Renzi esalta la “semplicità” cui si troverebbe davanti l’apparato dello Stato dopo l’eventuale entrata in vigore della riforma costituzionale che ha passato la sua prima approvazione in quel bicameralismo perfetto che si vuole abolire e superare.
Ma dietro questo semplificazionismo apparente si nasconde invece una erosione dei processi difensivi della democrazia italiana preservati sino ad oggi anche grazie alla “complessità” cui sono stati sottoposti i progetti di legge. La storia costituzionale del nostro Paese ci racconta di una necessità che venne introdotta proprio per evitare che si ripetessero errori del passato che potessero condurre a nuove esperienze autoritarie.
Dopo vent’anni e più di dittatura fascista, i Padri costituenti individuarono un meccanismo di equilibrio tra i poteri e in quello legislativo introdussero la modalità di formazione delle leggi con la doppia approvazione della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica. Per la revisione costituzionale, inoltre, vennero introdotti passaggi ulteriori per garantire, come in una cassaforte, una protezione maggiore per la Carta che è ancora oggi il nemico maggiore per chiunque avesse sogni di gloria personali o interessi politici tali da scardinare la già fragile democrazia repubblicana.
La riforma che il governo Renzi porta avanti trascina con sé non solo la modificazione di 40 articoli della Costituzione, ma cambia volto alla Repubblica trasformandola in un regime non più dominato dalla centralità del potere legislativo, del Parlamento, bensì dal governo che detta addirittura i tempi della formazione delle norme all’unica camera rimasta, visto che il Senato verrebbe ridotto ad una assemblea composta da delegati regionali privi di qualunque potere rispetto ai loro colleghi deputati.
Non ci sono grandi difficoltà per l’esecutivo nel primo passaggio alla Camera: lo scenario pietoso della mancata presenza delle opposizioni e di un lavoro unitario contro questa riforma è sotto gli occhi di tutti. Il movimento grillino sceglie uno sterile Aventino per dichiarare la sua protesta mentre Bersani e l’opposizione interna del PD si adegua ancora una volta pur dichiarando che anche questa “è l’ultima volta”. L’opposizione di Forza Italia è quanto di più incredibile si possa immaginare: strumentale, divisa, suggerita da una voglia di rivalsa di Berlusconi che, forte anche dell’assoluzione nel processo Ruby, prova e proverà a risalire la china in qualche modo e a riconquistarsi un partito ormai defunto.
Resta solo Sinistra Ecologia Libertà a votare convintamente contro la riforma renziana e a fare un bel gesto in Aula: alzare copia della Costituzione della Repubblica. Ma la Costituzione ha poco a che fare con un Parlamento, del resto, eletto con trucchi elettorali che vengono chiamati “leggi” ma che sono invece iperboli consenzienti di deleghe indotte da un consensi squilibrati: voti che valgono di più se si sceglie il partito maggiore e meno se si sceglie quello minore.
Una proporzionalità disegualitaria che ha governato il volere degli italiani in questi ultimi decenni e che è stata, inoltre, viziata dalla trappola del “voto utile” e dall’ormai lontana costruzione del potere sulla singola persona al comando della coalizione di volta in volta vincente piuttosto che su idee e programmi.
La messa in soffitta di questi princìpi democratici e di chiara espressione di una coscienza civile ormai in disuso tra i cittadini ha favorito la scalata di Renzi dopo la fase berlusconiana e favorisce oggi la velocissima affermazione del caterpillar di Firenze che non incontra ostacoli sul suo cammino e rade al suolo il parlamentarismo.
Democrazia, lavoro, diritti sociali e civili: tutto si lega e, infatti, l’attacco del governo al lavoro e agli architravi delle fondamenta costituzionali sono un preciso intento di trasformazione della società italiana in un reticolato di dinamismi legati al mercato, alle esigenze delle grandi economie transalpine con delle istituzioni certamente “più semplici”: più semplici da assecondare ai voleri dei poteri europei che vogliono avere meno lacci a lacciuoli tra cui divincolarsi per mettere in pratica, quindi per espandere, le loro linee di espansione economica nei paesi più arretrati dell’intera Unione Europea.
Non ci resta che il referendum per sbarrare la strada a questo scempio della Costituzione, a questo attacco violento alla democrazia che viene dipinta come un ferrovecchio da chi si definisce moderno e “non conservatore”.
Se voler mantenere in vita la Carta del 1948 con tutti i suoi valori vuol significare essere conservatori, per la prima volta nella mia vita politica vorrei essere definito, senza alcuna vergogna, un conservatore molto, molto radicale e deciso in questa opera di preservazione del “passato”.
MARCO SFERINI
11 marzo 2015
foto tratta da Wikipedia