Oggi molti ricorderanno Antonio Gramsci, ad ottanta anni dalla sua morte.
Lo ricorderanno soprattutto quelli che ne hanno tradito il pensiero, la volontà di azione e la prospettiva rivoluzionaria.
Lo ricorderanno quelli che si definiscono socialisti e quelli che si definiscono democratici.
Lo ricorderanno come combattente per la libertà.
Lo ricorderanno tacendo su come abbiano destrutturato i diritti delle lavoratrici e dei lavoratori in decenni di privatizzazioni, di adeguamento alle volontà del mercato di politiche nemmeno riformiste o riformatrici ma, beceramente, acquiescenti nei confronti dei paradigmi del capitalismo.
Lo ricorderanno soprattutto coloro che lo hanno negato affermandolo come simbolo di una nuova sinistra di governo.
Lo ricorderanno coloro che oggi continuano a falsarne la memoria di uomo e di intellettuale comunista.
Io non lo ricorderò, invece, oggi. Sono costretto a farlo, indirettamente, con queste poche righe, per dire quanto disprezzo tutti coloro che ho citato e che sono stati e tutt’ora sono funzione di annichilimento del movimento comunista e della sinistra di alternativa.
Non lo ricorderò oggi perché penso che Gramsci, noi comuniste e comunisti, lo abbiamo costantemente ricordato, riproponendone il pensiero e l’analisi con le pratiche quotidiane da ventisei anni a questa parte.
Proprio con la “rifondazione comunista”, come processo innovatore e conservatore al tempo stesso: innovatore nell’attualizzare la necessità di un capovolgimento dei valori e nella necessità di una rielaborazione singola e collettiva della cultura popolare attraverso la riproposizione di un processo di alleggerimento dalla storia della storia stessa del movimento comunista; conservatore nel non venire meno alla necessità di saper sempre riconoscere i propri compagni di strada nei valori di cui sopra. E viceversa.
Non abbiamo bisogno di ricordare Antonio Gramsci, perché noi, di lui, non ci siamo mai dimenticati.
(m.s.)
foto tratta da Wikimedia Commons