Morto Nasrallah, tutto cambia

Libano sotto choc dopo la conferma che il capo di Hezbollah è rimasto ucciso nel raid israeliano di venerdì. E la strage continua. Anche ieri attacchi pesantissimi sulla periferia sud di Beirut e la zona dell’aeroporto

«Appena arrivata la notizia si sono fermati tutti, la gente trema, piange, grida e si batte il petto… è impressionante», commenta a caldo un volontario di una ong locale che distribuisce beni di prima assistenza al centro di accoglienza allestito nel complesso messo a disposizione dal ministero dell’Educazione, nella periferia a sud-est di Beirut, Dekwaneh. Da lì venerdì le esplosioni sono state nettissime, come fossero nel cortile della scuola. La notizia, in quel momento ancora non confermata, ha fatto il giro del mondo ieri: Hassan Nasrallah è morto. Tutti sanno che le cose sono cambiate.

La comunità sciita è sotto choc in tutto il Libano. A Beirut, nei quartieri meridionali, ma anche nei centralissimi Bashoura, Zarif o Basta si sentono le grida e il pianto a singhiozzi di uomini, donne e bambini per la perdita di un leader, di una guida politica, religiosa, militare, di un punto di riferimento. Perché considerare Nasrallah solamente un capo è profondamente riduttivo. Saranno giorni difficili, imprevedibili, di dolore e risentimento. Si sentono slogan come «‘aysh, ‘aysh!» (vive, vive) o come «Labbayka ya Nasrallah!» (Ai tuoi ordini, Nasrallah!).

Condoglianze sono giunte da molta parte del mondo politico libanese: Michel Aoun (ex presidente e alleato di Hezbollah), Walid Jumblat (capo della comunità drusa), Saad Hariri (ex premier e leader sunnita) hanno espresso messaggi di stima. Le Forze Libanesi, destra conservatrice cristiana e avversario storico della milizia-partito, non ha rilasciato dichiarazioni ufficiali. Ma venerdì sera nella sede del partito di Geitawe, Beirut est, roccaforte del partito nella capitale, dopo il violento attacco e la notizia della presunta morte di Nasrallah, l’aria era di festa, con musica a volume alto fino a tardi.

Tutta la notte tra venerdì e sabato l’aviazione israeliana ha continuato a bombardare la Dahieh, come è chiamata questa parte di Beirut. La gente si è riversata per le strade ed è arrivata fino alla Corniche, sul lato del mare, sperando che almeno là sarebbe stata al sicuro. Anche gli ospedali della zona vengono in fretta e furia evacuati. Si teme, a ragione, che quello che è accaduto a Gaza si ripeta. «Faremo a Beirut quello che stiamo facendo a Gaza», riecheggiano profetiche le parole del ministro della difesa israeliano Gallant, pronunciate pochi giorni dopo l’inizio del conflitto, un anno fa.

La giornata di ieri è stata segnata da altri pesantissimi attacchi sulla periferia a sud di Beirut. Alle 17.30 circa locali è stata colpito il quartiere di Lailaki. Alle 18 è la volta di Chiyah, quartiere residenziale e popoloso a pochi passi dal centro commerciale Beirut Mall. Dopo mezz’ora, un altro attacco. Alle 20 locali è la volta di Hay el-Sellom, nei pressi dell’aeroporto, mentre pochi minuti dopo l’aviazione israeliana ha colpito una zona industriale a 500 metri dall’aeroporto.

In uno degli attacchi, ha annunciato il portavoce militare israeliano Avichay Adraee su X, è morto Hassan Khalil Yassine, responsabile del dipartimento di informazioni di Hezbollah. Il probabile successore, Hachem Safieddine, capo del consiglio esecutivo, non era invece presente venerdì quando è stato ucciso Nasrallah, dopo le prime voci che lo avevano dato morto.

Il ministro della Salute Firas Abiad ha comunicato che il Libano, dall’8 ottobre, giorno di inizio del conflitto da questa parte, conta 1640 morti (104 bambini, 194 donne), 8404 feriti e dispersi. Mille solo in questa nuova fase del conflitto. Dati ovviamente al ribasso, che non tengono conto degli ultimi bombardamenti perché in questo momento è pericoloso anche scavare sotto le macerie, in quanto Israele attacca a ripetizione.

Il sud e la Beka’a, nell’est del paese, sono senza sosta sotto le bombe – in maniera estesa e sistematica – da ormai una settimana. Il numero degli sfollati registrati, che per l’Organizzazione internazionale della migrazione (Oim) sono nell’ordine di circa 150mila, in realtà sono almeno il doppio. Dal sud in particolar modo, ma anche dalla Beka’a si sono riversati su Beirut e su altre città relativamente più tranquille.
Uno dietro l’altro gli appelli a lasciare il paese da parte delle ambasciate. Alcune hanno già messo in atto piani di evacuazione per le famiglie dei diplomatici, come ad esempio Germania e Stati Uniti, mentre altre, come quella italiana, si sono limitate al momento a invitare i concittadini a lasciare spontaneamente il paese.

Najib Miqati, premier uscente, si è precipitato da New York ancor prima che la notizia divenisse ufficiale. Ha decretato da lunedì a mercoledì tre giorni di lutto nazionale. L’ayatollah Ali Khameini, guida suprema iraniana ne ha decretati cinque.

L’uccisione di Nasrallah sposta gli equilibri del conflitto in maniera decisiva. Ogni strada è aperta e la guerra può prendere qualunque piega. In queste ore si decide la sorte del Libano e dell’intero Medioriente.

PASQUALE PORCIELLO

da il manifesto.it

foto: screenshot You Tube

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