l movimento femminista «Non una di meno», una delle più significative novità della politica italiana, torna oggi a sfilare in 40 città in occasionedello sciopero globale delle donne dell’otto marzo. Da Roma (ore 17 da Piazza Vittorio) a Milano (due cortei: 9,30 Largo Cairoli; 18 piazza Duca d’Aosta), e poi Torino e Bologna, Bari, Salerno, Reggio Calabria, tutta la penisola sarà invasa da quella che si è definita una «marea».
«MAREA» è un concetto molto preciso che indica l’espansione, e l’imprendibilità di un movimento con le forme tradizionali del «politico» e della «rappresentanza». «Marea» è, in sé, la forma della potenza, elemento primario della politica.
«Scioperare è una grande sfida perché ci scontriamo con il ricatto del lavoro precario o del permesso di soggiorno – affermano le attiviste – Scioperare può sembrare impossibile quando siamo isolate e divise e sappiamo che il diritto di sciopero subisce quotidiane restrizioni». Come quella che oggi impedirà a diverse categorie di lavoratori di aderire allo sciopero a causa delle limitazioni imposte dalle franchigie elettorali che impediscono di incrociare le braccia nei cinque giorni che hanno seguito il voto di domenica scorsa.
Contro queste difficoltà la spinta di questo movimento non si è fermata. Alla giornata globale, e italiana, di sciopero hanno aderito tra gli altri Greenpeace e l’Arci, e poi Usb, Slai Cobas, Usi e Usi-Ait. I sindacati di base hanno indetto un’astensione generale nazionale di 24 ore nel lavoro pubblico e in quello privato. Parliamo di trasporto pubblico locale, treni, aerei, scuole e uffici. La saldatura con il sindacalismo è decisiva, e non è stata priva di difficoltà. In occasione dell’8 marzo dell’anno scorso ci sono state polemiche sia con la Cgil che altri sindacati di base. Ma il movimento va avanti: «Di fronte alla più grande insorgenza globale delle donne i sindacati dovrebbero cogliere questa occasione prendendo parte al processo che combatte la violenza maschile e di genere. Sono queste le condizioni della precarizzazione del lavoro».
Oggi molti ambienti di lavoro saranno coinvolti dalle tematiche femministe: il piano contro la violenza maschile, un documento di 57 pagine, un’elaborazione collettiva durata mesi, un testo di spessore teorico e pratico notevole. Lo sciopero femminista è dunque più ampio dello specifico, certamente necessario, «sindacale». La lotta si svolge dentro e fuori il luogo di lavoro, dentro e fuori i rapporti di lavoro precari e intermittenti. Investe l’intera soggettività femminile, e maschile, sia quella impegnata nella produzione che quella della riproduzione. «Sovvertiamo le gerarchie sessuali. le norme di genere, i ruoli sociali imposti, i rapporti di potere che generano molestie e violenze». Qui la critica ai rapporti di produzione e immanente a quella delle forme di vita incastrate nelle culture patriarcali, autoritarie, razziste. securitarie.
La rivendicazione centrale del movimento è «il reddito di autodeterminazione», indipendente dal lavoro e dal permesso di soggiorno. Questo reddito è accompagnato dalla rivendicazione di un salario minimo europeo e un welfare «universale, garantito, accessibile». L’obiettivo: garantire autonomia e libertà «sui nostri corpi e sulle nostre vite. Vogliamo essere libere di muoverci».
Gli snodi locali di «Non una di meno», numerosissimi come i video e i documenti che girano in rete, hanno elaborato nei loro comunicati piccole inchieste sulla realtà del lavoro, e del non lavoro, oggi. Si denunciano le molestie sessuali sul lavoro, l’enorme disparità retributiva che penalizza le donne, in particolare al Sud. Secondo lo Svimez nel Mezzogiorno una donna (laureata) guadagna 300 euro medi in meno rispetto a un uomo. È una realtà comune, frutto di un sistema. Per questo è necessario una generalizzazione del movimento. Una convinzione che lo ha spinto a «passare dalla denuncia individuale del #metoo alla forza collettiva del #wetoogether bloccando lavoro produttivo e riproduttivo, retribuito o gratuito».
ROBERTO CICCARELLI
foto tratta dalla pagina Facebook di “Non una di meno”