Fa notare, molto opportunamente, Antonio Floridia su il manifesto di ieri, 19 dicembre 2024, che il XII Congresso nazionale di Rifondazione Comunista non solo meriterebbe qualche citazione in più nel dibattito a sinistra, sui giornali e su Internet ma, soprattutto, nella società partecipata e partecipante (sempre meno e sempre con maggiore rassegnazione allo stato di cose presente).
Se ritorniamo sulle problematiche che riguardano questo congresso è perché la spaccatura verticale che si sta realizzando non è di poco conto, benché riguardi una forza politica che, elettoralmente parlando è una debolezza, organizzativamente invece conserva nei territori un plusvalore che altre formazioni della sinistra di alternativa non hanno.
Della storia ultra trentennale del PRC forse almeno questo è rimasto: ben poco, ma sufficiente a farne una luna attorno a cui rivolgersi per scoprirne ancora quel lato invisibile che si cela alla comprensione un po’ generale quando si tratta di parlare del rapporto tra identità, autonomia, relazioni col resto dell’arcipelago del progressismo italico e, udite udite, se si inizia un discorso su accordi o alleanze.
Paolo Ferrero ha inviato un video alcuni giorni fa che si rivolge agli addetti ai lavori, quindi ad una platea al massimo di diecimila iscritti nel 2023 (che sono la cifra su cui si basa il conteggio dei delegati al Congresso nazionale del prossimo febbraio). Una sorta di appello a comprendere le ragioni della diversificazione in un ambito comunque unitario nel dopo voto.
Per chi avesse voglia di leggere le ragioni dei due documenti, mettiamo qui il collegamento ai due articoli [Documento 1: Acerbo: «La verità è sempre rivoluzionaria» / Dcumento 2 Ferrero: «No al ritorno con il centrosinistra»] che avevamo editato qualche settimana fa e che sintetizzano con sufficiente chiarezza le differenze in merito. Non sono differenze di poco conto, tanto che si possono tranquillamente definire come vere e proprie “divergenze“.
Il documento 1 sostenuto dal Segretario nazionale Maurizio Acerbo sostanzialmente intende evitare che Rifondazione Comunista si rivolga esclusivamente, nella costruzione di una necessaria alternatività della sinistra (e quindi della sinistra di alternativa stessa), a formazioni ultraminoritarie, autoreferenziali, incapaci di leggere i rapporti di forza esistenti tanto sul piano sociale quanto su quello politico.
Il giudizio di merito che si dà nell’insieme della fase che sta attraversando l’Italia, inclusa in un contesto europeo e globale gestito da una pericolosissima economia di guerra, è quello della distinzione tra soggetti politici conservatori, retrivi e autoritari e formazioni di una sinistra moderata con cui è possibile dialogare per portare avanti determinate lotte ma non implica, di per sé, quello che il documento 2 vorrebbe presentarci come l'”inevitabile” malasorte.
Ossia il paventato “ritorno con il centrosinistra” che Ferrero dà per scontato. Non c’è nessun progetto in tal senso. Non c’è nessuna volontà di far parte di un nuovo “Ulivo” o di una nuova “Unione“. Non c’è nemmeno lontanamente l’intenzione di essere organici ad un centrosinistra che predichi bene in materia di diritti civili e poi razzoli malissimo quando si tratta di difendere e ampliare quelli sociali.
Occorre dire qualche parola di verità in merito, perché i presentatori del documento 2, l’ex nostro ministro del governo Prodi per primo, si producono in una semplificazione caricaturale delle posizioni espresse da Acerbo e da noi che sosteniamo il primo documento. Si tenta di far passare il tutto come una svendita da un lato del PRC ad una nuova fase alleantista e dall’altra come la tutela e la preservazione del Partito da tutto questo.
Il fulcro della questione è una interpretazione diametralmente opposta tanto della politica odierna quanto del ruolo di Rifondazione Comunista in una complessità sociale ed istituzionale che non è liquidabile, molto superficialmente, con l’affermazione piuttosto banalmente epigrammatica per cui soltanto noi siamo i depositari di una verità interpretativa dell’oggi che conduce alla costruzione della sinistra di alternativa mentre tutti gli altri sono brutti, sporchi e cattivi.
Come è possibile che questa presunzione, che è figlia di un piglio settario veramente ottundente, si sia presa una non piccola fetta di dirigenza del nostro Partito e tenti di trascinare lo stesso in un progetto ultraminoritario, escludendo a priori qualunque dialogo con Alleanza Verdi e Sinistra, Cinquestelle e PD? Io mi rendo conto che, al solo citare ciò si scatenano urticanti pruriti, ma proprio qui sta il nocciolo della questione.
Noi pensiamo davvero che Rifondazione Comunista debba svolgere la funzione di aggregativa della sinistra di alternativa e, ipotizzando tempi molto più lunghi di quelli di Mélenchon in Francia, rifiutarsi di parlare o accordarsi (non allearsi, ho scritto “accordarsi“) con le forze del progressismo moderno per provare a migliorare un po’ la condizione disagevole di milioni e milioni di altrettanto modernissimi sfruttati, precari e senza il briciolo di un futuro?
Non possiamo nasconderci le problematiche interne che influenzano pesantemente il dibattito. Saremmo degli ipocriti – e sovente lo siamo, fingendo che tutto vada bene madama la marchesa – se escludessimo il pregresso politico ed anche personale che si antepone a questo congresso. Ferrero ha lavorato per molto tempo per scardinare l’attuale gruppo dirigente, cercando di creare una linea politica ante litteram rispetto a quella da lui proposta oggi nel documento 2.
Lo ha fatto, se non lui direttamente, quanto meno la parte di PRC che si riconosce nelle sue posizioni: in Liguria ed in Emilia Romagna, costituendo due liste per l’alternativa di sinistra insieme a Potere al Popolo! e al PCI (che davvero riesce difficile poter chiamare così pensando a cosa davvero era, a cosa ha rappresentano per l’Italia e per il mondo del lavoro il Partito Comunista Italiano). Si è trattato di un test, di un sondaggio di non poco conto.
Ed è stato un sondaggio impietoso nei risultati: un fallimento se, con qualche furba presunzione, si pensava di spacciarlo per una alternativa tanto alle destre quanto al centrosinistra. Si possono invocare tutti gli alibi che si vogliono: indubbiamente l’oscuramento mediatico (che tuttavia non è affatto una novità per quanto riguarda Rifondazione Comunista nella lunga traversata nel deserto dal 2008 ad oggi…), la mancanza di risorse per poter bilanciare queste deficienze, eccetera, eccetera.
Ma i risultati parlano chiaro. Nemmeno tutto il nostro residuo elettorato di riferimento ha votato quelle liste e ha preferito magari altre scelte, altri modi per esprimere una efficacia del consenso, della delega che potesse favorire due elementi imprescindibili: la lotta contro le destre e l’affermazione di un qualche presupposto programmatico, oltre che ideale, di sinistra nell’ambito di coalizioni che pure ci sono ancora oggi molto lontane.
Le contraddizioni evidenti tra ciò che noi riteniamo oggi sia l’inviluppo neocapitalistico e neoliberista e il ruolo della sinistra vera, concretamente critica, capace di non separare analisi dalla sintesi, non sono un mistero e le conosciamo – o dovremmo conoscerle – tutti: Rifondazione Comunista deve avere la valenza federatrice della sinistra di alternativa me perché deve, al contempo, escludere qualunque possibilità di allargare questa capacità – che può sinceramente esercitare – ad una sinistra ampia e inclusiva?
Il progetto di Ferrero è, mi si permetta di essere più che esplicito, rivolto a formazioni che si concepiscono soltanto in quadro in cui lo stare fuori dalla cornice è considerato elemento distintivo, attraente; ma nella sostanza questa attrattività non c’è. Hanno fallito, nel corso di questi decenni tanto le posizioni moderate filo-governiste vendoliane tanto quelle ultraisolazioniste ferrandiane (non mi sembra che il PCL sia questo punto di riferimento delle masse lavoratrici…).
Per questo il documento 1 non vuole “tornare col centrosinistra“, come vorrebbe far credere Ferrero, ma pretende, questo sì, che tutte e tutti noi ci si confronti con la concreta realtà tanto della tragicità delle condizioni dei più poveri, dei più miseri e sfruttati così come con il risvolto politico-istituzionale che questi milioni di moderni proletari devono poter avere. Se siamo in grado di essere utili in qualche modo, abbiamo il dovere di svolgere questa funzione.
Non si tratta più solamente di dare alle elezioni la colpa delle nostre divisioni interne. Voglio ribadirlo: qui si confrontano due culture politiche, due visioni sociali, due interpretazioni dell’insieme dei fatti odierni che giungono a conclusioni opposte tanto sul presente quanto sul futuro di un piccolo partito come Rifondazione Comunista la cui storia non può finire nell’irrilevanza di un purismo spocchioso.
La democrazia repubblicana è in pericolo. Ce ne siamo accorti, sì o no? Se ne siamo consci, visto l’alto tasso di autoritarismo di queste destre e del governo Meloni, dovremmo riprendere in mano la lezione dei comunisti italiani, da Gramsci in poi, per evitare all’Italia e al mondo del lavoro, della scuola, della precarietà, del pubblico mortificato dal privato, un mutamento tale della società da non essere solo ascrivibile al sovrastrutturalimo delle leggi, bensì alla struttura stessa del nostro vivere in comunità.
Essere comunisti che cosa vuol dire oggi se non mettere insieme l’esperienza, con tutti gli errori del passato, insieme all’innovazione? Oppure riteniamo che avere ragione sia sufficiente? Aprire nuove contraddizioni entro le forze moderate della sinistra non vuol dire aderire agli schemi precostituiti imposti dal bipolarismo frutto delle leggi elettorali, a loro volta conseguenza delle modificazioni imposte dal capitale alla politica.
Aprire queste contraddizioni significa, prima di tutto, essere parte delle contraddizioni stesse ed esercitare questa leva per evitare che la sinistra la faccia la destra e che i moderati diventino l’ago della bilancia che, in definitiva, condiziona poi le mosse esizialmente antisociali dei governi che si succedono. Rifondazione Comunista non può rivendicare una autonomia se non in relazione alle altre forze politiche della sinistra. Con cui il confronto deve esserci.
L’apriorismo è antistorico nell’epopea del movimento operaio della lotta di classe. Se si fa dell’esclusivismo una bussola su cui orientare la propria linea politica, si è già persa la direzione di una riaffermazione di quei valori di uguaglianza e giustizia sociale che meritano di avere ancora un interlocutore e un attore pratico nella scena della tormentata vita di una Italia ridotta a brandelli.
MARCO SFERINI
20 dicembre 2024