Il festivalfilosofia di Modena Carpi e Sassuolo diventa maggiorenne e quindi, da adulto, decide di dedicare questa diciottesima edizione (dal 14 al 16 di settembre) a un tema classico del pensiero: verità. Così, senza articolo perché da leggersi nel suo carattere provvisorio e senza declinazioni al singolare o al plurale. Parola più pericolosa di altre perché pietra scagliata contro il potere, quando si ha il coraggio di dirla e diventa disarmante.
Senza pretesa di essere definitiva né universale, pronunciata e tessuta con sincerità, pensata come disvelamento, può essere una pratica se la si individua, per esempio, legata all’esperienza o al suo senso incarnato, nei corpi. «Verità», e durante la conferenza stampa svoltasi ieri a Roma è stato esplicitato, è allora uno dei modi di leggere il presente. Senza astrazioni e inutili ridondanze ma discussa nel suo molteplice carattere, sia di appassionamento al logos che al suo processo – di sedimentazione, taglio e trasformazione – storico, politico, scientifico e finanche etico e sociale.
Come d’abitudine, anche quest’anno la sezione riguardante la lezione dei classici sarà nutrita. Si parlerà dei sofisti (Mauro Bonazzi), di Platone (Maria Michela Sassi), Aristotele (Enrico Berti), Descartes (Tullio Gregory), Hobbes (Carlo Galli), per arrivare a Nietzsche (Giuliano Campioni) e Foucault (Judith Revel).
Sulle «forme di verità» si concentra la prima pista indagata nelle tre giornate settembrine e che si misurerà con le varie declinazioni dell’idea di verità. Ne discuteranno Massimo Cacciari, Emanuele Severino, Roberta De Monticelli, Maurizio Ferraris e altri, passando dalla nozione di «aletheia» alla post-verità in cui pare sia immersa questa contemporaneità toccataci in sorte. Interrogarsi su «verità» è poi utile per ripristinarne una genealogia.
Così si è espresso Remo Bodei, presidente del comitato scientifico del consorzio per il festivalfilosofia, che ieri ha specificato quanto scivoloso sia convocare un concetto così cruciale, sia nel discorso sul vero che in quello pubblico, in relazione all’equivalenza delle opinioni da un lato e alla distorsione dall’altro. «Ci sono – prosegue Bodei – vere e proprie fabbriche del falso». E l’allusione non è solo all’imperante produzione di fake news quanto soprattutto al carico di manipolazione e strumentalizzazione sulla pelle del prossimo. Con una ricaduta nelle esistenze di donne e uomini.
Come per ogni parola forte di una tradizione millenaria, non solo in occidente, «verità» si porta dietro numerose implicazioni che sono poi altrettanti termini: retorica, sincerità, violenza, giustizia ma anche errore, contraddizione, dubbio, menzogna e molte altre. Della cosiddetta «prova di verità», cioè quella particolare circostanza – soprattutto scientifica – che ha necessità di «accreditamento delle teorie» quanto di «accessibilità democratica», si occuperà il secondo e grande filone del festival. In compagnia di testimonianze da parte di Luigi Ferrajoli, Luciano Canfora, Michele De Luca, Lucia Votano, Antonio Zoccoli e altri.
Riguarderà il passaggio moderno dalla opacità alla trasparenza il terzo focus che verterà sul rapporto diretto tra verità e politica, alla presenza di Roberto Esposito, Antonella Besussi, Simona Forti, Franca D’Agostini, Julian Nida-Rumelin e altri. E se nella storia delle rappresentazioni c’è posto per narrare le gesta di fascinosi bugiardi, il quarto punto del programma ruota tutto intorno al nodo tra menzogna, finzione e falsificazione in compagnia, tra i diversi ospiti, di Silvia Vegetti-Finzi, Jean-Luc Nancy, Andrea Tagliapietra e Umberto Galimberti.
L’unica perplessità che proviene dalla lettura del programma è in che modo si possa oggi convocare «verità» senza tenere conto della esperienza dei corpi e delle differenze, per esempio riducendo a una sparuta presenza le relatrici. Infine che, nessuno dei testi «classici» proposti alla comune riflessione intenda confrontarsi con la scrittura di filosofe. Un argomento spinoso che viene scambiato per rivendicazione di genere e che invece, più semplicemente, si attaglia all’olimpo strabico e maschile da cui deriva talvolta la verità quando non si sa vedere quasi mai nella sua nudità. Perché se ne ha paura o la si ritiene trascurabile nella sua insorgenza? Sarà forse perché inchiodata ai corpi e alla loro differenza sessuale. C’è almeno da chiederselo, in verità.
ALESSANDRA PIGLIARU
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