La tragedia che ha colpito la regione Marche ci addolora, ma non ci sorprende perché gli «eventi estremi» fanno parte ormai della «normalità» anche se la nostra classe politica e la gran parte dei cittadini ha fatto di tutto per ignorarli. Abbiamo ignorato il grido d’allarme che già agli inizi di questo secolo era suonato: dal 2000 al 2004 circa 262 milioni di persone sono state colpite da catastrofi climatiche.
Abbiamo ignorato l’impatto drammatico del mutamento climatico che ha portato alla fame milioni di persone in tutto il cosiddetto Terzo Mondo, con un’alternanza di siccità ed alluvioni dal Pakistan con migliaia di vittime proprio in questi giorni – che non hanno fatto notizia -, al Bangladesh, al Madagascar, al Malawi, dal Mozambico ai paesi del Corno d’Africa, per citarne solo alcuni.
Bastava fermarsi un attimo e vedere le foto del lago Chad, il terzo per grandezza dell’Africa, che in soli trent’anni ha ridotto la sua superficie del 90%. All’origine degli «eventi estremi» ci sono le «fluttuazioni giganti», come le definì Ilya Prigogine, Nobel per la chimica, che si determinano quando in un sistema chiuso, come è la nostra biosfera, un gas cresce velocemente mentre gli altri elementi gassosi rimangono fermi.
L’aumento della CO2 se fosse stato distribuito nel corso di due secoli non avrebbe provocato questi danni, ed invece la crescita accelerata della CO2 dalla metà del secolo scorso ha determinato questo «squilibrio permanente», o «strutture dissipative» come le definì sempre Prigogine, che porta all’eccesso i singoli fenomeni: bombe d’acqua, siccità, mega incendi, alluvioni, sfondamento dei limiti minimi e massimi di temperatura, cicloni, tornado, uragani.
Tutti fenomeni che conosciamo ma che adesso diventano ogni anno più frequenti e più intensi. I periodi di siccità si allungano, le bombe d’acqua diventano sempre più esplosive, le temperature tendono a superare frequentemente i 40° d’estate e a scendere in alcune aree del pianeta sotto i 55° d’inverno, uragani e cicloni diventano sempre più distruttivi ed arrivano a colpire parti del pianeta, come l’area del Mediterraneo, dove non si erano mai registrati.
Quando scrissi il saggio “Eventi estremi” nel 2011 non pensavo che questo scenario si sarebbe verificato in così breve tempo. Ma, lanciavo comunque un campanello d’allarme molto preciso indicando delle opportune misure che enti locali e governo avrebbero dovuto prendere. Nel paragrafo intitolato «La sicurezza globale nell’era delle fluttuazioni giganti», indicavo tre linee di intervento per difenderci e ridurre i danni indotti dal mutamento climatico, con la messa in sicurezza del territorio. In primis: realizzare un sistema di allarme e di rifugio per gli eventi estremi.
I sistemi di allarme ci sono, ma sono insufficienti e qualche volta, proprio per lo squilibrio/sconvolgimento atmosferico, il meteo non è più preciso come lo era un tempo, almeno entro le 48 ore. Ma, soprattutto, bisogna ripensare/ridisegnare le città, il sistema urbano, gli insediamenti industriali, le infrastrutture per resistere agli eventi estremi. I fondi europei del Pnrr solo in minima parte stanno per essere utilizzati per questo scopo, ed invece dovrebbero avere la priorità.
In secondo luogo, bisogna finanziare la ricerca applicata alla sicurezza del territorio. È paradossale che ci si impegni tanto per capire la solidità del sistema bancario attraverso lo strumento dello “stress test”, ed invece nessun amministratore locale ha pensato che sia oggi indispensabile utilizzare lo «stress test territoriale» per verificare il grado di resilienza di un determinato territorio e prendere le contromisure. Inoltre, la ricerca applicata in questo campo è scarsamente finanziata e promossa,
In terzo luogo, occorre creare una «riserva strategica di beni alimentari», necessari per affrontare gli eventi estremi, provocati dal mutamento climatico e ancor più dalla speculazione finanziaria. Per ogni area del mondo, ovvero per ogni mesoregione – pensiamo all’area del Mediterraneo – occorrerebbe definire programmi strategici di sicurezza alimentare.
A maggior ragione questa vale per molte aree dell’Africa sub-sahariana che è quella più fragile, ricordandoci che gli effetti degli eventi estremi hanno una forte connotazione di classe, colpiscono, secondo il Programma delle Nazioni unite per lo Sviluppo, settantanove volte in più le fasce sociali più deboli e i territori più poveri.
Se vogliamo evitare altre tragedie come quella che si è verificata nelle Marche dobbiamo spingere gli amministratori locali a prendere seri provvedimenti di breve e lungo periodo. Purtroppo, il livello di coscienza ambientale nella classe politica del nostro paese è ai minimi storici.
Basti ascoltare i temi prevalenti nella campagna elettorale. Ma, quello che è più grave è che la categoria della «sicurezza» sia stata regalata alla Destra che la declina con il solito leit motiv dell’immigrazione, mentre poteva una vera Sinistra alzare la bandiera della sicurezza dei territori dalle catastrofi indotte dal mutamento climatico, della urgenza di interventi di cura e prevenzione.
TONINO PERNA
Foto di Magda Ehlers