Natura e figli, diritti e desideri nella peggiore Italia delle destre

Se la destra di governo evidenzia molto bene sul terreno economico la forte carica antisociale che la contraddistingue e, quindi, la saldatura che riafferma con i princìpi del liberismo,...

Se la destra di governo evidenzia molto bene sul terreno economico la forte carica antisociale che la contraddistingue e, quindi, la saldatura che riafferma con i princìpi del liberismo, attaccando il mondo del lavoro a suon di voucher nei settori che in questa stagione dovrebbero essere quelli più tutelati, come il comparto del turismo e degli stagionali, non di meno esprime il suo potenziale regressivo e conservatore quando mette in cantiere normative che contraddicono sul terreno vero e proprio della civiltà la quintessenza dell’uguaglianza.

Politica ostruzionistica nei confronti dei diritti sociali e politica tradizionalista riguardo i diritti civili, ce n’è già abbastanza di danni in questo primo anno di legislatura di un Parlamento quasi completamente acquiescente ad una concezione che rivaluta l’egemonia del governo sulle Camere, spargendo qua e là anticipi di presidenzialismo e di autoritarismo mascherato da nuovo modello democratico e costituzionale per una Italia moderna, dentro il recinto del nazionalismo che condiscende a tutti i dettami degli USA, della NATO e dell’Europa dei banchieri.

Persino un caro amico mi ha detto che avere dei figli, in fondo, non è un diritto e che, quindi si può fare a meno di reclamarlo come tale. Insomma, se si desidera formare una famiglia e “naturalmente” non si può, ci si dovrebbe rinunciare.

È una questione che rimanda ad una sedimentazione ancestrale, proprio dentro noi, di un precetto veramente consuetudinario da millenni: la natura non va scavalcata, perché lei non facit saltus. Facile l’obiezione per cui, guardando cosa sta accadendo in questa estate tormentata da palle di grandine grosse come quelle da tennis, si può oggettivamente dire che le peggiori violenze fatte alla natura sono già state messe in pratica. E da molto tempo.

Partirei con un presupposto: avere dei figli non è un diritto ma è, oltre ogni ragionevole dubbio, una possibilità.

Una possibilità che ci viene data oggi non solo dalla procreazione naturale ma anche dalla scienza che, se si escludono scenari da film horror molto facili da richiamare alla mente per opportune strumentalizzazioni dei temi in oggetto, opera secondo dei protocolli che tutelano tanto i futuri genitori quanto le madri biologiche che si dispongono a far crescere in loro un figlio, prestandosi a sostituire il grembo che non può contenere una gravidanza o aiutando in ciò le coppie omogenitoriali.

Se si parte dal presupposto che avere un figlio è una scelta e non un diritto, dando quindi a quest’ultimo il carattere di indispensabilità totale, irrinunciabile e quindi reclamabile come pilastro e pietra angolare di un riconoscimento di una uguaglianza assoluta tra esseri umani (e magari anche tra noi e gli animali “non umani“), se ne può far discendere che questa scelta sia esclusivamente di una parte della società: di quella destinata naturalmente alla procreazione.

Uomini e donne insieme, uomini e donne quindi eterosessuali. Avere un figlio è una scelta. Una scelta d’amore, una scelta di unità degli affetti che si esprimono anche mediante la nascita di un terzo che li rappresenta entrambi i genitori e che fa di loro e, per quanto le destre ne possano pensare, non si tratta sempre e soltanto di una ferrea questione di sangue. Ci sono straordinari meccanismi psicologici che superano la meccanicistica biologica, pur non volendo negare nulla a nessuno, sostituirsi alla natura delle cose, fare salti che non sono previsti.

La GPA, la “gestazione per altri” smette di essere un problema legato alla mercificazione dei corpi e all’affarismo spietato che è tipico di questo sistema economico, se viene normata, se viene legalizzata e quindi fatta rientrare in quel diritto di tutti che è anche il diritto per antonomasia: lo Ius.

Sessantacinque paesi nel mondo la prevedono come metodo alternativo per le coppie che non possono (anche questo “naturalmente“, quindi per un impedimento del tutto naturale) avere dei figli con i loro corpi e che, quindi, ricorrono, seguendo meticolosi iter legislativi e sanitari, un percorso che consenta loro di formare una famiglia.

Basta dire che un desiderio non è un diritto per poterlo negare?

Credo sia una domanda lecita nei confronti di chi prova a mettere, come in questo frangente, tutto dietro al paravento della Legge. Che è necessaria per evitare abusi, usi e traffici indegni, immorali e, questi sì, vincolati soltanto alla diseguaglianza di un mercato che consente tutto e chiude gli occhi su ogni cosa che gli porti profitto. Ma questa nostra società, che si picca di modernità come se dirsi tale dovesse rappresentare l’apice dell’evoluzionismo umano, dovrebbe anzitutto salvaguardare ciò che di bello e di generoso può venire da istinti e desideri e non reprimerli.

Ci si riferisce alla natura quando ci fa comodo: per cultura ereditata dai nostri padri e dalle nostre madri, per ciò che si è sentito comunemente dire e che, di conseguenza, viene altrettanto comunemente accettato.

Si fa riferimento alla normalità come a qualcosa che uniformi e che separi il grano dal loglio e che, quindi, stabilisca una morale, un’etica in forma di legge, tradotta in un diritto che livelli e non comprenda, che escluda piuttosto che includere ogni particolarità, ogni differenza, ogni specificità, vecchia o nuova che si presenti.

Poi, quando si tratta di preservare la naturalità della natura stessa, non abbiamo alcuna remora nello sterminare miliardi e miliardi di esseri viventi ogni anno per soddisfare il nostro palato, seguendo la tradizione: è sempre stato così. Si sono sempre mangiati gli animali non umani.

Vogliamo bene a cani, gatti, canarini, conigli, pesciolini rinchiusi negli acquari. E poi mettiamo sotto i denti i loro simili, approfittando del dolore muto di tanti abitanti dei mari e degli oceani che soffocano ogni giorno nelle reti, nei grandi allevamenti ittici.

I mutamenti del clima sono sotto gli occhi della maggior parte delle persone. Non di tutti, perché, progrediscono i negazionisti e i revisionisti del caso, pure davanti alla grandine con cui poter giocare a tennis, alle trombe d’aria che vorticosamente si aggirano nella Val padana, ai disastri che colpiscono territori oltre ogni misura antropizzati e resi impermeabili a tutto tranne che alla voracità del profitto.

Abbiamo reso inospitale per noi stessi un pianeta che ci ha permesso di nascere, evolverci lentamente e crescere fino a divenire forse la parte della materia più complessa fra tutte: quella che possiede una coscienza e che è in grado di accorgersi di sé stessa, di ciò che ci circonda, di quello che avviene pur in mezzo a dubbi eterni, impossibili da risolvere. Primo fra tutti l’esistenza di un disegno logico dietro l’Universo, di qualcosa che abbia “un senso”. Alla ricerca di questo senso tante esistenze si sono consegnate in vario modo.

Anche quelle degli scienziati che hanno trovato il modo di poter far sì che malattie incurabili fossero trattate e fatte regredire fino alla guarigione; oppure che sono in grado oggi di permettere alle coppie che ne fanno richiesta (non in Italia chiaramente…) di giungere a soddisfare un desiderio naturale: avere un figlio, perpetuare la propria discendenza, continuare la specie.

La destra vuole arrivare, per la via della creazione del “reato universale” della GPA, a proclamare l’embrione come qualcosa di sacro, di intangibile, di ascrivibile esclusivamente ad una morale religiosa che punta a Dio e che, quindi, esclude la donna (e in parte anche l’uomo) come procreatrice della vita.

È la rivincita della narrazione creazionista: quella che oggi prova ad affiancarsi alla scienza, visto che non la può contrastare come ai tempi di Giordano Bruno, ma che fa sempre molta fatica a convivere con l’oggettività riscontrabile da tutti e l’idea affidata alla fede di un principio da cui tutto discende e a cui ci si deve per forza uniformare.

Dalla Rivoluzione francese in avanti l’umanità aveva fatto dei passi importanti nell’acquisire la consapevolezza del valore universale dei diritti tanto dell’uomo quanto del cittadino, mettendo insieme il rapporto che si ha con sé stessi con quello sociale e civile, con la collettività che si organizza in “nazione“, essendo e divenendo coscientemente un “popolo“. La critica laica al pensiero religioso che si fa temporalmente Stato o che pretende di uniformare l’etica pubblica ai princìpi della fede, viene oggi trattata come un attacco ai valori fondanti di una civiltà.

Le destre se la sono letteralmente inventata, costruendo sulla giaculatoria delle “radici cristiano-giudaiche” dell’Europa una distinzione di bassa fisiognomica da Stato etico (e teocraticheggiante), un discorso tanto antistorico quanto palesemente falso.

Cristianesimo e giudaismo sono stati fieramente avversari nel corso della storia del Vecchio continente e, anche laddove hanno espatriato dai confini europei, non hanno smesso di fronteggiarsi come nella più consueta normale – verrebbe da dire “naturale” – espressione del carattere assoluto delle fedi: il riconoscimento della pienezza della ragione della propria e l’esclusione di tutte le altre da questa verità altrettanto assoluta.

Il dogmatismo, del resto, non è un peculiarità conservatrice e obnubilante riferibile soltanto al cattolicesimo. Fa parte dell’unione forzata tra fede e ragione, su cui si potrebbe scrivere, discutere e ascoltare osservazioni senza arrivare praticamente ad una unica soluzione del dilemma di una conciliazione tra gli opposti o di una convivenza more uxorio, di fatto ma non per forza di diritto.

L’Italia all’epoca del melonismo è la quintessenza della regressione sociale, civile e morale dentro ad una Europa che viaggia, in tema di diritti e di uguaglianza, a due velocità: quella del liberalismo democratico dei paesi che ancora resistono all’avanzata dell’oscurantismo, della repressione delle minoranze, della rivalutazione degli assiomi “maggioranza – diritto“, “maggioranza – naturalità“, “maggioranza – etica pubblica“; e quella del visegradismo, del primatismo di una autoctonia che mette lo ius sanguinis davanti allo ius soli, rendendo così il piano biologico prevalente rispetto a quello dei sentimenti, dell’affetto e dei desideri.

Chi è più materialista in questo caso? Noi di sinistra che cerchiamo una armonia tra i tanti diritti che la nostra natura complessa fa emergere?

Oppure le destre retrive che non sanno vivere al di fuori della loro presunta identità e del loro sicuro patriottismo pronto a piegarsi agli interessi delle grandi concentrazioni bancarie e finanziarie, a seguire la logica della guerra come risoluzione delle questioni internazionali, a negare i diritti umani nel nome dei confini e del colore della pelle, seminando pregiudizialità e prevenzioni con riferimenti a “sostituzioni etniche“, a usanze e culture conosciute più che altro per semplice induzione tradizionalistica?

Sta di fatto che la Camera dei Deputati ha approvato l’istituzione di un “reato universale“: un abominio legale se si pensa che definibili come tali sono crimini contro l’umanità, genocidi, crimini di guerra… Può la gestazione per altri rientrare in una categoria di questi tipo? Evidentemente no. Ma la maggioranza di destra evidentemente la ritiene tale e intende punire i cittadini italiani che la promuovano o che vi facciano ricorso in Stati dove è perfettamente legale.

In questo modo si afferma al mondo tutta la pochezza di una politica che, invece di normare e distinguere, comprendere e fare comunità proprio partendo dalle differenze, condanna, anatemizza, giudica e sancisce sulla base di una morale non più laica e democratica, ma divisivamente religiosa.

Da un principio condiviso, tutelato e normato secondo le leggi, potrebbe emergere una sintesi tra Legge e volontà personale o familiare, tra diritto e desiderio, tra la sterilità dello ius e la fertilità delle molteplici espressioni della natura umana e delle combinazioni sociali che ne promanano e che, a loro volta, la condizionano.

Invece di mettere a valore tutta questa straordinaria molteplicità di rapporti, la destra riduce alla naturalità delle cose ciò che è naturale secondo il dettame biblico. Serve a qualcosa dire che la Repubblica è costituzionalmente laica e che la nostra Legge si fonda sulla Costituzione e non su un racconto mitologico ritenuto da secoli il libro dettato da Dio all’umanità? Probabilmente no, ma è bene ricordarcelo e continuare e ricordarlo.

MARCO SFERINI

27 luglio 2023

Foto di Josh Willink

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