L’arrivo imminente del nuovo DPCM, che fisserà le norme da seguire in questa fase autunnale della pandemia, ha avuto come naturale – ormai tocca dire così, perché così è – riflesso condizionato da “social” una valanga di proteste per l’obbligo di indossare le mascherine in ogni momento della giornata su tutto il territorio nazionale.
Una reazione paragonabile allo sdegno provocato per il divieto di trasferta per il Napoli, colpito dal Covid-19, che avrebbe dovuto giocare contro la Juventus che al momento ha incamerato tre punti a tavolino. Un gioco nel gioco, un gioco di interessi privati in partite pubbliche: un gioco con i sentimenti sportivi dei tifosi che ha per qualche giorno surclassato le altre problematiche, ben più serie, che vive la nostra società in questi giorni di rialzo preoccupante della curva dei contagi.
Di qui la necessità di estendere l’utilizzo della mascherina senza soluzione di continuità temporale, senza soluzione di continuità geografica: sempre e in tutta Italia d’ora in poi.
Chi sui social si indigna ed evoca la dittatura, la restrizione delle libertà, evidentemente non discerne molto bene tra dovere civico, che in quanto dovere è servizio del singolo nei confronti della comunità in cui vive, e restringimento degli spazi di agibilità democratica che non possono essere francamente ascritti all’indossare una mascherina chirurgica per proteggere e proteggersi dalla diffusione del coronavirus.
Una certa destra, che ha sempre in mente qualche forma di autoritarismo, strizza l’occhio all’interpretazione malevola delle norme a tutela della salute pubblica e nel nome di una libertà che privatamente disprezza, chiama alla rivolta, ad una sorta di disobbeddienza civile, con buona pace del povero Throeau, ad una sorta di resistenza ghandiana, con altrettanta buona pace del padre dell’indipendenza indiana e della nonviolenza.
Ogni motivo è buono per aprire una speculazione politica, per evitare di fare la propria parte nel consesso civile che dovrebbe invece riguardare tutti, prescindendo dal colore politico: alle destre sovraniste (e neofasciste) probabilmente la misura che più piace è lo schierare l’esercito per le vie e le piazze italiane al fine di controllare che le mascherine vengano indossate, che si rispettino le distanze e che si eviti qualunque tipo di situazione che ci riporti ai numeri di contagio cui abbiamo assistito a marzo ed aprile.
La muscolarità militare, che impone il volere del governo, senza dubbio piace ai sovranisti. Ma deve, comunque, dispiacergli un poco, per poter contestare l’uso del DPCM come metodo normativo eccezionale; un abuso più che un uso. Il ricorso alla decretazione d’urgenza da parte della Presidenza del Consiglio dei Ministri, in effetti, è diventata la regola di comportamento dirigente, amministrativo e impositivo cui si rischia di abituarsi senza più battere ciglio, ricorrendo all’argomentazione – peraltro veritiera al momento, purtroppo – dello stato di permanenza del virus nel mondo, in Europa e in Italia.
La recrudescenza della pandemia è sempre dietro l’angolo e, dunque, i DPCM finiscono per avere un senso compiuto data la situazione in cui ci troviamo. Il timore è che, terminata un giorno l’emergenza sanitaria, il governo ne possa ancora fare ricorso chiamando in causa strascichi dell’epidemia sul piano economico e sociale, sottraendo al Parlamento prerogative che gli sono proprie e che finiscono per essere sempre meno se si guarda anche al futuro taglio delle Camere approvato con la consultazione popolare del 20 e 21 settembre scorsi.
Il timore che si arrivi ad una flessione della democrazia, ad uno stato di emergenza permanente giustificato da un allarme dopo l’altro, figlio del precedente allarme, non è una ipotesi così astratta: indubbiamente il rischio sarebbe quasi conclamato se stessimo parlando di un governo a trazione sovranista. La presenza nell’esecutivo di forze riformiste di centro, liberali – quanto meno – sul terreno dei diritti civili e sul rispetto formale del regime democratico, dovrebbe metterci al riparo da un eventualità che contempli in un futuro prossimo il passaggio dalla repubblica parlamentare a quella presidenziale.
Ma ogni occasione, soprattutto se legata a sentimenti popolari vasti che sono dominati dalla paura e dal pericolo, può essere buona per generare un vasto consenso anche su riforme (o controriforme che dir si voglia) che non riceverebbero altrimenti più che un pugno di mosche in quanto a sostegno popolare.
Il ruolo dell’informazione è fondamentale in un concerto di poteri che si mostra litigioso, dove lo Stato deve “trattare” con le Regioni per applicare dei provvedimenti di vera e propria “salute pubblica“: le opinioni sono tutte legittime ma, come dovrebbe essere evidente, non vivono mai di vita propria, bensì si nutrono di altre opinioni, peggio ancora di “sentito dire” e si trasformano a poco a poco in un capovolgimento dei fatti. Persino dei numeri che la scienza ci fornisce per cercare di comprendere il fenomeno Covid-19 in una pienezza che, ad oggi, è impossibile riempire completamente.
Per questo, quando in trasmissioni di una certa rilevanza – non per la loro altezza culturale, ma per la loro bassa spettacolarità e quindi larga diffusione nella stragrande parte della popolazione che si nutre di approssimazioni e che non ha voglia e nemmeno magari tempo per approfondire o, molto più semplicemente, non ne ha i mezzi, gli strumenti scolastici – si invitano scienziati che finiscono per essere accerchiati da irriverenti e irridenti opinionisti, facendo la fine dei “menagrami”, si pensa di fare davvero un servizio al Paese?
Si pensa di compensare il tutto con le parole della conduttrice o del conduttore che, benevolmente, invita i giovani alla responsabilità quando, fino a pochi minuti prima, si è praticamente fatto passare il messaggio subdolo che tutto sommato “si deve vivere” e quindi si possono non osservare le regole fondamentali per prevenire la diffusione del contagio?
Fa più danni questa disinformazione che tenta di mostrarsi pluralistica piuttosto di una manifestazione dei negazionisti: almeno questi ultimi sono riconoscibili come tali, mentre le grandi trasmissioni del pomeriggio e della sera sulle altrettanto “grandi reti” nazionali sono un Giano bifronte dai tratti inquietanti.
Ci sono quindi non tre comportamenti da seguire per allontanarsi sempre più dal Covid-19: mettere le mascherine sempre, di giorno, di notte, nei luoghi chiusi e nei luoghi aperti; lavarsi bene le mani; tenere la giusta distanza per il rispetto sanitario nei confronti degli altri e, infine, evitare di seguire trasmissioni televisive o radiofoniche che riducono il virus a qualcosa di prevedibile e di gestibile. Sappiamo che non è così: pur uccidendo meno rispetto al marzo scorso, il patogeno circola, è per l’appunto imprevedibile e ingestibile in una parte di casi che non sono definibili ancora secondo precise tabelle scientifiche.
Possiamo affrontare una grande prova di civiltà e di civismo, di vera e propria coscienza repubblicana in questo autunno che non è per niente “post-Covid”. Possiamo andare oltre le imposizioni e scegliere di essere responsabili verso noi stessi e verso gli altri: sapendo che la mascherina non impedisce di parlare o scrivere al computer e che, pertanto, le nostre idee e i nostri comportamenti sono liberi per quanto possono esserlo nel corso di una pandemia.
Al contempo la vigilanza repubblicana, quindi la massima espressione dell’essere cittadini per ciascuno di noi, deve trovare riscontro nella sorveglianza popolare verso le istituzioni, più di tutte verso quella del potere esecutivo che va criticato legittimamente e altrettanto legittimamente contrastato qualora dovesse esasperare l’uso dei DPCM e, in generale, della decretazioen di urgenza.
Non può esistere una vera lotta civile contro l’abuso dell’emergenza senza una ritrovata coscienza di classe che renda consapevoli i lavoratori, i disoccupati e i precari dello stato di “patologia preesistente” che si portano appresso se si considera l’insieme della vita quotidiana odierna: chi ha posizioni elevate socialmente e possiede fabbriche, aziende, grandi risorse borsistiche avrà accesso alle cure più innovative contro il Covid-19. Per questo sarebbe un grandissimo errore separare la questione sanitaria da quella economica, viste le ripercussioni che la prima ha sulla seconda ma anche i condizionamenti che la seconda ha sulla prima.
La saldatura tra tutela della salute e ridefnizione degli ambiti di intromissione economica del privato nei grandi gangli del sistema che dovrebbe essere pubblico dovrà essere un tema da sviluppare fin da subito e nel prossimo futuro. La sinistra comunista e di alternativa deve considerare la priorità della ripubblicizzazione di tutti i comparti sociali e strutturali del Paese, guardando al contesto europeo e al mondo globale.
Una sfida tutt’altro che semplice, ma non esiste una via secondaria, una scappatoia da prendere per uscire dagli incubi in cui siamo piombati: non possiamo chiamare questo periodo l'”autunno del Covid“, il suo auspicabile declino, indebolimento e fine progressiva. Siamo ancora nella “primavera del Covid“. Tutta quanta…
MARCO SFERINI
6 ottobre 2020
Foto di wonderland woo da Pixabay