La caduta di Renzi pare ormai senza scampo. E però evocare i fantasmi di Weimar per spiegare la complessa fase attuale non è consigliabile. Il tripolarismo, che nelle ultime elezioni aveva rotto il quadro ventennale della competizione, non c’è più. È crollata anche la cornice di disordine che la rivolta del 2013 aveva determinato. Nel disfacimento del sistema politico si apre un processo di imprevedibile dislocazione delle forze. Ma non si vedono inimicizie assolute che spingono verso la militarizzazione dello scontro.
Rispetto ad altri regimi in cui opera una contrapposizione popolo-élite, sopra-sotto, o si presenta una radicalizzazione nel segno destra-sinistra l’eccezione italiana è che il quadro istituzionale è per intero dominato da tre populismi con leader che disdegnano di presentarsi come componenti della classe politica. Questa fuga del ceto politico dalla responsabilità politica in nome della estraneità fa precipitare il regime dei non-partiti in una condizione di populismo come sistema con una inclinazione generale alla manipolazione, alla devianza.
Con il repentino declino di Renzi si consuma l’illusione di un populismo dall’alto che usa la narrazione ingannevole nel tentativo di ottenere una narcotizzazione del pubblico che però si rivela impossibile in tempi di crisi sociale. Il plebiscito che avrebbe dovuto consacrarlo al potere lo ha perciò disarcionato. La costruzione di un’alternativa parte da qui. Le incertezze e le disillusioni suscitate dal governo della capitale mostrano le crepe di un movimento che pure aveva dato voce e rappresentanza ad una rivolta dal basso organizzando una formidabile sommatoria di ogni microfisica delle disperazioni. Serve qualcosa di nuovo.
La politicizzazione impolitica della frattura alto-basso, élite-popolo si rivela ambigua e provoca dei costi sociali che rischiano di diventare irreparabili. Senza inserire la contestazione dell’élite del potere entro una ripoliticizzazione della coppia destra-sinistra, i nuovi soggetti della protesta falliscono o precipitano nell’irrilevanza. E senza una reviviscenza della polarità capitale-lavoro (recupero dei diritti, delle mediazioni sociali e sindacali) il grido contro l’alto non scalfisce il dominio e conferma il potere delle oligarchie del denaro, dei media, della finanza, degli appalti.
La rinascita della sinistra in Italia dipende dalla capacità di scalfire le rendite parassitarie del populismo sistemico combattendo nel contempo le illusioni tecnocratiche dell’élite «normali». Con Renzi il Pd è diventato un non-partito che faceva da scudo protettivo a una ragnatela di interessi della periferia che si trasferiva nel centro, occupando le postazioni pubbliche con voracità. L’esperienza di privatizzazione del potere tentata da Renzi non è una pura parentesi. Serve una rottura drastica con ciò che l’ha prodotta mostrandosi senza anticorpi.
Nessuna riesumazione di offerte politiche già viste, e quindi nessuna nostalgia per grandi alleanze di un tempo e cementate con il mitico trattino, può indicare la strada di una alternativa politica sempre più necessaria. Occorre organizzare su base di massa una sfida nuova per cementare una coalizione di forze sociali e di culture critiche. Si tratta di un progetto consapevole della cesura storica rappresentata dalla grande crisi sociale e dalla battaglia a difesa della costituzione graffiata dalla scorciatoia plebiscitaria.
Le vecchie sigle sono superate, allo sfaldamento del Pd seguirà anche una crisi del M5S che non potrà a lungo conservare le ambiguità sulle grandi questioni identitarie. Il sistema è quindi in celere movimento e spazi inediti sono disponibili. Invocare il soccorso eccezionale del Quirinale è per questo sbagliato. Ci sono margini per la politica. Una sinistra di massa esige un’azione di coagulo di energie sindacali, di movimenti, di forze della cultura per sfidare l’esistente. Per uscire in positivo dalla crisi del quadro tripolare è necessaria la costruzione di una alternativa di sistema politico mobilitando il lavoro, combattendo le esclusioni dei giovani e le differenziazioni territoriali. Lavoro e costituzione sono le due grandi fratture che aspettano una traduzione politica efficace e rendono possibile una ripresa dei simboli del cambiamento. Weimar non c’entra nulla, serve però una sinistra.
MICHELE PROSPERO
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