Morì sotto il sole di luglio mentre raccoglieva pomodori nelle campagne salentine tra Nardò e Avetrana, lavorando senza un contratto legale e senza garanzie sanitarie.
Ora per la morte di Abdullah Mohammed, bracciante sudanese di 47 anni, la Corte di assise di Lecce ha condannato a 14 anni e mezzo di reclusione sia l”imprenditore agricolo che lo sfruttava, Giuseppe Mariano, che il connazionale della vittima Mohamed Elsalih, caporale che gestiva il giro di braccianti da utilizzare nei campi. Per entrambi sono state confermate le accuse di riduzione in schiavitù e omicidio colposo contestate dalla procura salentina.
La chiusura del processo di primo grado su uno dei tanti casi di sfruttamento di lavoratori immigrati, spesso fino alle estreme conseguenze, arriva proprio alla vigilia della presentazione del VI Rapporto Agromafie e Caporalato, curato dall’Osservatorio Placido Rizzotto della Flai Cgil, in programma martedì prossimo ai Frentani a Roma. Un rapporto che fra le tante evidenzia, grazie ai dati dell’Istat, come lo scorso anno siano stati ben 230mila gli occupati impiegati irregolarmente nel settore agricolo, oltre un quarto del totale degli occupati nel comparto, con una fetta molto consistente di “stranieri non residenti”.
Era uno di questi Abdullah Mohammed, sposato e padre di due figli, che il 20 luglio del 2015, in una giornata in cui la temperatura che sfiorava i 40 gradi avrebbe dovuto sconsigliare a chiunque il lavoro nei campi, fu invece mandato al macello senza la minima tutela. L’uomo per giunta era malato, ma nessuno aveva riscontrato le sue patologie perché non era mai stato sottoposto ad una visita medica, come ha accertato il medico legale Alberto Tortorella. Il sanitario nel corso del processo ha spiegato ai giudici che quel giorno Abdullah Mohammed, così come aveva evidenziato l’autopsia, aveva la febbre alta provocata da una polmonite virale.
Nella sua requisitoria il pm Francesca Miglietta ha accusato i due imputati di aver costretto i braccianti a lavorare in condizioni di assoluto sfruttamento e soggezione. La vittima infatti era impegnata come gli altri immigrati più di 10 ore al giorno nei campi sotto il sole cocente e in condizioni usuranti e disumane, senza pause né riposi settimanali, per una paga che non arrivava a 50 euro. Ovviamente in nero. La sentenza è andata oltre le richieste del pubblico ministero nella quantificazione delle pene, e ha disposto anche il risarcimento dei danni in favore della vedova del 47enne e delle altre parti civili, fra cui la Cgil di Lecce e la Flai Cgil di Brindisi.
Infine è stata ordinata la trasmissione degli atti alla procura in relazione alle dichiarazioni rese da alcuni lavoratori citati come testimoni a difesa, ricostruzioni ritenute palesemente false e cartina di tornasole di una persistente situazione patologica nel settore primario, dove il caporalato e lo sfruttamento restano assai diffusi.
Al contrario, il governo Meloni annuncia che con la prossima manovra di bilancio intende “introdurre” l’utilizzo dei voucher in agricoltura, provocando l’immediata reazione di Giovanni Mininni, segretario generale della Flai: “Prima di tutto teniamo a precisare che i cosiddetti voucher sono già previsti per i lavoratori agricoli e sono anche ben normati da anni, per garantire sia le imprese che i lavoratori. Per il resto riteniamo che innalzare soglie o eliminare tutele non significherebbe semplificare le procedure burocratiche su cui si dice di voler intervenire, ma come abbiamo già visto in passato dare maggiori spazi ai caporali e a chi vuole sfruttare chi lavora”.
RICCARDO CHIARI
Foto di Los Muertos Crew