Ci si attarda a girare tra le macerie del terremoto elettorale quando andrebbero fatte scelte coraggiose che la realtà impone. Si cercherà di rimandare, ricomincerà il balletto delle nuove formule salvifiche da scopiazzare da un mercato politico europeo in crisi? Ed a quelli che hanno cominciato ad abbandonare il villaggio chiederemo di pentirsi e di tornare indietro o cercheremo di progettare un nuovo edificio accogliente ed aperto, a tutti e per tutti?
Risposte facili non ne esistono perché la situazione è nuova e nasce da una lunga incubazione sociale e politica. Sociale perché le trasformazioni hanno rotto i muri divisori di classi, culture ed appartenenze e con questi problemi la sinistra non è riuscita a fare i conti. Politica perché il “superamento” di destra e sinistra è stato teorizzato e praticato anche dalla sinistra aprendo la strada a nuovi modelli di populismo. Quindi il processo sarà lungo, ci vorrà una laboriosa fase di ricerca e di azione, una nuova incubazione di processi oggettivi e soggettivi. I primi sono connessi a fattori internazionali (Europa, crisi della globalizzazione, nuova divisione internazionale del lavoro..) di cui dovremo seguire l’evoluzione e sui quali poco potremo incidere a breve. I secondi, quelli soggettivi, sono più vicini e da noi dipendenti. Da essi penso dovremmo provare a ripartire per delineare nuovi orizzonti per una nuova sinistra. Certo dobbiamo rimuovere le macerie e, quindi, avere ben chiaro come e dove abbiamo sbagliato per essere credibili e non ripetere gli stessi errori. E farlo sapendo che su questa materia ce n’è per tutti.
Ma se non vogliamo avvitarci nella ricerca degli errori e ri-lacerarci prima di cominciare, penso che iniziare a scrivere una nuova agenda dei lavori oltre la cronaca quotidiana. Siamo e saremo stretti nei confini di una agenda dettata da altri. Migranti, prelievo fiscale e reddito di cittadinanza imprigionano la sinistra in un ruolo subalterno. Tessere separate e confliggenti di un mosaico che la sinistra non riesce a ricomporre in una sua visione organica. Eppure temi come la convivenza e la mobilità delle persone, la politica delle entrate e la distribuzione del reddito sono tre pilastri fondamentali di una idea moderna dello stato e della società. Possiamo pensare di affrontarli a ricasco, facendo le pulci alle proposte degli altri e quasi tifando perché essi esplodano?
Proviamo per fare un esempio ad invertire l’ordine dei fattori.
Nella società moderna, dello sviluppo sempre più insostenibile e generatore di disuguaglianze e disagi sociali cresce l’esigenza di garantire servizi sociali e qualità della vita individuale e collettiva, tutela dell’ambiente naturale ed urbano e questi fattori sono sempre più percepiti come diritti di cittadinanza. Essi vengono soddisfatti in maniera crescente con attività di volontariato e prestazioni lavorative gratuite che prefigurano un lavoro di cittadinanza attiva che si affianca e supplisce alle carenze dello stato sociale. Nel campo del mercato e del lavoro la disoccupazione cresce e si prepara ad esplodere con l’avanzata delle innovazioni. Si impongono, così, sempre di più forme di sostegno ai redditi che diminuiscono ed alle povertà che aumentano. In questo contesto gli individui sono sempre di più spinti alla ricerca individuale di soluzioni e di sopravvivenza ed il tessuto sociale si disgrega.
Lo stesso concetto di cittadinanza si svilisce decadendo a diritto a forme di sostegno sganciando materialmente e culturalmente la relazione tra diritti e doveri, individuo e comunità. Senza andare oltre per il momento, si può pensare che questo insieme di problemi connessi possa costituire un primo punto di una nuova agenda? Di una ridefinizione del diritto di cittadinanza nella società moderna come diritto ai diritti, diritti di tutti i presenti da qualunque posto essi provengano, un diritto al reddito ed al lavoro da declinare come contributo di ciascuno al lavoro sociale necessario, come dovere verso la collettività che può andare dal lavoro sociale volontario al contributo fiscale di ciascuno secondo le proprie possibilità e capacità? Può insomma la sinistra avere l’ambizione di costruire un mosaico nel quale collocare le tessere oggi sparpagliate a caso per ritrovare una sua visione di futuro alternativa al caos che si sta preparando? Ecco se invece che impantanarci sulle formule perdenti per affrontare questa crisi creassimo dei tavoli di lavoro per coinvolgere giovani ed intellettuali, soggetti politici e sociali in uno sforzo di costruzione di una nuova agenda per nuove idee per una nuova sinistra potremmo forse riprenderci dall’angoscia che pervade tanti nostri settori per una crisi più profonda e grave delle peggiori previsioni.
ALDO CARRA
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