La politica del respingimento si fa largo in molti paesi europei. Sembra la risposta ultima non tanto ad un dramma epocale che coinvolge più continenti, ma semmai alla completa inefficienza e disomogeneità della politica tanto dell’Unione quanto dei suoi vicini nel trovare un punto di incontro per costruire insieme una nuova strategia interna sui profughi e i migranti in generale e, esternamente, una linea di condotta sui rapporti con gli stati da dove proviene la maggior parte dei richiedenti asilo.
Si fa molta confusione anche sui termini: migranti, profughi, richiedenti asilo. Tutte persone che fuggono da guerre, fame, miseria e violenze d’ogni tipo, ma storie diverse, con partenze differenti e differenti approdi non solo geografici, ma di speranza di vita.
La Svezia ha deciso di organizzare una espulsione di migranti che oscilla tra i sessantamila e gli ottantamila tra uomini, donne e bambini. La Gran Bretagna in queste ore sta pensando di fare la stessa cosa ma, con lo stile che la contraddistingue, il governo di sua maestà ci tiene a far sapere che alcuni distinguo si possono fare sui bimbi: quelli che arrivano in questi mesi e che fuggono dalla disperazione, forse potranno restare sull’isola; gli altri, quelli arrivati da tempo, dovranno invece fare i bagagli e tornare con le famiglie nei rispettivi paesi d’origine.
La Svezia calcola che per trasferire gli ottantamila migranti previsti occorreranno non semplici voli di linea, ma una organizzazione di voli speciali che, comunque, impiegheranno qualche anno per percorrere le tratte avanti e indietro.
Gli olandesi se la cavano, invece, con i trasporti ferroviari: il leader laburista Diederik Samsom ha esposto un piano di evacuazione dei migranti che verrebbero condotti ai confini con la Turchia i migranti arrivati dal confine greco.
L’accoglienza dei mesi scorsi, i sorrisi di Angela Merkel, tutto sembra cambiato e il motivo apparente sono i problemi di sicurezza che si sono creati in Francia, Belgio, Germania e, per ultimo, il tragico episodio del quindicenne che ha assassinato brutalmente una dirigente di un asilo svedese.
Ma la motivazione reale è che, anche quella che poteva essere considerata una risorsa proprio da una campionessa di liberismo come Angela Merkel, un esercito di ricambio occupazionale a basso costo per i padroni tedeschi e anche di mezza Europa, si è rivelata una fonte di destabilizzazione per le istituzioni di una Unione Europea che si è divisa in tante piccole patrie, trincerandosi dietro riammodernati nazionalismi che hanno eretto muri scavalcabilissimi ma che danno il senso dell’ostilità che da Est ad Ovest si muove nemmeno poi tanto nascostamente tra le cancellerie e i palazzi di altri ben noti poteri.
Insomma, i migranti destabilizzano non la sicurezza nazionale di questo o quello stato, ma sono un elemento di incertezza per il mantenimento del livello di crisi economica al punto tale di uno status quo che consente ai governi di mettere in atto politiche di restringimento dei diritti sociali e di implementamento dei profitti.
I cruenti fatti di Colonia, che non si sa veramente ancora bene a chi attribuire, anche se nelle primissime ore sembravano quasi una nuova forma di attentato di Daesh contro i popoli europei, l’omicidio di una innocente dipendente di un asilo di Gotheborg, sono l’utile leva per liberarsi di un problema che non è risolvibile se non investendo risorse che andrebbero distratte dai normali canali di sfruttamento della Banca Centrale Europea e delle borse di mezzo Vecchio continente.
Non vi è altra risposta a questa ondata di respingimenti e di piani di espulsione di massa che si sta preparando da nord a sud, da Stoccolma fino a Vienna, da Londra fino a Budapest.
Basti pensare che l’Iran, per bocca del suo presidente Rouhani, ha dichiarato di ospitare attualmente ben tre milioni di profughi e migranti. Chi ha dimestichezza con la geopolitica, sa dove si trova l’Iran e sa che è il confine orientale più prossimo a territori infestati da Daesh, alle cui frontiere premono curdi, islamici tanto sunniti quanto sciiti, yazidi e altre popolazioni che sono sotto la concreta minaccia di morte del califfato nero.
Se l’Iran, paese che nega i più elementari diritti civili, riesce ad ospitare tre milioni di profughi, come fa l’Unione Europea a non gestire il flusso migratorio che, comunque, in questi mesi si è notevolmente ridimensionato? Nel 2015 sono transitati per le frontiere europee non tre milioni di persone, ma – secondo stime ufficiali della stessa UE – nel 2014 gli arrivi sono stati circa 250.000 e in tutto il 2015 meno di mezzo milione.
Sono cifre imponenti, ma certamente molto meno impattanti se spalmate su una popolazione di oltre 300 milioni di persone che vivono nel territorio dei paesi che fanno capo a Bruxelles.
Questo occidente democratico e pluralista, solidale, aperto alla moderna visione di un mondo dove l’interazione è una delle dimensioni da vivere e in cui vivere, oggi chiude le porte, accetta quei muri ungheresi e slovacchi che vengono eretti con filo spinato e con la tetra presenza delle sentinelle di polizia.
Come accadeva nei territori della nordica Scozia quando, con un lavoro di ben sei anni, venne costruito il Vallo di Adriano per difendersi dai Pitti e da quelli che i romani consideravano “barbari”. Torna il “limes”, torna il confine fortificato a difesa oggi non di un impero che, nel bene e nel male, ha dato al mondo molta bellezza, molta cultura e qualche idea di convivenza tra popoli diversissimi, ma a difesa di una impaurita enorme scatola economica che si tiene assieme con la fortunosa disperazione dei più deboli che non hanno altra forza se non affidarsi alla tirannia dei più ricchi. E allora, a cosa serve celebrare la “Giornata della memoria” il 27 gennaio ogni anno se già il 28 gennaio mezza Europa si volta indietro verso tempi bui, all’ombra sempre incombente di una svastica?
MARCO SFERINI
29 gennaio 2016
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