Una morte annunciata? Era ormai parecchio tempo che si temeva per le sorti dell’oppositore politico russo Alexey Navalny – sopravvissuto a un tentativo di avvelenamento nel 2020, poi incarcerato l’anno successivo e infine a dicembre scorso trasferito nella remota colonia penale Ik-3, vicina al Mar Glaciale Artico – ma la notizia della sua scomparsa ha chiaramente provocato uno shock internazionale.
«Dopo una passeggaita, il detenuto si è sentito male e ha praticamente subito perso conoscenza», si legge nella nota diramata verso le 12 di ieri dal Servizio penitenziario federale russo, secondo cui i soccorsi non hanno potuto nulla per scongiurare il decesso. «Le cause della morte del detenuto sono ancora da stabilire».
Se Putin e le autorità russe quasi tacciono (il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov ha fatto semplicemente sapere che il presidente è stato avvisato dell’accaduto e che «tutto sta procedendo secondo i regolamenti», riporta la Tass, mentre il portavoce parlamentare Vyacheslav Volodin si è spinto a indicare gli Usa e l’Europa come «responsabili»), le reazioni da parte delle persone vicine a Navalny, dei gruppi di opposizioni e dei vari capi di stato esteri non si sono fatte attendere.
La moglie Julija Borisovna ha parlato alla Conferenza di Monaco sulla sicurezza in Germania, che per coincidenza si apriva ieri, ricordando che la Russia mente in continuazione e gettando dunque un’ombra sulla veridicità delle affermazioni sulla morte del marito (ancora il suo avvocato non ha potuto accertare di persona la notizia, riferisce la portavoce di Navalny Kira Yarmish). «Ma se dovesse essere vero – ha proseguito Borisovna – Putin e tutto il suo staff, tutti i suoi uomini pagheranno per quello che hanno fatto, saranno portati presto davanti alla giustizia».
Ancor più diretta l’accusa del presidente ucraino Volodymyr Zelensky: «Ovviamente Navalny è stato ucciso». Al presidente Putin non importa chi muore, se questo serve a mantenere il potere. È la personificazione di questa guerra, uccide sempre e non si fermerà».
I diversi rappresentanti europei e occidentali – dal segretario della Nato Jens Stoltenberg al presidente del Consiglio europeo Charles Michel, dalla vicepresidente statunitense Kamala Harris fino alla leader dell’opposizione bielorussa in esilio Svetlana Tikhanovskaya – puntano il dito sulle responsabilità del regime russo e sulla brutalità repressiva riservata ai dissidenti politici. Come fa notare l’associazione per i diritti umani Ovd-info nel suo comunicato sulla morte – anzi sull’«assassinio» – di Navalny, in quelle condizioni detentive non c’era bisogno di avvelenarlo o ucciderlo con mezzi violenti, era sufficiente aspettare.
«La colonia Ik-3 ha sempre goduto di una pessima reputazione», ci dice il portavoce dell’associazione Dmitry Anisimov che abbiamo raggiunto per un commento. «Navalny – aggiunge – era stato trasferito in una cella singola e spesso mandato in isolamento, in una situazione complessiva che ha certamente caratteri vicini alla tortura. In generale, con l’inizio dell’invasione, assieme ai casi di detenzione per motivi politici in Russia sono cresciute anche le violazioni dei diritti umani dei prigionieri e dei loro familiari. Talvolta non si hanno per mesi notizie delle persone incarcerate, ed è praticamente impossibile rintracciarle».
Difficoltà riscontrate anche per Navalny, che riusciva a comunicare a fatica col proprio avvocato ma che il giorno prima al suo decesso era apparso in un video in tribunale collegato dalla colonia penale. La sua morte assume una forte valenza simbolica se si pensa tra l’altro alle imminenti elezioni presidenziali che si terranno in Russia il marzo prossimo.
«È come se in questo modo Putin avesse voluto lanciare un messaggio a tutti coloro che credono che ci possa essere un’alternativa alla dittatura e alla guerra», ha scritto il caporedattore di Novaja Gazeta Europa Kyrill Martynov, mentre il suo collega e premio Nobel per la pace Dmitry Muratov ha parlato direttamente di «omicidio» per via dei tormenti e delle torture che l’oppositore politico ha dovuto subire negli ultimi tre anni.
Ma non sono solo autorità statali e i dissidenti più in vista a reagire. In Russia si segnalano timide commemorazioni in alcune città, prontamente circondate dalla polizia, e pure qui in Italia (mentre più o meno tutte le forze politiche esprimono il loro cordoglio) si sono svolti presidi e manifestazioni.
A ROMA, una cinquantina di persone si è riunita per due ore buone vicino all’ambasciata russa mescolando lingue, bandiere e slogan dei due paesi coinvolti nella guerra (tre con la Bielorussia). «Navalny è stato ucciso ma non si è piegato», recita un cartello. Quando si parla di Putin, la “p” iniziale viene strascicata come in uno sputo.
FRANCESCO BRUSA
foto: screenshot tv