Negli anni settanta, mentre andava delineandosi la New Hollywood e si affacciavano sul grande schermo talenti unici come George Lucas e Steven Spielberg, i produttori statunitensi, da sempre interessati ad attirare nella propria orbita autori del vecchio continente, erano alla ricerca di giovani registi europei. Uno su tutti veniva considerato il più grande del suo tempo i cui film, Partner (1968), Strategia del ragno (1970) e Il conformista (1970), erano diventati autentici cult movie delle nuove generazioni e del cinema off-Hollywood. Quel regista era ovviamente Bernardo Bertolucci che divenne in breve periodo uno dei cineasti europei più amati negli USA, capace di attirare capitali stranieri per i suoi progetti, caso piuttosto raro tra i registi italiani. Le polemiche legate al successivo Ultimo tango a Parigi (1972), il film più censurato della storia, rafforzarono lo status di grande regista per Bertolucci che, quattro anni dopo, realizzò Novecento.
Bertolucci (Parma, 16 marzo 1941 – Roma, 26 novembre 2018) dopo essere stato collaboratore di Pier Paolo Pasolini in Accattone (1961), scelse di seguire una sua personale idea di cinema basata sull’identità dei singoli e sul loro relazionarsi ai mutamenti che la storia impone. Storia che era già affiorata nei precedenti lavori che avevano unito l’impegno politico al “gusto del bello” (basti pensare all’elegante fotografia di Vittorio Storaro, che Francis Ford Coppola volle per Apocalypse Now). Un’unione che aveva attirato non poche critiche. Jean-Luc Godard, ad esempio, vide ne Il conformista un tradimento dell’impegno, e in un bar di Parigi consegnò a Bertolucci un foglio, raffigurante il Presidente Mao, su cui c’era scritto “Bisogna combattere l’imperialismo e il capitalismo”.
Incurante Bertolucci continuò con il suo cinema e iniziò a lavorare, insieme al fratello Giuseppe (Parma, 27 febbraio 1947 – Diso, 16 giugno 2012) e all’amico Franco “Kim” Arcalli (Roma, 13 marzo 1929 – Roma, 24 febbraio 1978) ad un progetto ambizioso: raccontare la storia d’Italia dal 1900 alla Liberazione, mezzo secolo tra lotta di classe e sentimenti. Forte del successo di Ultimo tango a Parigi, Bertolucci riuscì ad ottenere oltre dieci miliardi di lire, cifra allora record per il cinema italiano, da Paramount, Fox e United Artists per la realizzazione di Novecento. Dopo tre anni di lavorazione e undici mesi di riprese la pellicola fu pronta.
Il 27 gennaio 1900 (anche se nel film si fa riferimento alla morte di Giuseppe Verdi avvenuta, tuttavia, nel 1901) in una paese della pianura emiliana nascono, a pochi minuti di distanza, Alfredo Berlinghieri (Paolo Pavesi da bambino, Robert De Niro da adulto) e Olmo Dalcò (Roberto Maccanti da bambino, Gérard Depardieu da adulto), festeggiati dai nonni Alfredo Berlinghieri (Burt Lancaster) patriarca di una ricca famiglia di proprietari terrieri e Leo Dalcò (Sterling Hayden) capostipite della numerosa famiglia contadina che lavora proprio per i Berlinghieri. I due giovani crescono insieme nonostante gli avvenimenti scavino un fossato sempre più profondo tra padroni e contadini. L’adolescenza cementa la loro amicizia, ma la differenza di classe fa prendere strade diverse sia durante il servizio militare nella Prima Guerra Mondiale, sia con l’avvento del Fascimo. Se Alfredo, dopo il suicidio del nonno e la prematura scomparsa del padre Giovanni (Romolo Valli), diventa il padrone e tollera lo squadrismo delle camice nere e la presenza dal feroce fattore Attila Melanchini (Donald Sutherland) amante della cugina Regina (Laura Betti), Olmo lotta contro i fascisti e si allontana dal paese, accusato ingiustamente di omicidio, per evitare rappresaglie. Diverse anche le vite sentimentali dei protagonisti, Olmo si innamora di Anita Furlan (Stefania Sandrelli) una fervente socialista che morirà mettendo al mondo la figlia (Anna Henkel), mentre Alfredo sposa l’irrequieta Ada Fiastri Paulhan (Dominique Sanda) amica dell’eccentrico e omosessuale zio Ottavio (Werner Bruhns), ma la debolezza di Alfredo di fronte alla crescente violenza degli squadristi porterà i due alla separazione. Alla Liberazione Olmo, dopo aver subito la repressione fascista, guida i contadini alla riscossa contro il vecchio amico, mentre Attila e Regina, infanticidi e pluriomicidi, vengono travolti dalla rabbia popolare. Alfredo sarà simbolicamente condannato a morte, ma l’amicizia tra lui e Olmo resisterà.
Novecento fu un grande affresco della recente storia italiana (alcuni lo paragonarono a Via col vento) in cui il microcosmo dell’azienda agricola della famiglia Berlinghieri, dove si fa l’amore sul fieno, si squarta un maiale, si uccide, si nasce e si muore sempre in sintonia col ritmo delle stagioni, riflette perfettamente i cambiamenti epocali che avvengono altrove.
Una pellicola faraonica sia per la vastità delle ambizioni artistiche e sociali sia per la lunghezza. La prima versione di Novecento, che inizia e termina circolarmente il 25 aprile 1945, durava ben 6 ore e un quarto. Troppo per i produttori, che imposero una riduzione. Il compromesso venne trovato per una seconda versione di cinque ore e mezzo, quella ancora oggi distribuita in Italia, divisa per volere del produttore Alberto Grimaldi (Napoli, 28 marzo 1925) in due parti: Novecento – Atto primo e Novecento – Atto secondo. Bertolucci accettò l’idea ben sapendo che quello sarebbe stato l’unico modo per far giungere il film nelle sale italiane senza ulteriori tagli. La pellicola venne così presentata fuori concorso alla 29ª edizione del Festival di Cannes e successivamente alla Biennale di Venezia.
Parallelamente Grimaldi, all’insaputa del regista, lavorò ad una versione ancora più breve, tre ore e un quarto, da proiettare nei cinema americani. Bertolucci non appena saputa la “novità”, si infuriò e iniziò a lavorare ad una pellicola di quattro ore e quaranta, che tuttavia non accontentò le richieste delle “majors” americane che avevano finanziato il film. La vicenda finì in tribunale. Il magistrato, dopo aver assistito ad oltre 13 ore di proiezione, invitò il regista a conciliare le proprie esigenze con quelle del mercato americano. Bertolucci iniziò così a lavorare ad una nuova versione rimontando tutte le scene senza eliminarne alcuna, dando alla pellicola un ritmo più serrato, grazie all’aiuto del montatore con Franco “Kim” Arcalli. Alla fine venne confezionata una versione da quattro ore che fu presentata al Festival di New York. I critici americani che avevano apprezzato la pellicola nella versione integrale non gradirono i tagli, ma quella versione venne ugualmente distribuita dalla Paramount e, senza un’adeguata campagna promozionale, fu un insuccesso. Per Bertolucci si trattò di un sabotaggio, ma quella vicenda legata alla lunghezza di Novecento, affiancò il film al grande capolavoro “mutilato” di Erich von Stroheim, Greed (1924). Nonostante i tagli, quello di Bertolucci rimane ad oggi il più lungo film italiano di sempre.
Tornando a Novecento, nella prima parte il regista riuscì a fondere meglio le esigenze hollywoodiane all’impegno ideologico (oltre all’impostazione generale, da segnalare il riconoscimento del ruolo, troppo spesso dimenticato, delle donne nella lotta al Fascismo, e la sudditanza della borghesia italiana, preoccupata dal “pericolo rosso”, davanti all’avanzata della dittatura). “[…] i due personaggi più convincenti di Novecento – Atto primo sono quelli dei due patriarchi, più lontani degli altri dalla Storia e dalla Retorica: Burt Lancaster e Sterling Hayden, perfetti nella parte di Alfredo Berlinghieri e Leo Dalcò” (Mereghetti). Novecento – Atto secondo, invece, risentì maggiormente del fatto che il film fosse stato pensato come un unicum e Bertolucci scivolò sempre più nel melodramma.
La pellicola fu arricchita dalla fotografia di Vittorio Storaro (Roma, 24 giugno 1940) in seguito premio Oscar per Apocalypse Now, Reds e L’ultimo imperatore e dalle musiche di Ennio Morricone (Roma, 10 novembre 1928), indimenticabili le note del tema principale che scorrono con i titoli di testa su Il quarto stato di Giuseppe Pellizza da Volpedo.
A contribuire alla riuscita del film fu anche il cast stellare. Dopo il successo di Ultimo Tango a Parigi, Bertolucci, per sua stessa ammissione, era convinto che il cinema potesse cambiare il mondo, erano gli anni della “guerra fredda”, pertanto decise di affidare i ruoli dei due protagonisti ad uno statunitense e ad un sovietico. Per il ruolo di Alfredo Berlinghieri venne preso in considerazione Harvey Keitel, ma il regista gli preferì Robert De Niro (New York, 17 agosto 1943), per il suo aspetto più borghese. L’attore era reduce dai trionfi de The Godfather Part II (Il padrino – Parte II, 1974) di Francis Ford Coppola, film che lo aveva portato ad aggiudicarsi l’Oscar come Miglior attore non protagonista, e Taxi Driver (1976) di Martin Scorsese. Il soggiorno italiano per le riprese di Novecento rappresentò, inoltre, per De Niro un ritorno alle origini. L’attore, infatti, durante una pausa della lavorazione del film, lasciò le nebbie della pianura padana per andare a visitare Ferrazzano in Molise, da dove era partito il nonno Giovanni Di Niro (che per una questione di pronuncia fu trascritto come “De Niro”) alla volta degli USA. Non casualmente quindi, dopo le Elezioni presidenziali del novembre 2016, l’attore affermò: “Con la vittoria di Trump probabilmente dovrò trasferirmi in Molise”.
L’ipotesi di un attore sovietico, invece, fu presto scartata e Bertolucci decise di puntare sul francese Gérard Depardieu (Châteauroux, 27 dicembre 1948) che aveva all’attivo film quali La scoumoune (Il clan dei marsigliesi, 1972) di José Giovanni con Jean-Paul Belmondo e Claudia Cardinale e La Dernière Femme (L’ultima donna, 1976) di Marco Ferreri al fianco di Ornella Muti. Oggi, ironia della sorte, Depardieu vive nella Russia di Putin, ma all’epoca finanziava il Parti Communiste Français (Partito Comunista Francese, PCF). Perfetto quindi per Olmo.
I due patriarchi delle rispettive famiglie furono semplicemente straordinari. Burt Lancaster (New York, 2 novembre 1913 – Los Angeles, 20 ottobre 1994), uno dei più grandi attori di sempre, recitò tra gli altri in Gunfight at the O.K. Corral (Sfida all’O.K. Corral, 1957) di John Sturges, Elmer Gantry (Il figlio di Giuda, 1960) di Richard Brooks che gli valse l’Oscar come Miglior attore e Il Gattopardo (1963) di Luchino Visconti. La sua interpretazione in Novecento fu un regalo al regista, Lancaster, infatti, non volle essere pagato.
Perfetto fu anche Sterling Hayden, che comunista lo era davvero. Protagonista di The Asphalt Jungle (Giungla d’asfalto, 1950) di John Huston, di The Killing (Rapina a mano armata, 1956) e Dr. Strangelove or: How I Learned to Stop Worrying and Love the Bomb (Il dottor Stranamore – Ovvero: come ho imparato a non preoccuparmi e ad amare la bomba, 1964) entrambi diretti da Stanley Kubrick, incontrò Bertolucci durante una delle sue “fughe” in Europa. Hayden era molto nervoso all’idea di dover lavorare con Lancaster (“Tremo all’idea di incontrare Lancaster, è un uomo tutto d’un pezzo, troppo per bene, per me”), giunse da Roma a Parma su una vecchissima moto Triumph e prima di ogni ciak si sdraiava sotto un albero per farsi una canna. Nonostante le paure e le reali differenze, la combinazione tra Leo Dalcò e Alfredo Berlinghieri fu davvero magica.
Non meno importanti i ruoli femminili. Stefania Sandrelli (Viareggio, 5 giugno 1946), che aveva già recitato per Bertolucci in Partner e ne Il conformista, in Novecento diede il volto alla maestra socialista Anita Furlan. Dominique Sanda (Parigi, 11 marzo 1951) che nel 1976 aveva già all’attivo collaborazioni con Robert Bresson, Vittorio De Sica, John Huston, Luchino Visconti e lo stesso Bernardo Bertolucci, interpretò l’irrequieta Ada. Francesca Bertini (Firenze, 5 gennaio 1892 – Roma, 13 ottobre 1985) diva assoluta del cinema muto italiano, basti pensare ad Assunta Spina (1915) diretto da Gustavo Serena, divenne suor Desolata, la sorella di Aldredo Berlinghieri.
Parte piccola, ma importante anche per Liù Bosisio (Milano, 30 gennaio 1936) elengate attrice teatrale e cinematografica, ricordata prevalentemente per aver interpretato Pina Fantozzi, nel film di Bertolucci fu Nella Dalcò. Alida Valli (Pola, 31 maggio 1921 – Roma, 22 aprile 2006), attrice censurata dal regime fascista, interpretò Ida Cantarelli Pioppi, uccisa proprio dalle camice nere. Laura Betti (Casalecchio di Reno, 1 maggio 1927 – Roma, 31 luglio 2004), musa di Pier Paolo Pasolini, divenne la sadica cugina di Alfredo Berlinghieri, nonché amante del fascista Attila che venne interpretato da Donald Sutherland (Saint John, 17 luglio 1935) già protagonista di The Dirty Dozen (Quella sporca dozzina, 1967) di Robert Aldrich, M*A*S*H (1970) di Robert Altman e Johnny Got His Gun (E Johnny prese il fucile, 1971) scritto e diretto dal comunista Dalton Trumbo. Infine Romolo Valli (Reggio nell’Emilia, 7 febbraio 1925 – Roma, 1 febbraio 1980) nel film di Bertolucci divenne Giovanni Berlinghieri. Da segnalare, inoltre, che vennero anche ipotizzati Maria Schneider e Orson Welles.
Per la crudezza di alcune scene il film finì nelle maglie della censura. Novecento venne pertanto sequestrato per oscenità e blasfemia dal Pretore di Salerno nel settembre del 1976 tre i passaggi critici: la scena di pedofilia perpetrata da Attila ai danni di un ragazzino, la bestemmia in dialetto esclamata dal contadino Demesio e soprattutto la scena del sesso a tre tra Olmo, Alfredo e la prostituta Neve (Stefania Cassini, attrice e prima presentatrice donna del Festival di San Remo nel 1978 al fianco del capo del Movimento 5 Stelle Beppe Grillo). Pochi giorni dopo il film venne dissequestrato dal Sostituto Procuratore di Bolzano rimesso in circolazione.
Durante la lavorazione di Novecento il regista Gianni Amelio (San Pietro di Magisano, 20 gennaio 1945) girò il documentario per la TV Bertolucci secondo il cinema in cui, oltre al lavoro per la realizzazione del film, affiorano momenti più intimi, come l’autoritratto di Sterling Hayden lungo il fiume e le conversazioni sul cinema con Bernardo Bertolucci. Sempre durante le riprese la troupe del film di Bertolucci sfidò più volte a calcio la troupe del film Salò o le 120 giornate di Sodoma, che Pier Paolo Pasolini stava girando nelle vicinanze. Pasolini venne ucciso il 2 novembre 1975.
Per anni Bernanrdo Bertolucci covò il sogno di realizzate un terzo atto, raccontando la storia italiana nel dopoguerra, ma alla fine rinunciò poiché, anche a seguito dell’assassinio di Pasolini e della morte di Aldo Moro, non trovò più quel trasporto e il sogno finì.
Novecento riuscì a raccontare la lotta di classe in Italia in chiave antipadronale, ma nonostante l’impegno ideologico, ricevette aspre critica da sinistra. Diversi intellettuali, infatti, vedevano nell’opera di Bertolucci una commercializzazione della lotta di classe e della Resistenza. Il quotidiano “Paese sera” organizzò un proiezione dibattito cui parteciparono lo storico Paolo Spriano e il partigiano e deputato PCI Giancarlo Pajetta. Nell’intervallo tra il primo e il secondo atto, Pajetta si avvicinò commosso a Bertolucci e gli confidò che considerava il fim straordinario. Alla fine della seconda parte, però, sentenziò “E’ un falso storico. Non c’è mai stato un processo ai padroni” ed era talmente indignato che voleva andarsene. Bertolucci ribatté “Certo, il processo non c’è mai stato, ma questo è un film, è finzione, e racconta una grande utopia”, non una ricostruzione storica, ma una specie di sogno in cui tutto viene avvolto da un’enorme bandiera rossa. Grazie a quel sogno, la Paramount, la United Artist e la 20th Century Fox pagarono la più grande bandiera rossa mai vista al cinema che ancora oggi, in tempo di cupo revisionismo storico, ci fa gridare ORA E SEMPRE RESISTENZA!
redazionale
Bibliografia
“Dizionario del cinema italiano” di Fernaldo Di Giammatteo – Editori Riuniti
“Il Mereghetti. Dizionario dei film 2017” di Paolo Mereghetti – Baldini & Castoldi
Immagini tratte da
Immagine in evidenza, foto 2, 3, 4, 5, 6, 8, 9, 10, 11, 12, 13 Screenshot del film Novecento, foto 1, 7 da it.wikipedia.org