Secondo Eugenio Scalfari per battere i sovranisti (quindi i fascisti moderni) serve il PD. Questa è notizia, visto che il fondatore de “la Repubblica”, sedotto pure lui dalla logica illogica del “meno peggio”, disse nel programma di Floris su La 7 che tra Cinquestelle e Forza Italia avrebbe scelto quest’ultima.
Una destra borghesemente rassicurante rispetto alla spaccatutto grillino: poi, del resto, come dice il proverbio… “Chi lascia la vecchia via per quella nuova, sa quel che lascia ma non sa quel che trova”. E la vecchia via, PD o Forza Italia che fosse era comunque quella: la difesa della stabilità economica della classe padronale con annessi e connessi.
L’occasione della “Leopolda 9” ora fa dire a Scalfari che è preferibile il PD come opposizione al governo giallo-verde: ma il PD da solo non basta, sostiene il direttore eterno.
Lo dovrebbero affiancare movimenti che vogliano battere razzisti e populisti: giovani componenti di circoli culturali dediti alla missione di sostenere l’incerta stabilità di un PD che ha come prospettiva Marco Minniti Segretario nazionale con la benedizione un po’ di tutti tranne Zingaretti che può attrarre le voglie di centrosinistra dei bersaniani, di D’Alema che ormai in Liberi e Uguali non vedono più quell’abbaglio di futuro luminoso a due cifre elettorali che li aveva pervasi prima del voto.
Insomma, la buona borghesia, secondo Scalfari dovrebbe puntare su un cavallo un po’ brocco, incerto sulle sue gambe, un po’ ubriaco come quelli animati nei classici Disney che però sono simpatici.
Pensare al PD come forma di “opposizione sociale” mette un brivido sulla schiena se si pensa a tutta la destrutturazione (anti) sociale che ha prodotto con i governi di psuedo-centrosinistra spacciandosi per forza di sinistra.
Scalfari lo ribadisce: “la sinistra deve…”, laddove per “sinistra” si intende chiaramente il PD, rinnovato sole se non del socialismo, almeno del conservatorismo liberal-liberista col senso profondo dello Stato devoto verso la struttura economica ben rappresentata dal tessuto padronale e dal grande potere finanziario delle banche, a cominciare dalla BCE.
Il problema, però, sta in ciò: oggi il governo giallo-verde, nonostante le tante contraddizioni che vive ogni giorno, riesce a rispettare (seppur sommariamente) quel “Contratto” in cui sono tratteggiate forme di applicazione di politiche pseudo-sociali che rispondo alle masse come elemento utile per mantenere il consenso trasversale tanto della classe dirigente quanto di quella degli sfruttati.
La percentuale di proletari moderni coscienti di ciò, per quanto esistente e non certo trascurabile, è esigua se paragonata all’enorme plauso che ottengono vicendevolmente Salvini e Di Maio quando si muovono su sponde differente coprendo un intero arco di tematiche politiche e sociali che nessun governo del PD era riuscito a tenere insieme.
Noi abbiamo preso in giro e dileggiato il triumvirato Conte – Salvini – Di Maio, ma è una formula di equipollenza governativa perfetta che regge anche a colpi notevoli come quelli che la Commissione europea lancia effettivamente dietro un formalismo di rassicurazioni sulla sovranità dell’Italia, sul diritto del governo di esprimere la sua politica in tema di economia, bacchettando le manine (non quelle che scrivono testi di manovre senza che nessuno ne sappia niente in Consiglio dei ministri) che ogni tanto s’allungano per riscrivere le percentuali del rapporto tra debito e Prodotto interno lordo…
Ma la riscrittura del provvedimento economico riguardante la fiscalità, scudi e condoni presunti, latenti, aggiunti, stralciati e via dicendo, segue una sagace linea di progressione nella tassazione dei capitali, nelle imposte dovute: sotto i 15.000 euro l’aliquota sarà del 6%; sotto i 22.000 sarà del 10% e sopra i 22.000 sarà del 25%.
Gli arretrati col fisco, dunque, possono essere così definiti “condonati” o “condonabili”, ma è indubbio che una nuova invenzione è stata creata nella riunione del triumvirato governativo: si bada al reddito, quindi si può dichiarare che “Solo per chi è in difficoltà” ci sarà uno sconto sulla reale cifra fiscale che sarebbe stata dovuta all’erario.
Dunque, il governo rimane in sella, non cade, non entra in crisi e le consuete scaramucce tra i due vicepresidenti del Consiglio si risolvono con l’apparente mediazione del capo del governo.
L’equilibrio tiene e permette al PD, come bene ha scritto Jena oggi su “La Stampa”, di “tirare un sospiro di sollievo” perché tra le tentazioni di Martina di presentarsi alle primarie, la segreteria Minniti che già si intravvede e i tentativi di Zingaretti di ridare un’anima di centrosinistra a qualcosa che un’anima ce l’ha ma che è di centrodestra (economicamente parlando; poi diventano tutti difensori civici e costituzionali – salvo referendum incostituzionali di passaggio… – quando si tratta d’essere antifascisti), non c’è nessuna speranza di una opposizione parlamentare che mostri e dimostri una alterità fondata su un qualche cosa di anche lontanamente riconoscibile come “sociale” in questo Paese.
E’ bene dirlo una volta per tutte: non c’è nessuna riorganizzazione politica della sinistra nel PD. Possono esistere singoli militanti di base che si richiamano ancora alla storia del PCI o del PDS, ma la fase di sinistra del riformismo italiano finisce con i DS. La trasformazione culturale e politico-organizzativa in Partito democratico ha aperto le porte al liberismo moderato veltroniano per finire con la rottamazione estremista e la cancellazione di qualunque residuo del vecchio apparato socialdemocratico (e comunista) rimasto. L’uscita di Bersani, Speranza, D’Alema cosa non rappresentava se non quel drastico tentativo di far rivivere una sorta di PDS di nuovo modello in un’area occupata dalla fantasiosa percezione istillata nell’elettorato di sinistra secondo cui la sinistra c’era già, ed era il PD?
Un tempo si diceva che per far marciare una rivoluzione serviva anche un re… Oggi re ce ne sono fin troppi, ma di rivoluzionari non se ne vede nemmeno l’ombra. Ciò vale per noi comunisti, prima di tutto, perché dobbiamo mantenere la consapevolezza della nostra diversità rispetto a tutti quei tentativi di riedizione del centrosinistra che hanno scolorito così tanto la sinistra vera da renderla invisibile, irriconoscibile e quindi attribuibile anche a chi vuole, alla Leopolda 9, dare vita ad un “partito di persone” lasciando a casa i personalismi.
La tragedia è che chi lo afferma ha continuato nel solco berlusconiano del personalismo e lo ha rifondato facendone un elemento di assoluto primato nella politica italiana.
Con buona pace di Eugenio Scalfari, andiamo avanti nella lenta costruzione di un nuovo campo di sinistra a cui un marchio DOC può essere apposto soltanto se smaschereremo le false sinistre, i mitologici nuovi centrosinistra che qualcuno vorrebbe riproporre e far rivivere come Frankenstein e continuando a lottare contro la discesa agli inferi sovranisti e prefascisti che l’Italia si appresta ad attraversare in un Acheronte densamente popolato.
MARCO SFERINI
21 ottobre 2018
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