Nei precedenti articoli ho sollevato il dubbio che l’acqua pubblica a Napoli sia ormai a scadenza. Questa volta proverò a focalizzare alcuni aspetti di una più complessa strategia, nella speranza che ciò possa contribuire a dare maggiore chiarezza sulle dinamiche e sugli obiettivi di un capitalismo (Veolia e Suez) interessato a fare business con l’acqua. Partiamo allora dalla delibera di giunta della Regione Campania del 6 luglio 2016 e del successivo decreto n. 4 dell’otto agosto 2016. In queste scartoffie si parla di ciclo idrico integrato, che in linea generale viene pressappoco articolato così: 1) Le “fonti”, dalle quali parte l’acquedotto che porta l’acqua in città. 2) La distribuzione dell’acqua fino alle abitazioni. 3) La depurazione e le fognature. Cerchiamo ora di guardare con gli occhi dei capitalisti questi tre punti e azzardiamo una (loro) classifica di priorità. 1) Le fonti sono estremamente redditizie e richiedono pochissimo impegno d’investimento e di manodopera. 2) La distribuzione dell’acqua in città è sicuramente più impegnativa e meno redditizia. 3) La gestione della depurazione e delle fognature è estremamente onerosa e in più è problematica: una cattiva gestione può generare gravi danni ambientali.
Se tornassimo indietro di qualche lustro, vedremmo una S.p.A. (Arin) che gestiva la fonte del Serino (di proprietà demaniale) e la distribuzione dell’acqua in città, mentre il Comune di Napoli si accollava l’onere più complesso e costoso: la depurazione e le fognature. L’obiettivo dichiarato dell’Arin e della politica locale era quello di estendere la propria attività ad altri territori, sulla base di un accordo con Italgas, Acea, Aquedotto pugliese ed altri soggetti. Allora erano le politiche locali a puntare sull’obiettivo “grande accorpamento”; oggi lo stesso scopo è perseguito dal governo nazionale per conto delle lobby e delle banche.
Sintetizzando con una battuta: cambiano gli attori, ma il copione è sempre lo stesso. Del resto si sa che i capitalisti sono capricciosi, prepotenti e che adoperano strategie mai lasciate a spontanee improvvisazioni. L’ultimo dei pensieri che può uscire dalle loro teste è quello di collaborare per una gestione democratica del territorio. Con il cinismo che li contraddistingue, hanno ben presente che attraverso l’accaparramento delle fonti possono assumere una posizione strategica di estremo privilegio. Dai “rubinetti naturali”, infatti, non solo incassano una montagna di soldi, ma possono tenere sotto giogo le aziende locali che gestiscono la distribuzione idrica territoriale. Senza le “fonti”, per queste aziende è pressoché impossibile, applicando le tariffe sociali, compensare costi e ricavi.
L’ABC, che è pubblica, è l’unica azienda che gestisce una fonte (quella del Serino). Un’anomalia che finora l’ha resa indubbiamente più forte. Ma ai capitalisti fa piacere vedere un’azienda pubblica forte? Certo che no. Cosa fa allora il presidente De Luca per regalare un sorriso ai suoi padroni? Con la già citata delibera e il successivo decreto, s’inventa di ridurre la quantità d’acqua che l’ABC può prelevare dal Serino: da 2.000 litri al secondo a 1.600 litri al secondo, imponendo altresì una strana compensazione, cioè quella di utilizzare, per coprire il fabbisogno, l’acqua dai pozzi di S.Felice a Cancello e di Lufrano, ricca di manganese e non consigliabile per le necessità alimentari.
Così facendo, la Regione obbliga l’ABC ad acquistare la differenza d’acqua necessaria dall’acquedotto occidentale, vale a dire dalla società Acqua Campania (47,9 % di Veolia e 47,9 % della Vianini di Caltagirone e con partecipazioni minoritarie di Impregilo International e banche varie). Se a questo aggiungiamo (l’ho già denunciato in un precedente articolo) che nell’ormai famigerato decreto regionale di agosto c’è un aumento di costo dell’acqua alla fonte, che passa da 16 centesimi a metro cubo e 25 centesimi a metro cubo, appare subito evidente quale sia l’operazione messa in campo per indebolire l’azienda speciale.
Ad oggi, tra i Comuni della Campania, solo il sindaco di S. Antimo ha impugnato il decreto regionale. Strana poi la “solerzia” della Regione Campania sulla questione acqua: addirittura triplica il suo lavoro! La legge in materia di servizio idrico limita le funzioni di una Regione alla sola produzione di norme. In Campania, invece, la Regione fa le programmazioni sostituendosi agli Enti ad Ambito (coordinamento dei comuni); inoltre si occupa direttamente della maggior parte delle fonti d’acqua, che di norma dovrebbero essere gestite dai gestori locali (ciò che fa l’ABC, per esempio). Quindi la Regione Campania fa le regole, programma la gestione dei fondi e gestisce direttamente i soldi che destina a se stessa. In poche parole, sbeffeggia la Costituzione! Questa “violazione” viene denunciata dai “neoparrucconi” cavalcatori del NO al referendum costituzionale? Figuriamoci… Essi preferiscono partecipare a mille convegni o a teatrini politici, guardandosi bene dall’incidere direttamente sulle questioni o dal rischiare in prima persona.
Un anno fa, il presidente dell’autorità nazionale Energia Elettrica-Gas-Servizi Idrici annunciò la volontà di andare verso le gestioni distrettuali ultraregionali. La Campania è inclusa nell’ampio perimetro del Centrosud, che include anche il Lazio, il Molise, parte dell’Umbria, la Puglia, la Basilicata e la Calabria. Per il Centronord sono previste tre aree di dimensioni ridotte rispetto al perimetro del Centrosud. I processi di aggregazioni sono graduali e talvolta impercettibili. Man mano che avanzano, però, il governo nazionale dà a questi processi le adeguate coperture normative. Molto esplicito, per esempio, è stato il discorsetto di Laura Cavello, capo della segreteria tecnica del sottosegretariato della Presidenza del Consiglio dei ministri, nell’incontro dell’ANCI che si è tenuto a Bari una ventina di giorni fa (riporto l’estratto di un articolo del quindicinale di Utilitalia, associazione delle lobby).
Rivolgendosi ai sindaci e ad altre autorità, la signora ha confermato la volontà del governo di portare a compimento la gestione idrica unica del Centrosud. All’assemblea dell’ANCI era presente anche De Magistris. Basta un briciolo di lucidità politica per capire che quando si parla di “macro gestioni” si parla automaticamente di privatizzazioni. Solo le multinazionali possono realizzare le economie di scala a detrimento della gestione sociale dei lavoratori e della qualità del servizio.
E qui spezzerei una lancia a favore della riorganizzazione consortile delle aziende pubbliche su scala (al massimo) metropolitana. La riorganizzazione consortile è l’unico modo per evitare le grandi holding e al tempo stesso consentire che aziende pubbliche siano efficienti ed economiche, oltre che sociali e partecipate. Le gestioni pubbliche di aziende, prese singolarmente, sono più compatibili con le piccole aggregazioni. Semplifico il concetto con un esempio: il bilancio di un’azienda speciale deve essere adottato dal consiglio di amministrazione, fatto proprio dalla Giunta Comunale, verificato dai revisori dei conti, approvato dal Consiglio Comunale e soggetto a verifica dalla Corte dei Conti. Immaginiamo che, una volta applicata la legge della Regione Campania, si andasse verso il gestore unico regionale, la “competizione” sarebbe a questo punto tra le multinazionali non vincolate alle procedure suindicate e un consorzio pubblico regionale con bilanci che devono essere approvati (e, ripeto, seguendo tutto l’iter burocratico) da 550 consigli comunali! Non prendiamoci per i fondelli da soli…
La realtà materiale dei fatti lascia purtroppo poco spazio all’ottimismo. Allo stato attuale manca in città (per non parlare nel resto del Paese) un movimento politico con un minimo di organizzazione che possa tentare di essere da ostacolo alle mire delle multinazionali. Gli interessi della Veolia, della Suez, dei Caltagirone, vedi Impregilo international ma anche delle varie banche, sono proprio gli interessi dei poteri forti che parlano attraverso il linguaggio degli apparati di Stato. Credo inoltre che sia una grossa ingenuità politica pensare di fare “opposizione strategica” con le fumose affascinazioni tanto di moda in alcune frange del “movimento” e regalate poi a Giggino per le sue performance pasionarie.
Ho sempre considerato “di lotta e di governo” un inapplicabile ossimoro teorico che di tanto in tanto rispunta sulla bocca degli opportunisti per giustificare l’ingiustificabile. Potete quindi facilmente immaginare come ho accolto la tonante esclamazione di De Magistris “facciamo la rivoluzione governando!” L’aspetto più triste è che forse Giggino ci crede davvero. Ad essere sincero, però, a me e a Sinistra Anticapitalista interessa poco ciò che pensa il sindaco o il presidente della Regione; c’interessa piuttosto capire cosa pensano i napoletani tutti e, più specificatamente, i lavoratori che operano nei servizi idrici (da ABC al Consorzio di San Giovanni). Tutto quello che ho cercato di narrare (e chiedo scusa se in alcuni passaggi non sono stato sufficientemente chiaro), riguarda in prima istanza proprio il futuro prossimo di questi lavoratori (tra un paio d’anni potrebbero vedere sia le buste paghe sia i diritti acquisiti equiparati a quelli della GORI, per esempio) e poi, ovviamente, il sacrosanto diritto di lottare per l’acqua pubblica.
GENNARO ESPOSITO
foto tratta da Pixabay