C’è ancora vita a sinistra. Per quanto sofferta e contrastata, la spinta che proviene da molte città a proseguire in un nuovo cammino è uno degli aspetti più confortanti di questa affannosa fase politica. E ciò, nonostante i recenti risultati elettorali non appaiano particolarmente brillanti, tranne alcune non casuali eccezioni, da Napoli a Sesto Fiorentino.
Ma queste nuove esperienze unitarie che si sono misurate con le diverse elezioni amministrative costituiscono già una densità sufficiente ad avviare processi più larghi? Forse sì, ma a condizione di continuare ad agire nelle città e nei territori recuperando quella tensione militante che negli ultimi tempi è stata dispersa. In forme nuove e con linguaggi altrettanto nuovi. Partecipando ai conflitti, alimentando le lotte, affiancandosi alle vertenze. Ma soprattutto promuovendo attivismo politico, sociale e culturale: come fossero già quel soggetto politico che è invece ancora in formazione. E poi interpretando il proprio ruolo nei consigli comunali e nelle giunte come elemento di rottura delle compatibilità economiche di cui sono prigionieri gli enti locali. Fino alla disobbedienza amministrativa, fino alla ribellione istituzionale.
Oggi non si può più esercitare una funzione, di governo o d’opposizione che sia, se costretti ad allinearsi ai tagli di bilancio, allo smantellamento dei servizi, alla svendita del patrimonio pubblico, alle privatizzazioni delle aziende locali. Ed è così, lottando e governando, che sono cresciute le nuove formazioni politiche che oggi agiscono da protagoniste in molti paesi europei. Nelle città, nelle aree metropolitane, nelle regioni. Come una costellazione di presidii di resistenza contro le politiche liberiste della Commissione europea, sussunte e perseguite dai vari governi. Una rete molecolare di movimenti, partiti, sindacati, realtà sociali ed esperienze culturali, una massa critica che in Grecia, in Spagna, in Portogallo è stata già capace di competere e misurarsi a una scala nazionale.
Pur nei dovuti limiti, scontando le esitazioni di ogni debutto, l’assemblea delle Città in comune di qualche giorno fa a Roma, ha rappresentato un primo tentativo di promuovere anche in Italia quel reticolo politico-sociale, necessario al rilancio della sinistra. E dalle cospicue presenze, oltreché dalla loro qualità, dall’intensità di un dibattito largamente omogeneo, dall’intenzionalità positiva a collaborare e compattarsi, possiamo dire che l’incontro si è rivelato un successo.
L’assemblea è servita innanzitutto a riconoscersi in una scelta di netta distinzione e autonomia, e a prefigurare una nuova traiettoria politica, unitaria ma anche plurale, accogliente, inclusiva, rivolta a chi continua a essere di sinistra e soprattutto a chi non sa di esserlo. Un’opera aperta, insomma, che si offre come ambito di confronto e discussione, relazioni e scambi. Com’è già avvenuto con gli organizzatori dell’incontro La sinistra di tutt@ del 2 luglio scorso, Giorgio Airaudo e Giulio Marcon.
In settembre, compatibilmente con le scadenze referendarie, le Città in comune torneranno a riunirsi per consolidare una prima intelaiatura organizzativa e per definire piattaforme, programmi e battaglie politiche.
Se l’obiettivo è riaprire quella prospettiva politica che oggi sembra indebolirsi e languire tra amari ripensamenti e ingannevoli arroccamenti. Se la volontà è ricostruire e rilanciare un progetto di alternativa, di promuovere una nuova cultura, una nuova passione, un nuovo immaginario. Se insomma s’intende riprendere un cammino, facendosi spazio tra la crisi del centrismo del Pd e il furore indifferenziato dei Cinquestelle, non c’è altra possibilità se non quella di avvicinare, intrecciare e fondere gli impulsi vitali delle esperienze sociali, dei segmenti organizzati, degli slanci attivi e diffusi.
Un impegno difficile e tuttavia possibile. E comunque obbligato. La sinistra nuova nascerà solo se le sinistre riconosceranno i loro limiti, le loro insufficienze, e se sapranno trovare modi, tempi, condizioni e soprattutto volontà per ritrovarsi insieme. Affrontino ora unite l’imminente battaglia referendaria e s’impegnino con reciprocità ad avviare quell’indispensabile processo costituente per approdare nel nuovo soggetto politico.
FABIO ALBERTI
ADRIANO LABBUCCI
SANDRO MEDICI
da il manifesto.info / Contro la crisi.org
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