Le elezioni amministrative del 5 Giugno hanno rappresentato, sul piano politico generale, un semplice “test” in vista di prove ben più impegnative, a partire dal referendum di ottobre.
Ciò nonostante i dati del primo turno, riferiti alle singole forze politiche, hanno fornito alcune indicazioni di fondo che sono già state esposte e che, in questa occasione, vale la pena comunque di riprendere:
1) Il ridimensionamento del PD reduce dall’effetto “rana gonfiata” delle europee;
2) Il mantenimento di vitalità del centro destra privo però di un’efficace proiezione politica;
3) La tenuta del M5S, che tiene le posizioni in attesa di definire una strategia. M5S in attesa, con tutta probabilità, di cimentarsi con la “prova del budino” di marca romana.
4) Il vecchio “centro moderato” di matrice antico democristiana è ormai del tutto fuori gioco essendo lo spazio ben saldamente occupato in gran parte dal PD;
5) La ricostruzione della sinistra deve cercare altre vie da quello del fuoriuscitismo tardo ulivista, come nel caso di Roma e Torino (risultati molto deludenti) cercando un ricambio soprattutto posto sul piano della rielaborazione di strategia politica. Lo si vedrà molto bene al referendum di Ottobre.
L’ultimo punto, quello che riguarda la sinistra, ha bisogno di un immediato approfondimento.
Collocato a parte il “caso Napoli” sul quale andrà aperta una specifica fase di riflessione posta essenzialmente sul piano del collegamento possibile tra la situazione locale e quella generale in un quadro di nuova proposta di aggregazione politica, il risultato del 5 Giugno pare proprio mettere il piombo nelle ali al disegno di allargamento di SEL nel quadro di SI, utilizzando una parte della minoranza PD uscita, a pezzi e bocconi, dal partito.
Un progetto che non può che risultare fallimentare: si pensi a Milano, dove la giunta Pisapia non ha fatto altro che applicare il programma del centrodestra (Expo) per poi cedere parte di quello che riteneva presuntuosamente il proprio patrimonio a quelli che considerava ormai i nuovi padroni; dal rifiuto di questo meccanismo non poteva che venir fuori una deriva di stampo demoproletario, da un lato, e un fallimento totale dall’altro.
In realtà i soggetti presentatisi in questa tornata elettorale sotto l’insegna della “Sinistra” generica o in varie altre forme hanno scontato decenni di improgettualità subalterna all’interno delle diverse amministrazioni (in questo risiede la “diversità napoletana”) e la visione ancora vetero – ulivista del proprio autoreferenziale gruppo dirigente.
E’ inutile scrivere e gridare che il centrosinistra non esiste più e non avanzare una proposta alternativa, posta sul terreno delle coordinate di fondo delle necessità politiche dell’oggi.
Naturalmente va considerato come del tutto ridicolo il goffo tentativo di giravolta di Renzi: il punto di partenza non può che essere quello di un’autonomia ideale, politica, organizzativa senza sconti di sorta.
Non ci può essere nessuna tentazione fintamente neo-ulivista, proprio perché irrealizzabile proprio sul terreno più propriamente politico.
Torniamo all’analisi della sinistra, per quanto questa parte dello schieramento politico possa essere presente sulla scena dell’attualità.
Prima di tutto è mancata la capacità di aprire un ciclo di lotte avverso il governo in quanto tale e quindi specificatamente contro i suoi provvedimenti specifici: non è il caso di avanzare l’esempio della Francia, lontana da noi anni luce, ma sulle questioni del lavoro e della pace non si può pensare di costruire una soggettività politica adeguata al livello dello scontro in atto senza – appunto – portare avanti la proposta e la capacità organizzativa di un vero e proprio fase di scontro sociale aperto.
In secondo luogo andrebbe aperto un dibattito sul quale misurare davvero la possibilità di costruzione di un nuovo insieme di quadri politici attorno ai nodi che la fase storica propone: in realtà si è proceduto senza analizzare il concreto mutarsi e modificarsi, nella società complessa, delle “fratture sociali” sulle quali si erano basate le grandi spinte ideali, sociali e politiche del ‘900. Sarebbe urgente, ma non è ancora stata tentata, una vera e propria riclassificazione sul piano teorico della teoria “delle fratture” a suo tempo elaborata da Stein Rokkan.
E’ evidente che ci troviamo in una fase d’intreccio diverso tra ciò che era stato definito come “struttura” e quanto era stato valutato come “sovrastruttura”. E’ altrettanto evidente però che il “nocciolo duro”, l’essenza delle contraddizioni è rimasto pienamente in campo e deve essere affrontato con un’idea di progetto complessivo a livello sistemico che preveda come la storia proceda in avanti.
Sotto quest’aspetto il cammino da compiere è lunghissimo, ma non si può rispondere a un “credo” ideologico dismettendo completamente la tavola dei valori che tradizionalmente ci è appartenuta.
Anche perché quella tavola dei valori è ancora completamente valida anche nel XXI secolo e lo è ancor di più rispetto ai tre grandi temi che, intrecciati a quello della mercificazione e dello sfruttamento del lavoro umano, debbono essere affrontati: la guerra come fattore permanente di una crudele instabilità dalla quale derivano i drammi del terrorismo, delle migrazioni, del conflitto endemico tra centro e periferie; l’ambiente . Il tema dell’ambiente deve essere valutato sia sotto l’aspetto del clima, dell’utilizzo indiscriminato delle risorse, di una riproposizione del tema città –campagna a dimensione globale.
Tema che ormai sostituisce quello Nord – Sud, in una fase dove assistiamo a un arretramento del tipo di processo di globalizzazione che ha caratterizzato gli ultimi decenni e a una crisi – l’ennesima – dei modelli statuali sui quali pareva essersi fondata la risposta possibile. E ancora : la differenza di genere nel suo comportare livelli specifici di sopraffazione all’interno di un quadro generale di esercizio del dominio;
L’individualizzazione proprietaria che ha caratterizzato gli ultimi decenni nell’usufruire di un consumismo privo di regole(con l’assunzione di un dato di vera e propria egemonia del valore di scambio rispetto a quello d’uso) collegata con la totale mercificazione dell’apparato tecnologico usato in materia di comunicazione hanno portato a una forte spinta personalistica nell’insieme della proposta politica.
Si è così radicalmente modificato il presentarsi, nello sviluppo della vita delle persone, delle occasioni d’impegno politico.
Hanno preso campo elementi pressoché sconosciuti alla sinistra oppure storicamente estranei anche sul piano culturale: dall’utilizzo del corpo (biopolitica) alla personalizzazione dei messaggi; al restringimento al campo dell’utilità immediata della capacità d’impegno dei singoli che, soltanto sulla base di quel tipo di utilità, trovano ragione per mettere in discussione se stessi nell’arena politica.
Sovrasta l’insieme di questi possibili ragionamenti l’interrogativo riguardante la democrazia, almeno nella sua forma liberale assunta via via a partire dal costituzionalismo monarchico poi repubblicano, nelle sue diverse versioni.
L’Europa ha già vissuto la fase drammatica dei totalitarismi e, adesso, pare mutata anche la stessa prospettiva dei termini classici di assunzione del potere in termini personalistici.
Crisi dello stato- nazionale, sovranazionalità e trans nazionalità, queste le frontiere ancora inesplorate del prossimo possibile assetto delle forme di convivenza civile.
Nel frattempo appare sempre più evidente la disaffezione che grandi masse alle forme codificate della partecipazione politica, in particolare di quelle elettorali.
Disaffezione non colmabile attraverso l’utilizzo delle nuove tecnologie di comunicazione e che rappresenta (nonostante circoli molta sottovalutazione) un possibile fattore di crisi sistemica che qualcuno potrebbe cercare di colmare attraverso forme inedite di potere identificabile come di tipo dittatoriale e comunque esercitato da oligarchie tecnocratiche.
Emerge così, in Italia e fuori d’Italia, l’esigenza di lavorare sia sul terreno teorico sia su quello immediatamente politico, per la ricostruzione di una soggettività di sinistra collegata a precise istanze che derivano dalla nostra storia, all’identificazione nell’attualità di precisi filoni culturali di riferimento, alla progettazione di adeguate iniziative politiche sia al riguardo della struttura del soggetto sia sul piano progettuale – programmatico.
La qualità stessa della gestione capitalistica della crisi (che abbiamo tante volte analizzata come orientata nel senso complessivo della “ricollocazione di classe” ed espressione di una “nuova repressione”) reclama la necessità impellente di agire su questo piano.
I punti di partenza sul piano teorico di una possibile ricostruzione a sinistra, considerato anche come si sta evolvendo il quadro politico italiano ed europeo debbono essere due: autonomia e identità.
E la vocazione? Quella di produrre egemonia prima di tutto sul piano culturale verso i settori sociali di riferimento.
Una triade inaleniabile: autonomia, identità egemonia nel pieno rispetto della nostra storia.
FRANCO ASTENGO
redazionale
foto tratta da Wikipedia