Reduce insieme agli Stati uniti dal fallimento dell’Afghanistan, la Nato rischia un flop anche ai confini dell’Ucraina. A consigliare alla Nato di chiudere la porta verso Est è un articolo appena pubblicato su Foreign Affairs del professore di storia Michael Kimmage: «Non perché lo chiede Putin ma perché immergersi nel calderone nazionalistico ed etnico dell’Est Europa diventerà un problema per la stessa Alleanza Atlantica». Un’Alleanza che – ricorda Foreign Affairs – è prima di tutto difensiva, non offensiva.
Oggi la Nato a oriente si sovrappone pericolosamente su una linea ribollente della storia europea: il nodo è dove finisce il confine occidentale della Russia e dove comincia quello orientale dell’Europa. Da qualche secolo qui si combattono l’imperialismo russo e l’espansionismo delle potenze europee con i loro alleati.
Contrariamente a quanto affermano qui sui giornali, l’Ucraina è un po’ che ci prova entrare nella Nato e ha presentato domanda per l’adesione nel 2008. I piani furono accantonati in seguito alle elezioni del 2010 in cui il presidente Viktor Janukovich preferì mantenere il paese non allineato.
Con gli oscuri disordini dell’Euromaidan, caratterizzata oltre che da un ruolo dell’estrema destra da una forte connotazione contraria sia alla popolazione russa e russofona ucraina sia anti-russa, Janukovich fuggì dall’Ucraina e il governo ad interim di Kiev inizialmente dichiarò, con riferimento allo status non allineato del paese, che non aveva intenzione di aderire alla Nato. Ma in seguito alle operazioni militari russe e all’annessione della Crimea l’adesione è tornata prioritaria.
Forse qui non si è neppure capito che l’Ucraina si considera già dentro la Nato e l’Unione. Dal 2019, con un voto del Parlamento, l’obiettivo dell’adesione all’Unione europea e alla Nato è entrato nella stessa costituzione di Kiev, in poche parole quello che poteva sembrare soprattutto un traguardo geopolitico è diventato parte della stessa ragione d’esistere della nazione ucraina. È crollata da un pezzo l’idea che nel 2014 aveva Henry Kissinger di un’Ucraina che fosse un «ponte» e «non un avamposto di una parte contro l’altra».
Chi era cosciente della situazione era proprio la ex cancelliera Angela Merkel che infatti trattò gli accordi di Minsk dai quali è uscito evidente il consenso russo sul «non interesse e non ingerenza» nel Donbass la cui soluzione dovrebbe essere quella di una autonomia interna all’Ucraina.
Nessun leader occidentale ha parlato con Putin più di Merkel. I due non si amavano ma si capivano, ognuno parlava la lingua dell’altro, e comprendere il russo o il tedesco serve a intuire come pensa l’interlocutore. Merkel capiva perfettamente che per la Nato entrare in Ucraina significava per il suo interlocutore essere alle porte di Mosca.
In sostanza cosa chiede Mosca? Putin ha chiesto una garanzia agli Usa, ricordando la promessa di James Baker e di Bush padre fatta a Gorbaciov che accettava la riunificazione delle due Germanie in cambio del fatto che l’Alleanza Atlantica non si sarebbe allargata a Est.
Invece alla fine della guerra fredda, sotto la spinta americana e la scioglimento dell’Urss nel dicembre 1991, l’Alleanza si è allargata a una dozzina di Paesi (prima del Patto di Varsavia) e oggi è una coalizione di 30 stati, dal Nord America all’Europa occidentale, dai Paesi baltici alla Turchia. A questo bisogna poi aggiungere un corollario non indifferente: Israele, ovvero il maggiore alleato degli Usa, che sta facendo la «sua» Nato con i Patti d’Abramo stretti con i Paesi arabi.
Ora sarebbe interessante rispondere alla domanda: chi assedia chi? Merkel queste cose agli americani le aveva fatte notare. Quando Obama, nel 2014, chiese o volle imporre, che l’Ucraina entrasse nell’Unione europea (una alleanza militare non solo politica), Putin reagì prendendosi la Crimea, mise sotto scacco il presidente americano, e iniziò la guerra civile in Ucraina.
Obama espulse Putin dal G8, nonostante Merkel cercasse di fargli capire che per risolvere una crisi, che fosse la Siria o l’Ucraina, era necessario parlare con l’avversario. Che cosa ha fatto invece la Nato? Nel 2011 ha bombardato la Libia non tanto per salvare i ribelli di Bengasi ma per attuare un cambio di regime.
E dopo l’Iraq nel 2003 questo a Mosca appariva un po’ troppo. Così la Russia ha reagito in Crimea nel 2014 e soprattutto in Siria nel 2015, scendendo in campo a fianco del regime di Bashar Assad: era la prima volta dai tempi dell’Urss che Mosca si trasformava in un attore chiave di un conflitto non regionale o post-sovietico ma globale, al quale prendevano parte tutte le principali potenze mondiale schierate, in un modo o in un altro, contro Damasco. E chi ha vinto, almeno per ora, quella guerra? Mosca e Teheran.
Ora naturalmente della Siria non si parla più, della Libia il meno possibile, perché anche un orbo ha capito che con la presenza di truppe straniere si è avviata una spartizione di fatto in zone di influenza. Mentre l’Afghanistan è stato abbandonato al suo destino con la fuga da Kabul di agosto. Con alle spalle tutti questi “successi” l’Occidente e la Nato devono stare molto attenti.
L’Ucraina si difende meglio con la diplomazia che con le armi. Berlino per lo meno continua a crederci: a Mosca la ministra degli Esteri tedesca Annalena Baerbock, incontrando Lavrov, ha detto ieri che «non c’è alternativa ai buoni rapporti tra la Russia e la Germania», respingendo intanto la richiesta di Kiev di forniture di armi. Merkel approverebbe. E intanto arriva la notizia che le marine militari russa, cinese e iraniana terranno esercitazioni congiunte, secondo quanto ha annunciato la flotta russa del Pacifico, senza precisare le date previste.
ALBERTO NEGRI
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