Ennio Morricone è morto ieri, 6 luglio 2020. Al grande maestro, all’uomo di cultura e di profonda sensibilità sociale rivolgiamo un commosso saluto e riprendiamo questa biografia uscita su “il manifesto” che ne ritrae molto accuratamente tutta la grande carriera, la bellissima vita.
Una vita come di quelle che non si fanno più. Nasce a Roma, il 10 novembre del 1928. Una persona discreta e riservata che preferiva raccontarsi nel suo lavoro, piuttosto che nelle parole. Persino nell’ottimo volume Inseguendo quel suono, curato da Alessandro De Rosa, il maestro preferisce parlare subito di scacchi, sua grande passione, mettendoli in relazione alla musica. Gli aneddoti sugli esordi morriconiani sono evocati così dal diretto interessato nel volume in questione: «Iniziai come trombista, prima accompagnando, e, a volte, sostituendo mio padre durante la Seconda guerra mondiale e, poi, nei night romani e nelle sale di sincronizzazione».
Sin da giovanissimo, Morricone è un’eccezione. Goffredo Petrassi lo prende sotto la sua ala protettrice anche se non suona il pianoforte ma la tromba, cosa all’epoca fortemente irrituale. Sotto la guida petrassiana si diploma in composizione, oltre che in tromba e strumentazione per banda con Antonio D’Elia. Più tardi aggiungerà alla sua formazione musica corale e direzione di coro. Questa scissione, raccontata con una punta di rammarico, fra formazione accademica e lavoro nel campo della musica di consumo, se da un lato osservato dall’esterno fonda e nutre la straordinaria singolarità e genialità morriconiana, dall’altro ha sempre creato al maestro dubbi e lacerazioni.
Quando si diploma, Morricone lavora già come arrangiatore. Il primo ad avvalersi dei suoi servizi e dell’immenso talento per le soluzioni inconsuete è Carlo Savina. Quest’ultimo non conosce personalmente il futuro compositore delle musiche dei western di Sergio Leone ma ne ha sentito parlare dal contrabbassista Giovanni Tommasini, amico del padre di Ennio dal quale aveva saputo che il ragazzo studiava composizione. Savina all’epoca cercava qualcuno in grado di aiutarlo nella scrittura degli arrangiamenti per una produzione radiofonica.
Dovendo lavorare con l’orchestra B, come era nota allora l’orchestra utilizzata per la musica leggera, Morricone trova il modo il modo di verificare sul campo i principi dell’orchestrazione. Oltre agli archi, infatti, si trova a inventare con l’organo Hammond, chitarra, batteria, sassofono e persino arpa. Morricone stesso rievoca come sin da questi primi lavori tendeva al massimo le possibilità offerte dall’arrangiamento e dagli strumenti. Sovente con Savina si scontra, ma il maestro poco alla volta licenzia tutti gli assistenti arrangiatori e divide il lavoro solo con il giovane Morricone.
Questi ricordi professionali, confidati a De Rosa, non sono presentati sul filo di una nostalgia autunnale ma nel segno di una complicità professionale tesa a manifestare la totale consapevolezza che Morricone ha sempre posseduto nei confronti del lavoro musicale. Il desiderio costante di lavorare la musica, esplorarne le possibilità. Solo in questo modo si può comprendere come in un brano di musica leggera come Il barattolo di Gianni Meccia siano presenti soluzioni ritmiche a dir poco avanguardistiche e che solo anni dopo sarebbero state comprese in tutta la loro complessità.
Difficile raccontare la vita di una persona che in fondo non ha fatto altro che dedicarsi alla musica lavorando instancabilmente tutti i giorni della sua vita producendo altrettanto instancabilmente capolavori su capolavori. Al cinema Morricone giunge tramite Luciano Salce. Quest’ultimo lavorava al programma Rai Le canzoni di tutti per il quale scriveva i testi di canzoni che Morricone arrangiava. Salce vorrebbe Morricone per il film Le pillole di Ercole, ma De Laurentiis pone un veto sullo sconosciuto.
Il film è un successo e quando Salce inizia la produzione de Il federale, impone Morricone. Il sodalizio con Salce è fecondo e produce fra le altre cose Quello che conta e Tra tanta gente cantate da Luigi Tenco per il film La cuccagna. Insomma quando Ennio Morricone collabora per la prima volta con Sergio Leone ha già alle spalle quella che qualunque altro musicista potrebbe considerare un’intera carriera e ben 15 film fra i quali anche Prima della rivoluzione di Bernardo Bertolucci. Eppure tutto era solo agli inizi. Il tema di Per un pugno di dollari, spartiacque epocale della musica da film, è il trionfo del Morricone compositore e arrangiatore, anche se il maestro ha sempre avuto un’opinione molto severa del suo lavoro.
In pochi minuti Morricone distrugge un canone, quello hollywoodiano, e ne crea uno completamente nuovo. Schiocchi di frusta, la tromba di Michele Lacerenza, l’armonica di Franco De Gemini, la chitarra elettrica di Alessandro Alessandroni e quella di Bruno Battisti D’Amario, il fischio e i Cantori di Alessandroni. È all’alba di un nuovo mondo. Nulla sarà più come prima. Non è un caso che queste musiche diventeranno anche sinonimo di insurrezione nei collettivi studenteschi sorgevano ovunque nel mondo. Eppure Morricone aveva altre ambizioni. Voleva essere un compositore di quelli all’altezza della scuola di Darmstadt. E lo era, ovviamente. Ma temeva di sprecare il suo talento, dedicandosi a film di consumo e a canzonette. Ed è davvero illuminante osservare come nella sua produzione cinematografica degli anni Settanta, quella legata al thriller e al giallo, la musica contemporanea e concreta si presenti come un filo rosso ineludibile, così come le rielaborazioni delle intuizioni del Miles Davis post Bitches Brew.
Questa saldatura si compie, per esempio, con straordinaria lucidità nelle musiche composte per Gli occhi freddi della paura, thriller diretto da Enzo G. Castellari. Per l’occasione convoca i colleghi del Gruppo di Improvvisazione Nuova Consonanza per dare alla luce quello che a tutti gli effetti è già un disco di post-rock ante-litteram, per utilizzare delle categorie comprensibili, anche se la definizione di «psichedelia in giacca e cravatta» coniata da Tommaso Colliva dei Calibro 35 ci sembra più interessante e puntuale.
Dall’altro lato dell’Oceano si osserva col fiato sospeso la creatività musicale espressa da questo signore schivo di Roma dalla battuta sempre affilata. Nel 1977 Morricone firma per lo sfortunato L’esorcista II – L’eretico di John Boorman una delle sue creazioni più affascinanti, pari solo a I giorni del cielo di Terrence Malick. Riesce persino a collaborare due volte con Samuel Fuller, sia per White Dog che Thieves After Dark.
Uno dei grandi dispiaceri morriconiani è il mancato Oscar per Mission, ma le pagine più affascinanti della sua produzione hollywoodiana le scrive per film come Stato di grazia di Phil Joanou o Rampage di William Friedkin. L’Oscar sospirato (dopo quello alla carriera nel 2007) giunge finalmente nel 2016 per The Hateful Eight di Quentin Tarantino alle cui insistenze cede per intercessione della moglie. La cui musica viene registrata e incisa direttamente su vinile ad Abbey Road. Leggendario l’affettuoso gesto del cucchiaio che Morricone indirizza al giornalista incredulo di avere davanti agli occhi il leggendario compositore (contenuto negli extra del disco Ennio Morricone – 60 Years of Music).
Tutta la carriera musicale di Ennio Morricone è stata all’insegna del mettere in relazione mondi apparentemente lontanissimi. Edoardo Vianello e Darmstadt. Stockhausen e Verdi. Il western e il giallo. E su tutto è riuscito a imprimere il marchio della sua immensa curiosità, giocosità, genialità, creatività. Instancabile e irrefrenabile. Basti ascoltare le musiche composte per La corrispondenza dell’amico adorato Peppuccio Tornatore, per toccare letteralmente con mano l’entusiasmo di un creatore che continuava a inventare instancabile con la gioia di un bambino che sogna felice. Ha ragione Carlo S. Hintermann. Er sor Enio, era la davvero la quintessenza di Roma e della sua genialità. E noi, testimoni della sua prodigiosa prolificità inesauribile, i privilegiati invitati a una festa infinita. Sì: Ennio Morricone è tutta la musica e tutta la musica è Ennio Morricone.
GIONA A. NAZZARO
foto tratta da Wikimedia Commons