secondo un sondaggio Swg, di cui ha opportunamente dato notizia il Manifesto, l’area del non voto data al 30% sale al 45% per chi ha un reddito basso) c’è da fare attenzione alla capacità che ha di parlare a loro Berlusconi.
E invece la reazione alle sue, pur fantasiose uscite, è troppo imbarazzata e difensiva. C’è una questione sociale rinascente che affanna il Paese, tanti strati di popolazione, e che le politiche di austerità (innestate sulla confusa iniquità degli anni dei governi Berlusconi) hanno reso più stringente. Povertà e disoccupazione di massa ormai infestano l’intera Europa. Non è certo un caso che lo stesso Fondo Monetario Internazionale ha ipotizzato un cambiamento, nei modi e nei tempi, dei piani di risanamento dei bilanci pubblici. È il segno che è arrivato il tempo di un grande piano del lavoro (così come ipotizzato dalla Cgil). Eppure questa evidente realtà è abbastanza assente dai messaggi che oggi il centrosinistra lancia. Qui si potrebbe aprire la parentesi dolorosa di quanto sia negativo l’aver fallito, da entrambi i lati, l’integrazione dell’insieme delle sinistre nella responsabilizzazione di governo.
In un bell’articolo Barbara Spinelli ha detto che “Prodi aveva visto giusto a farlo, fu abbattuto ma la sua domanda non perde valore. Come fronteggiare la crisi se non si coinvolge il malcontento, compreso quello morale?” Ma tant’è le teste sono dure, chi da entrambi i lati ha fatto questa battaglia sappiamo l’ha perduta e adesso a questo siamo. Alla difficoltà evidente di mobilitare l’intero elettorato della sinistra si aggiunge il tasso di debole sensibilità sociale della coalizione. C’è come una sorta di ideologismo duro da ammorbidire che a questo punto può fare gravi danni. Che senso ha il sopracciglio inarcato di Visco o di Bersani di fronte alle lusinghe di Berlusconi sulle tasse? È proprio impossibile provare, con più efficacia e chiarezza, a coniugare insieme il tema dell’equità con quello delle regole? Se quella di Berlusconi sull’Imu è una fandonia, resta il nodo che una rimodulazione a vantaggio delle famiglie con reddito e immobile più modesto va fatta.
Se ai cittadini va spiegato che senza imposte mancano le risorse per patto di cittadinanza e welfare va anche prestato ascolto a quelli che versano in condizioni disagiate, senza alleviare le quali non ripartono i consumi. E allora piuttosto che limitarsi a respingere con toni infastiditi (e un po’ troppo aristocratici) la proposta del cavaliere non sarebbe meglio impegnarsi –come fa lui- a spiegare il merito e l’articolato della propria proposta alla quale pure a tratti si allude?
Lo stesso vale anche per il tema ancora più spinoso del condono. Se promettere, come fa di fatto Berlusconi, un regime di quasi illegalità (la stessa cosa in modo diverso un po’ fa Grillo) va respinto, perché però farsi dire dal Procuratore della Corte dei Conti –certo non sospetto di illegalità fiscale- che forse una riflessione sugli effetti che leggi possono avere sull’economia non è inutile? Del resto non è un mistero che parte cospicua del contenzioso all’Agenzia delle Entrate riguarda non tanto grandi evasori ma contestazione di regimi noti e spesso frutto di mancati pagamenti per difficoltà legate al reddito disponibile. Se dici ti riduco (forse) la pressione fiscale sul reddito da lavoro dipendente ma non ti poni il tema che quel lavoratore, specie nel Mezzogiorno, non riesce a pagare bollette e imposte, e che per questo ha accumulato un disavanzo, non gli fai una proposta che lo smuove.
Un approccio anche su questi temi meno ideologico e risentito e più attento alle difficoltà di famiglie e imprese offrirebbe meno varchi a Berlusconi e, al tempo stesso, determinerebbe il consenso necessario a una riforma fiscale più globale che redistribuisca dall’alto verso il basso gravando progressivamente sui redditi più alti. Così il Paese profondo, soprattutto quello fatto da cittadini con scarso reddito e bassi livelli di istruzione, ti sfugge, diventa ancor più sordo ai tuoi richiami. E diventa base di massa per le demagogiche campagne della destra. Non basta, per parlare “a questo Paese”, la mediazione sindacale. Esso in parte ne è fuori, e in ogni caso non vale più da tempo la corrispondenza tra condizione sociale e collocazione elettorale.
Difficile ormai a pochi giorni dalle urne trattare temi complessi, ma l’impressione è che i disagi della sinistra (tutta) in queste elezioni segnalino il deficit drammatico di conoscenza del Paese di cui da tempo ormai avvertiamo il peso. Spero di sbagliare ma vedo nubi abbastanza nere all’orizzonte. Il PD che era riuscito nei mesi scorsi a rendere evidente (pur appoggiando il governo Monti) un certo respiro critico dell’austerità europea, e il proprio intento a introdurre a quel livello un grimaldello, sembra ora paralizzato, come se fosse spaventato dalle responsabilità che lo attendono. Sel e Ingroia che arrancano sotto il peso delle proprie irrisolte relazioni e contraddizioni, formazioni entrambi troppo deboli e provvisorie per avere l’ambizione di mutare veramente il quadro. E Monti, che pure ha alle spalle il peso delle tecnostrutture europee e di una certa opinione internazionale, che sta dando di se l’immagine di un provincialismo rozzo. In questo quadro, nella confusione smarrita delle forze politicamente più mature, Berlusconi e Grillo, pur da versanti opposti, hanno riguadagnato la scena.
Se il Pd appare più in continuità con il quadro europeo di austerità di quando appoggiava Monti, se Monti ha sperperato quell’immagine di austera competenza che conservava anche quando i cittadini non ne condividevano le misure adottate, se le sinistre radicali –peraltro a differenza di allora oggi divise- non sono riuscite a superare la minorità e la confusione che già le portò alla debacle dell’Arcobaleno, non sorprende che Berlusconi e Grillo stiano ritrovando una centralità. Non so se possono vincere ma certo ormai sembrano avere a portata di mano l’obiettivo di rendere ingovernabile l’Italia. Anche dell’Europa, in questo contesto, occorrerebbe forse parlare in modo più chiaro. Che le due forze più ostili all’Europa stiano nel proscenio significa qualcosa. Forse non si è riusciti a rendere chiara l’intuizione politica di quella “piattaforma di Parigi” varata nei giorni della campagna vincente di Hollande. Se l’obiettivo era, ed è, riportare la politica al posto che le spetta, e che oggi hanno occupato finanza e tecnostrutture, devi rendere più esplicito che hai questo obiettivo, che vuoi –sia pure con il concorso di altre forze e Paesi- modificare gli indirizzi economici e la struttura istituzionale stessa dell’Unione. Se il messaggio è troppo blando il rischio è che il vessillo dell’autonomia della politica e della Nazione rispetto all’Europa (e alla Germania “cattiva”) venga impugnata dai populisti in lizza.
A poco servirà poi il prevedibile giudizio severo dell’Europa. Per una volta si è potuto usarlo pur di cacciare il cavaliere dal governo, se qualcuno volesse ripetere la cosa starebbe pensando non ad una ipotesi politica seria ma ad una frattura irrimediabile tra i ceti deboli e la democrazia. So bene che la strada è stretta, strettissima. Che la preoccupazione per il comportamento dei mercati in un sistema interdipendente è un nodo vero, che non sta nel cielo della finanza ma riguarda stipendi pubblici, pensioni, risparmi, conti correnti e anche risorse aggiuntive per finanziare servizi sociali del Paese. Nessun soggetto diverso dal centrosinistra ha oggi la possibilità di provare a fare un tentativo. Ma è chiaro che, in queste ore che ancora ci separano dal voto, se non prende forma una proposta davvero riformatrice, che almeno faccia immaginare al Paese una prospettiva di ristoro sociale e di ripresa, il pericolo di crisi e di disgregazione rischia di diventare elevato.
VITO NOCERA
redazionale