La domanda è la seguente: come mai all’oggettività dei fatti si sostituisce spesso la ricerca delle illazioni che finisce col diventare una vera e propria voluttà della cosiddetta “vulgata popolare“? Perché, in sostanza, piace di più il falso rispetto al vero, il chiaroscuro rispetto al chiaro, all’evidente e inequivocabile corso degli eventi?
La risposta potrebbe essere: perché il fascino del complotto oltrepassa i secoli, raggiunge altre ere della storia dell’umanità e si perde nella notte dei tempi. La constatazione logica e cronologica di ciò che è avvenuto, diciamolo pure, risulta molto noiosa per chi prova a trovare l’introvabile tra le pieghe del cammino dell’uomo e della donna in questi primi millenni di evoluzione sul globo terracqueo. Invece un bel mistero è sempre un bel mistero: il giallo sulla morte dei tiranni, poi, va per la maggiore.
Dai tempi dei faraoni alla fine di Mussolini e Hitler, sono stati vergati fiumi di inchiostro sulla vita di personaggi che hanno fatto la storia e che, proprio perché controversi e divisivi, hanno generato le ipotesi più stravaganti tanto sulla loro presenza in vita quanto su quella post-mortem su questa terra.
Le “fake news” del passato, in fondo, non sono molto diverse da quelle che oggi invadono gli schermi dei computer e quelli dei nostri telefonini. Soltanto, un tempo la circolazione delle idee era più lenta, mentre oggi sfida la linea di confine dell’immediatezza e prova a superarsi continuamente, creando dei cortocircuiti mentali, dei sincretismi così allucinanti da lasciare di stucco: soprattutto se, facendo ancora affidamento ad un certo ottimismo della ragione, la si vede tanto mortificata proprio nell’essere così poco utilizzata mediante un processo di apprendimento critico in ogni campo del sapere.
Ma non sono solo le fantasie di complotto a fuorviare i fatti storici.
Accanto a questo filone di ipertrofia del fantasticare, sempre ad uso e consumo di opportunismi e opportunità politiche per partiti e movimenti che si nutrono di esagerazioni, nel migliore dei casi, e di vere e proprie falsità, nel peggiore dei casi, sta tutta una serie di mitizzazioni di eventi, persone e contesti. Non ci sarebbe nulla di male nel colorire un poco gli accadimenti: se non si è degli apologeti di professione, dei giornalisti prezzolati che devono tratteggiare favolosamente questa o quella figura imprenditoriale o istituzionale, una sottolineatura positiva o un rilievo critico sono ben accetti nel contesto anche del metodo storico di indagine, di costruzione di biografie che possono legittimamente somigliare ad una agiografia mascherata da un eccessiva pedanteria esegetica.
Ma qui, a dire il vero, non si tratta di fare la storia dei miti storici: si tratta semmai di smontare una serie di mitizzazioni che sono state montate ad arte per mistificare i fatti, per far prevalere, per l’appunto il falso sul vero, l’illazione sopra l’evidenza riscontrabile con prove documentali che, soprattutto nel Novecento, sono tante e non solamente cartacee ma audio, video e, quindi, molto più vicine al vero di qualunque intersezione di testimonianze e riscontri indiretti.
E’ quello che accade per il fascismo, per una dittatura totalitaria che, per sopravvivere a sé stessa, ha bisogno di entrare nel mito e di perpetuarsi attraverso una serie di falsità che sono divenute delle vere e proprie “verità alternative” cui si fa fatica a replicare perché per farlo occorrerebbe molto tempo: la ricostruzione storica, infatti, non è semplificazione banalizzante, superficialismo e pressapochismo, ma necessita di un lavoro meticoloso per dimostrare che quel concetto, che viene spacciato come un “dato di fatto“, perché “si sa che è così“, perché “lo dicono tutti“, è invece in parte o del tutto artefatto.
Ma come fare a coniugare la demitizzazione dei falsi storici, affidandola ad un lavoro di ricostruzione puntuale (non puntigliosa) dei fatti, con una comunicazione lineare, diretta e priva di tante, troppe subordinate che affievoliscono l’attenzione delle persone e rischiano così di non assolvere al compito che si vogliono dare?
Non è un compito facile e bisogna anche attrezzarsi con tanta pazienza, perché la divulgazione è un esercizio che risponde molto di più alle capacità singole che ad un vero e proprio metodo. In pratica, conta molto chi divulga, perché scegliere un approccio in questi casi è già sbagliare in partenza: serve una spontaneità innata, una verve che coinvolga l’ascoltatore, il lettore, colui in cui si deve istillare la voglia di conoscere qualcosa in più rispetto ai tanti sentito dire che sono divenuti parte integrante di una storia che nove volte su dieci è un revisionismo carsico, infingardamente nascosto dietro l’innocenza di piccoli enunciati spacciati per innocui.
Francesco Filippi sono anni che lotta contro le mitizzazioni antistoriche, contro tutte le contorsioni concettuali e descrittive di periodi che sono tanto affascinanti quanto complessi nella loro narrazione. Da storico della mentalità e formatore, si è occupato del rapporto tra la memoria e il presente e delle tante incursioni che il revisionismo opera mediante sottilissime allusioni, pervicaci pretestuosità e decostruenti tentativi di riscrittura della storia tanto italiana quanto del più ampio contesto europeo e mondiale.
Il suo “Mussolini ha fatto anche cose buone” (sottotitolo: “Le idiozie che continuano a circolare sul fascismo“, ed. Bollati Boringhieri, 2019), con prefazione dello storico Carlo Greppi, è un libro agevole, maneggevole e discreto: lo si porta in tasca e, a ben vedere, andrebbe se non sempre, almeno spesso portato con sé come un manualetto per contraddire nell’immediatezza tutti quei sostenitori del neofascismo nel nome di un Mussolini che avrebbe istituito le pensioni, bonificato le paludi malsane d’Italia, costruito case più di chiunque altro, fatto della legalità (sic!) la bandiera del regime, reso l’economia a misura d’uomo e non di capitalista, esaltato la figura della donna come madre, moglie e anche amante, portato il Bel Paese alla conquista eroica e civilizzatrice di mondi retrogradi, affamati, senza strade e ferrovie, umanizzando il tutto, come un Saturno moderno.
Le nuvolette a forma di fumetto racchiudono, in tante pagine del libro, le affermazioni più scontate e banali sul fascismo. Diciamolo pure con le parole di Filippi: le idiozie. La forma è quella del saggio storico, ma si lascia volutamente pervadere dal dialogo indiretto con una voce fuoricampo che interviene e lancia lì la verità alternativa, alterata, antistorica ma politicamente utile a destabilizzare le certezze e la cultura antifascista del Paese. Ad iniziare dalla Costituzione repubblicana.
Francesco Filippi attacca direttamente le menzogne, argomentando e indicando meticolosamente le fonti da cui trae le sue affermazioni. Nulla è lasciato all’opinione personale. Tutto rientra nella perfettibilità del metodo storico e della sua accuratezza. I suoi libri sono un esempio di intelligente modernità della scrittura che vuole comunicare senza attribuirsi il titolo di “opera storica“, ma senza nemmeno scendere al livello della confutazione fine a sé stessa, dal sapore più partigianamente politico.
Il neofascismo va combattuto anzitutto culturalmente, anche se è innegabile il suo risvolto antisociale e incivile, il suo voler influenzare il cammino democratico della Repubblica così già ampiamente minacciato da una povertà crescente che è un dramma su cui riescono a far leva tutti i movimenti estremisti di destra per guadagnare consensi e tentare di rimodellare il rapporto tra i poteri istituzionali e la società.
I libri di Filippi vanno gelosamente custoditi e portati con noi: andrebbero letti nelle scuole, discussi e dibattuti tutti gli argomenti, le deduzioni e le controdeduzioni che estrinsecano. Sarebbero ottimi testi per lezioni di educazione civica, morale e civile per un Paese che non ha una corta memoria, tutt’altro: ricorda però solo quello che, di volta in volta, gli fa comodo e tralascia ciò che metterebbe in luce la cattiva coscienza di tutti e di ciascuno.
MUSSOLINI HA FATTO ANCHE COSE BUONE
FRANCESCO FILIPPI, BOLLATI BORINGHIERI, 2019
€ 12,00
MARCO SFERINI
27 ottobre 2021
foto: particolare della copertina del libro