Diciassette anni fa a Genova si apriva una stagione di repressione ma anche di speranza. Il movimento cresciuto e nato allora, quello che voleva “un altro mondo possibile”, quello dei “social forum” si è frammentato nelle lotte, si è particolarizzato, ha perso di vista un orizzonte comune.
Ha vinto la sintesi semplicistica delle destre al momento: quella della creazione di uno o più nemici, individuati in base soltanto al colore della pelle, per distrarre i moderni proletari, gli sfruttati tutti, dai veri obiettivi di classe.
Si lotta senza unire le lotte. Si fa politica senza creare comuni denominatori fondati su visioni anche solo simili di una prospettiva futura.
La dispersione delle energie mentali e materiali è enorme. La frustrazione anche.
Ma dobbiamo ricordarci che quel movimento seppe reggere l’urto forte di un tentativo ben riuscito di colpevolizzazione di massa, di intimidimento generale. Lo seppe reggere con grande coraggio, davanti a violenze inaudite, ad una mortificazione della Costituzione mai vista prima.
Diciassette anni fa c’era un movimento che chiedeva “un altro mondo possibile”. Un mondo che oggi sembra “impossibile” costruire.
Eppure, proprio perché così sembra, vuol dire che ve ne è sempre maggiore necessità.
Per chi si è sacrificato, per chi è morto, per chi ha subito torture e violenze. Dichiararsi rassegnati sarebbe la vittoria definitiva di chi allora mise in atto la strategia della repressione e che, oggi, vorrebbe solo farci vivere di paure e di odio.
Per Carlo, per Edo, per tutte le compagne e tutti i compagni che non essendoci, ci sono.
(m.s.)
foto tratta da Wikipedia