Niger, il più recente capitolo di un disastro globale

La situazione sta sfuggendo di mano. Anzi, era già sfuggita prima ancora che si potesse avere un qualche vago sentore che le potenze occidentali avessero forse fatto qualche errore...

La situazione sta sfuggendo di mano. Anzi, era già sfuggita prima ancora che si potesse avere un qualche vago sentore che le potenze occidentali avessero forse fatto qualche errore di calcolo nel fare quella che, troppo facilmente e semplicisticamente, viene definita una “guerra per procura“.

Chi ha un minimo senso critico sa che la guerra in Ucraina è una guerra combattuta sulla pelle del popolo da due grandi schieramenti opposti: la Russia di Putin da un lato, per cui simpatizzano gli Stati che storicamente lottano contro il dominio mondiale a stelle e strisce e, dall’altro lato, per l’appunto, Washington e i suoi alleati europei uniti nel sacro, bellico vincolo della NATO, tutt’altro che difensivo.

La situazione sta sfuggendo di mano agli occidentali: si aprono delle ferite profonde in territori dove l’imperialismo ha fatto grandi danni nel corso degli ultimi decenni.

Quelli di una modernità che ha trasformato il vecchio tratto coloniale in una marcata caratteristica della dominazione globale che ha da sempre ispirato la politica estera americana; mentre l’emergere delle nuove potenze, come Cina, India, quei BRICS che vedono nel partner russo il principale aggregante, garanzia di una indipendenza nei confronti degli USA, sta facendo pendere la bilancia dei conflitti verso un multipolarismo vecchio e nuovo al tempo stesso.

Ciò che accade in Niger in questi giorni, con il colpo di Stato militare che ha rovesciato il presidente Mohamed Bazoum (appartenente al PNDS-Tarayya, Partito nigerino per la democrazia e il socialismo), con l’assalto da parte della folla all’ambasciata francese al grido di “Viva Putin!“, prende vita una lotta di potere vista dalla popolazione come una lotta anticolonialista in un paese che è il crocevia delle rotte migratorie e una fonte molto ricca di uranio.

Bastano questi due elementi per fare del Niger un esempio di come gli interessi delle potenze globali si stiano concentrando sull’Africa che affaccia sul Mediterraneo, su quella Subsahariana ridisegnando i confini delle sfere di una influenza geopolitica che vede sgomitare Stati Uniti, Russia e Cina nella partita in cui si gioca una nuova egemonia sul continente più povero della Terra.

Se Macron si dice pronto ad intervenire per difendere gli interessi della Francia, le milizie Wagner sono allertate per intervenire a sostegno dei golpisti. La Cina pare stia ad osservare la situazione, mentre penetra sempre più a fondo negli interessi economici di Stati a cui vengono fornite nuove infrastrutture e nuovi rapporti diplomatici, politici e canali privilegiati per esportazioni ed importazioni.

La guerra globale, dall’Ucraina al Sud Sudan, dal Niger al fronte caldo di Taiwan, è il braccio politico di un liberismo che, sotto evidenti o mentite spoglie, estende il suo dominio là dove ancora il mercato delle nuovissime tecnologie, dell’impiego dell’economia di guerra e di tutte le sue propaggini non era ancora arrivato fino in fondo.

A poche centinaia di chilometri di distanza, nella Repubblica centrafricana, il presidente Faustin-Archange Touadera promuove un referendum per garantirsi la rielezione oltre i due mandati fino ad ora previsti, abolisce una delle due Camere parlamentari e, in sostanza, accentra il potere su di sé consegnando il paese ad un presidenzialismo a tutto tondo, ovviamente spacciato alla popolazione come la migliore interpretazione e conseguente realizzazione di una democrazia più stabile.

Nel 2018 furono proprio i miliziani della Wagner a permettere a Touadera di rimanere al suo posto, dopo una elezione duramente contestata dalle opposizioni. Una protesta che oggi è ridottai ai minimi termini e che, quindi, lascia presagire che la concentrazione del potere avrà il corso che le è stato assegnato, facendo segnare alla Russia un altro successo in merito, perché anche oggi gli uomini di Evgenij Prigožin sono lì a guardia dell’esito del voto.

La caotica situazione africana è, quindi, un ulteriore tassello che si aggiunge alla conferma di una analisi globale sulle sperimentazioni che i nuovi imperialismi stanno conducendo in giro per il mondo.

La guerra in Ucraina, se non isolata dal resto dei conflitti che infiammano troppe regioni in tutti i continenti, ne esce non minimizzata ma emblematico esempio di una strategia di medio-lungo corso di una partita dove in palio c’è molto di più del controllo di alcune regioni filorusse.

Putin reclama per il suo paese e per i potenti che lo sostengono (e ai quali è necessario per avere garanzie internazionali nei rapporti con gli altri Stati) una indipendenza della Russia che, oggettivamente, è difficile contestare, visto che la stessa cosa hanno fatto, fanno e, si può starne certi, continueranno a fare anche gli statunitensi: sia che si ritrovino sotto una amministrazione repubblicana sia che vengano governati da una democratica, come quella attuale di Biden ed Harris.

Non di meno, la Cina da spettatrice della contesa mondiale ne diviene protagonista ormai inter pares, smentendo le voci che la davano in crisi per via del retaggio postpandemico o in stallo per la crisi continua che riguarda il Mar del Giappone e lo stretto di quella irriconosciuta Repubblica di Cina che, de facto, viene considerata uno Stato indipendente visto che mezzo mondo commercia con Taipei.

La Russia, dal canto suo, guarda sempre di più ad Est di sé stessa ed anche a Sud-Est. Il potenziamento dei giacimenti gasieri e dei relativi impianti di stoccaggio nei monti Altaj, in Jacuzia, appena sopra la Mongolia ad Irkutsk, nonché nell’estremo oriente a Sakhalin e nella penisola di Kamčatka è un chiarissimo messaggio di apertura al mercato cinese per quanto riguarda i rifornimenti energetici.

Se è escluso che la Wagner possa operare in quel settore, soprattutto dopo gli eventi che l’hanno ancora di più resa dipendente direttamente dal Cremlino, e quindi avere un ruolo mercenario nelle lotte nazionaliste tra Repubblica popolare cinese e Taiwan, non è per niente certo il suo ruolo in molti altri conflitti: a cominciare da quelli che potrebbero sorgere in seno ad un’Asia dove l’equilibrio tra i governi e gli Stati è sempre pronto a saltare.

Iran, Pakistan, Afghanistan, India e per l’appunto la Cina fanno a gara per il controllo delle nuove vie della Seta al pari dell’Europa che appare – in confronto a queste nazioni – molto più debole di quanto potrebbe, per una egemonia marittima che si infrange nell’incertezza delle guerre civili yemenite, nell’approdo al Mar Rosso che è un quadrivio di percorsi che moltiplicano la concorrenza militare, economica e finanziaria.

Il moltiplicarsi di azioni di guerra contro Mosca, direttamente in territorio russo, non fa che alzare l’asticella della probabilità che il conflitto, all’interno di questo scenario globale, rimanga ancora per molto tempo come la punta di diamante di una contesa praticata su più fronti.

Dopo la fine della presunta rivolta di Prigožin, la Cina non ha perso tempo nel garantire il suo sostegno a Mosca e ha, riaffermato quindi una amicizia bilaterale che è estesa ai paesi satelliti della Russia e agli Stati con cui esiste un fronte comune contro l’imperialismo occidentale degli USA, dell’Europa e della NATO.

Non a caso, il Giappone ha stabilito un parternariato con l’Alleanza atlantica. Punto e contrappunto, botta e risposta. Lo schacchiere internazionale si appresta a veder giocata una nuova partita in cui le risorse finanziarie internazionali saranno destinate alla corsa al riarmo, mentre miliardi di nuovi proletari, di indigenti e di poveri di lungo corso non vedranno migliorata la loro condizione da politiche nazionali e comunitarie.

Per primi i governi di destra, conservatori, atlantisti, eurocentrici soltanto per poter mettere a terra i fondi del PNRR, si attrezzeranno per risultare credibili agli occhi attenti del Fondo Monetario Internazionale. L’esempio italiano è, da questo punto di vista, abbastanza emblematico. L’attacco a tutto spiano contro le minime misure di tutela sociale rappresentate dal reddito di cittadinanza fa parte di questa economia di guerra.

Un tratto distintivo della politica estera dell’Unione Europea stessa che, dopo i primi balbettii allo scoppio della guerra in Ucraina, ha ritrovato una ampia condivisione di intenti nel dichiarare la propria subalternità alla politica imperialista americana e all’espansionismo della NATO.

La polveriera nigerina è, collocata in questo quadro desolante, un pezzo di un puzzle espansionistico russo che mette altre radici nel Sahel, rinforzando regimi tutt’altro che democratici, decisamente anticolonialisti ma nella spirale delle contraddizioni che fanno considerare Mosca meno sfruttatrice rispetto alla Francia e al resto dei vecchi paesi europei.

I corto circuiti sono tanti e difficili da risolvere senza che si aprano altre falle in un sistema economico, politico finanziario e militare che, anche a causa delle tante crisi nate nel corso degli ultimi anni (pandemia, ecosistema, sovrapopolazione, scarsità di risorse e materie prime, guerre, carestie…).

Dal G8 di Genova in avanti la critica sociale e la lotta di classe hanno tentato una correlazione e una intersezione tra i movimenti e le più differenti istanze dei singoli paesi. La ricchezza delle specificità, la moltecplicità dei tanti problemi che riguardano interi popoli hanno spesso trovata impreparata una sinistra di alternativa che avrebbe invece dovuto riorganizzare una Internazionale degli sfruttati contro questo capitalismo liberista e bellicista.

Oggi la situazione globale è nettamente peggiore rispetto a vent’anni fa, quando le marce no-global chiedevano una redistribuzione della ricchezza e un cambiamento sociale che partisse da una nuova unità del mondo del lavoro e del disagio diffuso. Con la fase del terrorismo qaedista il mondo è precipitato (ed è stato fatto precipitare…) in una voragine moltiplicatrice delle povertà e dell’indigenza.

Miliardi di salariati sono in un regime di sopravvienza mentre un sempre più ristretto pugno di supericchi spadroneggia e sbilancia tutta l’economia del pianeta in senso regressivo in un regime di privilegio assoluto.

Lottare contro questo disequilibrio globale è oggi una urgenza multidirezionale, che guarda ad un futuro privo di certezze per chiunque se il capitalismo continuerà ad esistere e se l’economia di mercato e la concorrenza saranno la cifra regolatrice delle esistenze degli animali umani, di quelli non umani e di un ecosistema alterato da violenze di cui l’uomo e non altri è responsabile.

La situazione sta sfuggendo di mano. O forse è già sfuggita… Completamente.

MARCO SFERINI

1° agosto 2023

foto: screenshot You Tube / TV

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