Quando il senatore a vita Mario Monti annuncia che voterà la fiducia al governo di Giuseppe Conte in nome degli impegni europeisti assunti in aula dal presidente del consiglio, e mentre dai banchi del Movimento 5 Stelle si levano sguardi soddisfatti e rassicurati, si chiude un cerchio della recente vicenda politica.
La forza politica che ha conosciuto i primi successi nel 2011 ed è esplosa definitivamente nel 2013, esattamente durante la parabola della larga alleanza in nome dell’austerità montiana, il soggetto che ha utilizzato la maggioranza che univa quasi tutte le forze in parlamento per sollevare polemiche e trarre forza elettorale, si ritrova dalla stessa parte della barricata di Monti. Per di più, in nome della continuità con le famiglie politiche continentali. Monti ne è cosciente e si rivolge proprio a Conte per ricordargli che «liberali, socialisti e popolari condividono il modello dell’economia sociale di mercato».
Per il M5S si tratta di un punto di non ritorno. Di un passaggio politicamente, molto più importante dell’aver rinnegato i dogmi sul vincolo di mandato o le sparate contro la figura stessa dei senatori a vita.
Nel corso del dibattito al senato, dove la maggioranza traballa più che alla camera, si rafforza lo schema che nei giorni precedenti, nel corso delle schermaglie che hanno preceduto la rottura nella maggioranza, ha dettato i tempi delle polemiche. Da una parte i renziani che rivendicano di battersi contro l’«immobilismo», in nome del decisionismo e della mobilitazione permanente del premier e del governo, dall’altra i grillini che si presentano come forza «responsabile» e garanzia di «stabilità».
Il canovaccio dei discorsi dei grillini a palazzo Madama dice molto di questa mutazione. «Non possiamo permettere che si faccia un azzardo sul destino del nostro paese: la salute pubblica e le sorti degli italiani non sono un gioco d’azzardo», scandisce nel suo intervento in aula Gianluca Perilli. «Sono fiducioso che verrà fuori senso dello stato. Confido in un risultato solido», dice Gianluca Castaldi.
La coincidenza è la sovrapposizione tra le posizioni europeiste del presidente del consiglio, che dopo aver governato con la Lega è diventato il baluardo dell’anti-sovranismo, e il Movimento 5 Stelle, che per bocca di Luigi Di Maio si è scoperto come moltiplicatore nei confini patrii della maggioranza Ursula che regge la Commissione europea, per di più avviene nel momento in cui tra i grillini regna un insolito senso di unità.
Sarà la paura di elezioni che stando alle ultime valutazioni tra calo elettorale e taglio de parlamentari farebbero perdere ai 5 Stelle i due terzi dei seggi, o magari sarà la forza attrattiva della polarizzazione tutti-contro-Renzi che stuzzica la matrice originaria dell’antiberlusconismo e che spinge a glissare sulle differenze per colpire l’avversario designato. Fatto sta che ormai da giorni persino Alessandro Di Battista ha salutato il nuovo ciclo del M5S unitario. Al punto che si fa il suo nome per un ministero, nel caso in cui Conte dovesse accontentare la maggioranza e procedere a un rimpasto.
Sarebbe la quadratura del cerchio, il compimento definitivo dell’opera di transizione politica del M5S operata dal presidente del consiglio.
GIULIANO SANTORO
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