“Siamo diventati come i tedeschi“, titola un editoriale su un quotidiano nazionale in data odierna. Insomma, saremmo ormai disciplinati, consapevoli del nostro dovere, ligi applicatori delle norme che hanno un fine comune. Iddio ci scampi da un modello di vita così prussiano, schematicamente proteso alla sola soddisfazione del tradizionalismo patriottico, della costruzione di un inno alla Nazione attraverso la cieca obbedienza ai dettami dei governi che si susseguono e che fanno la morale tramite la disciplina economica reggente il mondo che ci circonda e ci avviluppa.
Essere diventati come i tedeschi, è tuttavia, una affermazione coraggiosa, improvvida però: dettata dal resoconto serale del primo giorno di timida apertura regolamentato nella cosiddetta “Fase 2” di lotta al Covid-19. Gli italiani hanno rispettato le norme di distanziamento singolare gli uni dagli altri; non hanno fatto la calca sugli autobus e nelle metropolitane; si sono adeguati al bilanciamento tra il primo passo al ritorno a fuoriuscite dai loculi casalinghi e tutela della salute tanto individuale quanto sociale.
E’ così. Sembra strano, ma è così. E fa anche piacere riscontrarlo. Ma qui casca l’asino, direbbe il vecchio detto. E’ davvero un aumentato senso di civismo della popolazione, spontaneo e consapevole allo stesso tempo, quindi una maturità acquisita dall’esperienza o è soltanto una risposta generale ad una forma coercitiva generata dalla paura della circolazione del virus insieme alla circolazione dei cittadini stessi?
La paura, si sa, è un potente alleato della disciplina, del rigore: soprattutto se in gioco c’è come posta in palio la vita di ognuno di noi.
A differenza del generoso titolo fatto dal giornalista ottimista che ha scritto oggi sulla crescente morale civile del popolo italiano, mi permetto di dubitare di quanto ipotizzato: non per misantropia o per asocialità; nemmeno per sfiducia nel popolo cui appartengo.
Piuttosto perché penso che le abitudini siano dure a morire, siano socialmente integrate nelle leggi non scritte di una comunità che è riottosa al rispetto delle norme, e non tanto per un sano istinto libertario da “bastian contrario“, quanto per un insano menefreghismo antisociale, tutto proteso alla valorizzazione consapevole o meno che sia di un egoismo divenuto ancestrale nelle persone. Quanto meno in una larga minoranza che riesce quasi sempre a condizionare anche la parte più civica e civile della popolazione.
I controlli serrati disposti dal governo e soprattutto il terrore di finire in una terapia intensiva intubati e incappellate da cilindri isolanti hanno consentito che la prima giornata della seconda fase di gestione della pandemia si svolgesse senza troppi incidenti, senza smargiassate o finti ribellismi frutto di un bullismo che non è scemato improvvisamente, se non per la paura del contagio.
Intendiamoci: è un bene che sia passato il messaggio della prudenza massima, persino veicolato da un qual certo terrore, ossessione ipocondriaca o paura esagerata tendente alla fobia. Ma bisogna avere contezza del fatto che, non appena si sarà registrata la ritirata del virus dai suoi avamposti di contagio e non vi sarà più alcuna recrudescenza del medesimo, quando saranno aperte le porte della così tanto celebrata “vita normale”, quasi tutti tornerà come prima e delle oggi celebrate coscienziosità individuali e sociali del popolo italiano rimarrà ben poco.
Ci sono tre tipi di anarchici in questo Paese disgraziato: quelli che lo sono ideologicamente e provano ad esserlo anche socialmente; quelli che lo sono individualmente e fanno di tutto per distruggere ogni briciolo di condivisione sociale puntando ad un nichilismo privo di qualunque sentimento egualitario; infine quelli che vorrebbero poterlo essere (come il sottoscritto) ma si ritrovano a biasimare (benevolmente, si intende) i primi ed a disprezzare i secondi.
Almeno i primi credono nell’anarchia, nell’ordine sociale fondato sulla libertà dell’individuo associato liberamente, federato con i suoi simili senza che nessun potere regoli questa vita. Ma, poi, incappano nell’errore di considerare qualunque ricorso alle regole che funzionano in questo decadente, antisociale e disumano mondo capitalistico come sempre e solo emanazione del potere, non astraibili da esso e considerate meramente come, ad esempio, “norme sanitarie“, quindi legate al filo dell’imposizione governativa solamente perché non esiste nessuna altro ente cui fare riferimento per la loro diffusione e applicazione.
E’ un anarchismo da strapazzo proprio perché ingenuo, in totale buona fede e crede di essere rivoluzionario nello sfidare qualunque regola, anche quelle che sono, in forma di Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, norme dello Stato ma che, in estrema sintesi finiscono per essere solamente buonsenso scientifico, medico, sanitario.
Ma il ribellismo anarchico da strapazzo, proprio perché è ingenuo e in buona fede, non va biasimato: vuole il bene comune ma vuole anche sfidare i divieti, farsi beffe delle restrizioni statali. E con ragione, perché sovente da un restringimento delle libertà si passa a ben altre forme di decurtazione degli spazi di agibilità sociale e individuale nel mondo quotidiano in cui viviamo.
Quello che chiamiamo “pericolo per la democrazia” è proprio questo: l’impossibile immortalità delle conquiste sociali che vanno difese giorno per giorno. Anche ai tempi del Coronavirus. Anzi, soprattutto di questi tempi.
Invece, gli altri presunti “anarchici” e ribelli, i secondi che ho citato, altro non sono che egoisti di pessimo stampo: individualisti che puntano solamente alla soddisfazione dei propri bisogni senza tenere in minima considerazione la collettività. Potranno anche definirsi libertari (anche se non credo sappiano minimamente a chi e a cosa si riferisca questo gradevole termine) ma rimangono e rimarranno dei fascisti mascherati da cittadini dediti al bene delle persone.
Naturalmente le persone autoctone, quelle “famiglie italiane” per cui fanno la spesa, gliela portano a casa ed etichettano il tutto con i loro simboli che richiamano velatamente al neofascismo del dopoguerra, alle mitologie esoteriche delle SS di Himmler, agli aspetti antropologicamente più santeristici del Terzo Reich (con tante scuse alla Santeria per aver preso in prestito un’aggettivazione utile in questo frangente).
Purtroppo, terminata la gogna del Coronavirus, quando avremo medicine, vaccini e quanto altro per difenderci dal nemico invisibile che è tra noi in questo momento, non evolveremo nella direzione del libertarismo anarchico vero, di un audace e logico comunismo, un movimento consapevole dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo, della diminuzione costante dei diritti sociali, del profitto generato da tutto questo e alimentato soprattutto dalle paure indotte dal potere economico attraverso quello politico per far accettare a tutte e tutti noi sempre maggiori compromissioni con ciò che ci è contrario in quanto a stile ed interesse di vita dignitosa da poter vivere…
No. Noi ritorneremo ad una esistenza considerata “normale“, dove lo sfruttamento è di casa, dove l’economia di mercato domina su ogni cosa e su ogni essere vivente, dove tutto è merce, a cominciare da noi che lo diventiamo nel momento in cui siamo assunti. E ben vengano le assunzioni: il lavoro nobilita l’essere umano. Ma non rende liberi, a differenza di quanto sostenevano i nazisti e di quanto ancora oggi sostengono i padroni.
MARCO SFERINI
5 maggio 2020
Foto di Mircea Iancu da Pixabay