Nessun compromesso?

Nella citazione tolta dall’opuscolo di Francoforte abbiamo visto con quale risolutezza i «sinistri» avanzano questa parola d’ordine. È triste vedere come degli uomini, i quali indubbiamente si considerano marxisti...
Lenin rientra in Russia, sul treno piombato, passando per la Finlandia

Nella citazione tolta dall’opuscolo di Francoforte abbiamo visto con quale risolutezza i «sinistri» avanzano questa parola d’ordine. È triste vedere come degli uomini, i quali indubbiamente si considerano marxisti e vogliono essere marxisti, abbiano dimenticato le verità fondamentali del marxismo. Ecco che cosa scriveva -nel 1874, contro il manifesto dei 33 comunardi blanquisti- Engels, il quale appartiene, come Marx, a quei rari e rarissimi scrittori nei quali ogni frase di ognuna delle opere maggiori ha un contenuto di ammirevole profondità:

«…Noi siamo comunisti» (hanno scritto i comunardi blanquisti nel loro manifesto) «perché vogliamo raggiungere il nostro scopo senza fermarci nelle stazioni intermedie, senza addivenire a compromessi, i quali altro non fanno che allontanare il giorno della vittoria e prolungare il periodo della schiavitù».

I comunisti tedeschi sono comunisti perché attraverso tutte le stazioni intermedie e tutti i compromessi, che sono stati creati non da loro, ma nel corso dello sviluppo storico, vedono chiaramente e perseguono costantemente lo scopo finale: l’abolizione delle classi e la creazione di un ordine sociale in cui non ci sia più posto per la proprietà privata della terra e di tutti i mezzi di produzione. I 33 blanquisti sono comunisti, perché immaginano che, dal momento che essi vogliono saltare le stazioni intermedie e i compromessi, la cosa sia bell’e fatta, e che se (come essi credono fermamente) l’affare “incomincerà” a giorni e il potere verrà a trovarsi nelle loro mani, il giorno dopo “sarà instaurato il comunismo”. In conseguenza, se la cosa non si può far subito, essi non sono comunisti.

Quale puerile ingenuità portare come argomento teorico la propria impazienza! (Engels, Il programma dei comunardi blanquisti, dal giornale socialdemocratico tedesco Volkstaat, 1874).

Engels esprime in questo stesso articolo la sua profonda stima per Vaillant e parla dell’«incontestabile merito» di Vaillant (che fu come Guesde, un capo eminentissimo del socialismo internazionale fino a quando entrambi non tradirono il socialismo nell’agosto 1914) . Ma Engels non lascia passare senza un’analisi minuziosa un errore evidente. Naturalmente a rivoluzionari molto giovani e inesperti, come pure a rivoluzionari piccolo-borghesi, anche se di età veneranda e molto esperti, sembra straordinariamente “pericoloso”, incomprensibile, sbagliato, “permettere i compromessi”. E molti sofisti (che sono politicastri “superesperti” o troppo “esperti”) ragionano proprio come i capi inglesi dell’opportunismo ricordati dal compagno Lansbury: «Se ai bolscevichi si permette questo compromesso, perché non si permette a noi qualsiasi compromesso?».

Ma i proletari che si sono educati a traverso ripetuti scioperi (per prendere questa sola manifestazione della lotta di classe), assimilano di solito mirabilmente la profondissima verità (filosofica, storica, politica, psicologica) esposta da Engels. Ogni proletario ha partecipato a qualche sciopero, ha sperimentato qualche “compromesso” con gli odiati oppressori e sfruttatori quando gli operai dovevano riprendere il lavoro o senza avere ottenuto nulla o accettando un parziale soddisfacimento delle loro rivendicazioni.

Ogni proletario, grazie alla situazione di lotta delle masse e di forte inasprimento dei contrasti di classe in cui egli vive, osserva la differenza fra un compromesso imposto dalle condizioni obiettive (la cassa degli scioperanti è povera, essi non ricevono aiuti, hanno sofferto la fame e sono estenuati fino all’impossibile), cioè fra un compromesso che non pregiudica affatto l’abnegazione rivoluzionaria e la volontà di continuare la lotta degli operai che lo concludono, e il compromesso dei traditori, che scaricano sulle cause obiettive il loro panciafichismo (anche i crumiri concludono dei «compromessi»!) , la loro vigliaccheria, il loro desiderio di ingraziarsi i capitalisti, la loro arrendevolezza di fronte alle intimidazioni, talvolta di fronte alle lusinghe, talvolta di fronte alle elemosine dei capitalisti. (Tali compromessi di traditori sono particolarmente numerosi nella storia del movimento operaio inglese, ad opera dei capi delle trade-unions inglesi, ma quasi tutti gli operai hanno osservato in tutti i paesi in una forma o nell’altra fenomeni analoghi).

Ci sono senza dubbio dei casi singoli, straordinariamente gravi e intricati, nei quali soltanto con grandissimi sforzi si riesce a determinare giustamente il carattere reale di questo o di quel «compromesso», come ci sono casi di omicidio nei quali non è facile decidere se si tratti di un omicidio giustificato o magari necessario (ad esempio per legittima difesa), o di una imperdonabile negligenza, o magari di un piano astuto sottilmente messo in opera. Si intende che in politica, dove si tratta talvolta di rapporti reciproci estremamente complicati – nazionali e internazionali- tra classi e partiti, ci saranno molti casi di gran lunga più difficili del «compromesso» legittimo in caso di sciopero o del «compromesso» proditorio del crumiro, del capo traditore, ecc.

Fabbricare una ricetta o una regola generale («nessun compromesso»!) che serva per tutti i casi, è una scempiaggine. Bisogna che ognuno abbia la testa sulle spalle, per sapersi orientare in ogni singolo caso. L’importanza dell’organizzazione di partito e dei capi di partito che meritano questo appellativo, consiste per l’appunto, tra l’altro, nell’elaborare – mediante un lavoro lungo, tenace, vario, multiforme di tutti i rappresentanti pensanti di una data classe[1] – le cognizioni necessarie, la necessaria esperienza e – oltre le cognizioni e l’esperienza- il fiuto politico necessario per risolvere rapidamente e giustamente le questioni politiche complicate.

Persone ingenue e affatto inesperte immaginano che basti riconoscere l’ammissibilità dei compromessi in genere per cancellare ogni barriera tra l’opportunismo, contro il quale conduciamo e dobbiamo condurre una lotta implacabile, e il marxismo rivoluzionario o comunismo. Ma tali persone, se ancora non sanno che tutti i limiti, nella natura come nella società, sono mobili, e fino a un certo punto convenzionali, non possono trarre nessun giovamento, se non da una lunga opera di istruzione, di educazione, di studio, di esperienza politica e di esperienza della vita. Nelle questioni pratiche della politica che si pongono in ogni singolo momento o in un momento storico specifico, è importante saper discernere le questioni nelle quali si manifesta la forma principale di compromessi inammissibili, proditori, che incarnano l’opportunismo esiziale alla classe rivoluzionaria, e far convergere tutte le forze a smascherarli, a combatterli.

Durante la guerra imperialista del 1914-1918, tra due gruppi di Stati egualmente rapaci e predoni, il socialsciovinismo, cioè l’appoggio alla «difesa della patria», che equivaleva in realtà, in una guerra simile, alla difesa degli interessi briganteschi della «propria» borghesia, fu appunto la forma capitale, fondamentale dell’opportunismo. Dopo la guerra, la difesa della rapace «Società delle Nazioni», la difesa delle alleanze dirette o indirette con la borghesia del proprio paese contro il proletariato rivoluzionario e il movimento «sovietico»; la difesa della democrazia borghese e del parlamentarismo borghese contro il «potere dei Soviet», furono le più importanti manifestazioni di compromessi inammissibili e proditori, i quali, nel loro complesso, rappresentavano un opportunismo esiziale per il proletariato rivoluzionario e per la sua causa.

…Bisogna respingere nel modo più energico qualsiasi compromesso con altri partiti…ogni politica di destreggiamento e di accordi, scrivono i «sinistri» tedeschi nell’opuscolo di Francoforte.

C’è da stupirsi che questi «sinistri», con queste opinioni, non pronuncino una recisa condanna del bolscevismo! Non è infatti possibile che i «sinistri», tedeschi non sappiano che tutta la storia del bolscevismo, prima e dopo la Rivoluzione di Ottobre, è piena di casi di destreggiamenti, di accordi, di compromessi con altri partiti, compresi i partiti borghesi!

Condurre la guerra per il rovesciamento della borghesia internazionale, guerra cento volte più difficile, più lunga e più complicata della più accanita delle guerre abituali tra gli Stati, e rinunciare in anticipo e destreggiarsi, a sfruttare gli antagonismi di interessi (sia pure temporanei) tra i propri nemici, rinunciare agli accordi e ai compromessi con dei possibili alleati (sia pure temporanei, poco sicuri, esitanti, condizionati), non è cosa infinitamente ridicola?

Non è come se nell’ardua scalata di un monte ancora inesplorato e inaccessibile, si rinunciasse preventivamente a far talora degli zigzag, a ritornare qualche volta sui propri passi, a lasciare la direzione presa all’inizio per tentare direzioni diverse? E alcuni membri del Partito comunista olandese hanno potuto appoggiare – poco importa se direttamente o indirettamente, se apertamente o di nascosto, in tutto o in parte – della gente così poco cosciente e tal segno inesperta!! (E meno male se ciò si spiega con la loro gioventù: da giovani Dio stesso vuole che, per un certo tempo, si dicano simili sciocchezze!).

Dopo la prima rivoluzione socialista del proletariato, dopo l’abbattimento della borghesia in un paese, il proletariato di questo paese resta per molto tempo più debole della borghesia, anche semplicemente a causa dei formidabili legami internazionali della borghesia, poi a causa della ricostruzione, della rinascita spontanea e continua del capitalismo e della borghesia ad opera dei piccoli produttori di merci nel paese stesso che ha abbattuto il dominio borghese.

Si può vincere un nemico più potente soltanto con la massima tensione delle forze e alla condizione necessaria di utilizzare nella maniera più diligente, accurata, attenta, abile, ogni benché minima «incrinatura» tra i nemici, ogni contrasto di interessi tra la borghesia dei diversi paesi, tra i vari gruppi e le varie specie di borghesia nell’interno di ogni singolo paese, e anche ogni minima possibilità di guadagnarsi un alleato numericamente forte, sia pure temporaneo, incerto, incostante, instabile, infido, non incondizionato.

Chi non ha capito questo, non ha capito un acca né del marxismo, né del  moderno socialismo scientifico in generale. Chi non ha praticamente dimostrato, durante un periodo di tempo abbastanza lungo e in situazioni politiche abbastanza varie, di essere capace di applicare nella pratica questa verità, non ha ancora imparato ad aiutare la classe rivoluzionaria nella sua lotta per liberare tutta l’umanità lavoratrice dagli sfruttatori. E ciò che si è detto si riferisce egualmente al periodo anteriore e al periodo successivo alla conquista del potere politico da parte del proletariato.

La nostra teoria non è un dogma, ma una guida per l’azione -dicevano Marx ed Engels – e il massimo errore e il massimo delitto dei marxisti «patentati» come Carlo Kautsky, Otto Bauer, ecc., è di non aver compreso questo, di non averlo saputo applicare nei più importanti momenti della rivoluzione del proletariato. «L’attività politica non è il marciapiede della Prospettiva della Neva» (il marciapiede pulito, largo, piano della via principale di Pietroburgo, assolutamente rettilinea), aveva già detto N.G.Cernyscevski, il grande socialista russo del periodo premarxista. I rivoluzionari russi, fin dal tempo di Cernyscevski, hanno scontato con innumerevoli sacrifici la voluta ignoranza e l’oblio di questa verità. Bisogna ottenere ad ogni costo che i comunisti di sinistra e i rivoluzionari dell’Europa occidentale e dell’America, devoti alla classe operaia, non abbiano da pagare l’assimilazione di questa verità tanto cara quanto gli arretrati russi.

I socialdemocratici rivoluzionari russi, fino alla caduta dello zarismo, hanno ripetutamente approfittato di servizi dei liberali borghesi, cioè hanno concluso con i liberali un gran numero di compromessi pratici: e nel 1901-1902, ancor prima del sorgere del bolscevismo, la vecchia direzione dell’ Iskra (della quale facevano parte Plekhanov, Axselrod, Zassulic, Martov, Potressov ed io) concluse (non per molto tempo, è vero) una formale alleanza politica con Struve, capo politico del liberalismo borghese, pur sapendo condurre in pari tempo, senza interruzione, la lotta più spietata, ideologica e politica, contro il liberalismo borghese e contro le minime manifestazioni della sua influenza in seno al movimento operaio.

I bolscevichi hanno sempre continuato quella politica. Dal 1905 in poi hanno propugnato sistematicamente l’alleanza della classe operaia con i contadini, contro la borghesia liberale e lo zarismo, senza mai rinunciare tuttavia ad appoggiare la borghesia contro lo zarismo (per esempio nelle elezioni di secondo grado e nei ballottaggi) e senza cessare la lotta ideologica e politica più intransigente contro il partito contadino rivoluzionario borghese, i «socialisti-rivoluzionari», smascherandoli come democratici piccolo/borghesi che si annoveravano falsamente tra i socialisti.

Nel 1907, i bolscevichi conclusero, per breve tempo, un blocco politico formale con in «socialisti-rivoluzionari» per le elezioni alla Duma (il 3 giugno 1907 il governo zarista sciolse la Duma ed emanò una nuova legge elettorale che assicurava la maggioranza assoluta al blocco agrario industriale. I bolscevichi sia allearono con i socialisti/rivoluzionari e con i menscevichi per riuscire ad eleggere alcuni rappresentanti del movimento operaio e contadino) . Con i menscevichi, nel periodo dal 1903 al 1912, fummo formalmente uniti par alcuni anni in un unico partito socialdemocratico, senza mai cessare la lotta ideologica e politica contro di essi, come veicoli dell’influenza borghese nel proletariato e come opportunisti. Durante la guerra, concludemmo una specie di compromesso con i «kautskiani», con i menscevichi di sinistra (Martov) e con una parte dei “socialisti rivoluzionari” (Cernov, Nathanson) sedendo insieme con essi a Zimmerwald e a Kienthal e pubblicando manifesti comuni, ma senza interrompere né indebolire mai la lotta ideologica e politica contro i «kautskiani», contro Martov e Cernov (Nathanson morì nel 1919 quando era vicinissimo a noi, quasi solidale con noi, «comunista rivoluzionario» populista).

Al momento stesso della Rivoluzione di Ottobre concludemmo con i contadini piccolo-borghesi un blocco politico non formale, ma assai importante (e fruttuosissimo) , accettando integralmente, senza nessun mutamento, il programma agrario socialista-rivoluzionario, ossia accedemmo indubbiamente a un compromesso per dimostrare ai contadini che non volevamo imporre loro un nostro diritto di primogenitura, ma che volevamo intenderci con loro. In pari tempo, proponemmo (e poco tempo dopo realizzammo) un blocco politico formale -che implicava la partecipazione al governo- ai «socialisti-rivoluzionari di sinistra», i quali, dopo la conclusione della pace di Brest, denunciarono questo blocco e in seguito, nel luglio 1918, arrivarono fino all’insurrezione armata contro di noi e infine alla lotta armata contro di noi.

È quindi comprensibile che gli attacchi dei «sinistri» tedeschi contro il Comitato centrale del Partito comunista di Germania, per avere esso accettato l’idea di un blocco con gli «indipendenti» (Partito socialdemocratico indipendente della Germania, kautskiani) , non ci sembrino affatto seri e ci sembrino una dimostrazione evidente dell’errore dei «sinistri». Anche da noi, in Russia, c’erano dei menscevichi di destra (che facevano parte del governo Kerenski) corrispondenti agli Scheidemann tedeschi, e dei menscevichi di sinistra (Martov) , in opposizione ai menscevichi di destra, e corrispondenti ai kautskiani tedeschi. Nell’anno 1917 abbiamo notato chiaramente il graduale passaggio delle masse operaie dei menscevichi ai bolscevichi: al I Congresso dei Soviet di tutta la Russia, nel giugno 1917, avevamo in tutto il 13% dei voti. I socialisti-rivoluzionari e i menscevichi avevano la maggioranza. Al II Congresso dei Soviet (7-11-1917) avevamo il 51% dei voti. Perché in Germania lo stesso spostamento degli operai, in tutto analogo, da destra e da sinistra, non ha condotto al rafforzamento immediato dei comunisti, ma dapprima, al rafforzamento del partito intermedio degli «indipendenti», benché questo partito non avesse una idea politica propria, né una politica indipendente, ma oscillasse fra gli Scheidemann e i comunisti?

È chiaro che una delle cause fu la tattica sbagliata dei comunisti tedeschi, i quali devono riconoscere coraggiosamente e onestamente questo errore e imparare a correggerlo. L’errore consistette nel rifiuto di partecipare al Parlamento borghese reazionario e ai sindacatireazionari, l’errore consistette in numerose manifestazioni di quella malattia infantile «di sinistra» che ora si è evidenziata e che perciò potrà essere curata tanto meglio, tanto più rapidamente e con tanto maggior vantaggio per l’organismo.

Il «Partito socialdemocratico indipendente» della Germania è, in sé, evidentemente eterogeneo: accanto ai vecchi capi opportunisti (Kautsky, Hilferding e, in buona misura, pare, anche Crispien, Ledebour e altri) , che hanno dimostrato la loro incapacità di comprendere l’importanza del potere sovietico e della dittatura del proletariato, la loro incapacità di dirigere la lotta rivoluzionaria del proletariato, si è formata in questo partito un’ ala sinistra proletaria che cresce con rapidità sorprendente. Centinaia di migliaia di iscritti a questo partito (il quale,credo, conta 750 mila membri) sono proletari che vanno allontanandosi da Scheidemann e si avvicinano rapidamente al comunismo. Già al Congresso degli «indipendenti» tenutosi a Lipsia (1919) , quest’ala proletaria reclamava l’adesione immediata e incondizionata alla III Internazionale. Aver paura di un«compromesso» con quest’ala del partito è addirittura ridicolo. Al contrario, i comunisti devono assolutamente cercare e trovare una forma adeguata di compromesso con essa, un compromesso cha da una parte faciliti e affretti la necessaria fusione completa con quest’ ala degli «indipendenti», e, dall’altra, non ostacoli in nessun modo i comunisti nella loro lotta ideologica e politica contro l’ala  destra opportunista degli «indipendenti».

Verosimilmente non sarà facile elaborare una forma adatta di compromesso; ma soltanto un ciarlatano potrebbe promettere agli operai e ai comunisti tedeschi una via «facile» per la vittoria.

Il capitalismo non sarebbe capitalismo se il proletariato «puro» non fosse circondato da una folla straordinariamente variopinta di tipi intermedi tra il proletario e il semiproletario (colui che si procura di che vivere solo a metà mediante la vendita della propria forza-lavoro) tra il semiproletario e il piccolo contadino (e il piccolo artigiano, il piccolo padrone in generale) , tra il piccolo contadino e il contadino medio, ecc.; e se, in seno al proletariato stesso, non vi fossero delle

suddivisioni in strati più o meno sviluppati, delle suddivisioni per regione, per mestiere, talvolta per religioni, ecc. E da tutto ciò deriva la necessità, la necessità assoluta e incondizionata per l’avanguardia del proletariato, per la parte cosciente di esso, per il partito comunista, di destreggiarsi, di stringere accordi, compromessi con i diversi gruppi di proletari, con i diversi partiti di operai e di piccoli padroni. Tutto sta nel saper impiegare questa tattica allo scopo di elevare, e non di abbassare il livello generale della coscienza proletaria, dello spirito rivoluzionario del proletariato, della sua capacità di lottare e di vincere. Bisogna notare fra l’altro che la vittoria dei bolscevichi sui menscevichi richiese, non soltanto prima della rivoluzione dell’ottobre 1917, ma anche dopo di essa, l’uso di una tattica di destreggiamenti, di accordi, di compromessi, naturalmente tali da facilitare, accelerare, consolidare e rafforzare i bolscevichi a spese dei menscevichi.

I democratici piccolo-borghesi (compresi i menscevichi) oscillano inevitabilmente tra la borghesia e il proletariato, tra la democrazia borghese e il regime dei Soviet, tra il riformismo e lo spirito rivoluzionario, tra la simpatia per gli operai e la paura della dittatura proletaria, ecc. La giusta tattica dei comunisti deve consistere nell’utilizzare queste oscillazioni e non nell’ignorarle, e la loro utilizzazione esige che si facciano delle concessioni a quegli elementi che si orientano verso il proletariato nel momento e nella misura in cui si orientano verso di esso, lottando in pari tempo contro gli elementi che si orientano, invece, verso la borghesia.

In seguito all’applicazione di una giusta tattica, il menscevismo, da noi, andò e va tuttora sempre più disgregandosi; vengono isolati i capi ostinatamente opportunisti e passano nel nostro campo i migliori operai, i migliori elementi della democrazia piccolo-borghese. È questo un processo di lunga durata, e la frettolosa «risoluzione»: «nessun compromesso, nessun destreggiamento», può soltanto recar danno al rafforzamento dell’influenza e all’accrescimento delle forze del proletariato rivoluzionario.

Da ultimo, un errore in contestabile dei «sinistri» in Germania, è la rigida insistenza con la quale negano ogni riconoscimento della pace di Versailles.

Quanto più «solida» e «grave», quanto più «recisa» e inappellabile è la formulazione che viene data di questa opinione, per esempio da K.Horner, tanto meno ciò appare intelligente Non basta rinnegare la madornali assurdità del «bolscevismo nazionale» (Laufenberg e altri) , che nell’attuale situazione della rivoluzione proletaria internazionale si è spinto fino al blocco con la borghesia tedesca per una guerra contro l’Intesa. Bisogna comprendere che una tattica la quale non ammette la necessità in cui verrebbe a trovarsi la Germania sovietica (se fra breve sorgesse una Repubblica sovietica tedesca) di riconoscere, per un certo tempo, la pace di Versailles e sottomettersi ad essa, è radicalmente sbagliata.

Da ciò non consegue che gli «indipendenti» abbiano avuto ragione -mentre al governo si trovavano degli Scheidemann, mentre il potere sovietico in Ungheria non era ancora caduto , mentre non era ancora esclusa la possibilità di un intervento della rivoluzione sovietica di Vienna in aiuto dell’Ungheria dei Soviet -di esigere in quelle circostanze la firma della pace di Versailles. In quel momento, gli «indipendenti» si barcamenarono e manovrarono molto male, perché si addossarono una responsabilità più o meno grande per conto dei traditori Scheidemann, e scivolarono più o meno dalla concezione di una lotta di classe la più spietata (e ponderata) contro gli Scheidemann a una concezione «al di fuori delle classi» e «al di sopra delle classi».

Ma oggi la situazione è evidentemente tale, che i comunisti di Germania non devono legarsi le mani e non devono impegnarsi a un rifiuto assoluto e obbligatorio della pace di Versailles in caso di vittoria del comunismo. Ciò sarebbe sciocco. Bisogna dire: gli Scheidemann e i kautskiani hanno commesso una serie di tradimenti che hanno reso difficile (e in parte hanno addirittura rovinato) la causa dell’alleanza con la Russia sovietica e con l’Ungheria sovietica. Noi comunisti favoriremo e prepareremo quest’alleanza con tutti i mezzi, ma con questo non siamo affatto obbligati a denunciare assolutamente e, per giunta, a denunciare subito la pace di Versailles. La possibilità di respingerla con buoni risultati non dipende soltanto dai successi tedeschi, ma dai successi internazionali del movimento sovietico. Gli Scheidemann e i kautskiani hanno ostacolato questo movimento: noi lo aiutiamo.

Questa è la sostanza della questione, questa è la differenza radicale. E se i nostri nemici di classe, gli sfruttatori, i loro servitori, gli Scheidemann a i kautskiani, hanno lasciato passare numerose occasioni di rafforzare il movimento sovietico tedesco e internazionale, di rafforzare la rivoluzione sovietica tedesca e internazionale, la colpa ricade su di loro. La rivoluzione sovietica in Germania rafforzerà il movimento sovietico internazionale, che è il più forte baluardo (e l’unico baluardo sicuro, invincibile, la cui potenza è universale) contro la pace di Versailles, contro l’imperialismo internazionale in genere. Voler dare per forza, a tutti i costi e subito, al problema della propria liberazione della pace di Versailles, la precedenza sul problema della liberazione di tanti altri paesi oppressi dal giogo dell’imperialismo, è segno di nazionalismo piccolo-borghese (degno dei Kautsky, degli Hilferding, degli Otto Bauer e compagni) , e non di internazionalismo rivoluzionario.

L’abbattimento della borghesia in uno qualunque dei grandi paesi europei, quindi anche in Germania, è un tale vantaggio per la rivoluzione internazionale, che per ottenerlo si può e si deve accettare -se ciò sarà necessario- una più lunga esistenza della pace di Versailles. Se la Russia, da sola, fu in grado di sopportare per alcuni mesi la pace di Brest con vantaggio per la rivoluzione, non è per nulla impossibile che la Germania sovietica, in alleanza con la Russia sovietica, sopporti con vantaggio della rivoluzione una più lunga esistenza della pace di Versailles.

Gli imperialisti di Francia, Inghilterra, ecc. provocano i comunisti tedeschi, tendono loro una trappola: «Dite che non firmerete la pace di Versailles». E i comunisti di sinistra cadono come bambini in quella trappola predisposta per essi, invece di manovrare abilmente contro il nemico insidioso e in questo momento più forte, invece di rispondere: «Oggi, noi firmeremo la pace di Versailles».

Legarsi anticipatamente le mani, dire apertamente al nemico, oggi meglio armato di noi, se e quando ci batteremo con lui, è una sciocchezza e non segno di spirito rivoluzionario. Accettare la battaglia quando ciò è manifestamente vantaggioso per il nemico e non per noi, è un delitto; e quei politici della classe rivoluzionaria che non sanno «destreggiare, stringere accordi e compromessi» per evitare una battaglia manifestamente svantaggiosa, non valgono un bel niente.

LENIN
tratto da “Estremismo, malattia infantile del comunismo
(1920)

da Marxpedia


Note:

[1] Ogni classe, anche se è più progredita e se le circostanze del momento hanno suscitato in essa un prodigioso slancio di tutte le sue forze intelletttuali, anche se si trova a operare nel paese più civile, conta semre – e fin quando sussisteranno le classi, fin quando la società senza classi non si sarà pienamente rafforzata, consolidata, sviluppata sulla sua base, conterà inevitabilmente – dei rappresentanti che non pensano e che sono incapaci di pensare. Se non fosse così, il capitalismo non sarebbe un capitalismo oppressore delle masse.

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Comunismo e comunisti

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