Mentre il reddito delle famiglie italiane scende di 2.400 euro in pochissimi anni, mentre le future previsioni dell’Ocse non prospettano nulla di roseo sul piano del risollevamento del tenore di vita della stragrande maggioranza di persone che vivono e provano a sopravvivere in Italia, la magistratura tedesca dà il via libera al MES. Un altro acronimo sconosciuto ai più, una sigla che significa: “Meccanismo europeo di stabilità”.
Ancora in nome della “stabilità” economica, dunque, si procede avanti tutta per definire come i paesi più poveri dell’Unione Europea possano essere oggetto di prestito di denaro dietro garanzia di acquisto dei titoli dei medesimi paesi in difficoltà. A regolare questa seconda parte del gioco è un altro organismo, l’ “Outright monetary transaction”.
Un do ut des che, guarda caso, si risolve sempre a vantaggio di chi presta e mai del debitore. E nemmeno finisce con un pareggio di conti, ma sempre con un valore aggiunto che deriva dalle speculazioni finanziarie che in questo caso direttamente gli organismi di Bruxelles esercitano proprio su chi se la passa nel peggiore dei modi. Provare per credere: basterebbe chiedere ai greci come vivono i prestiti dell’Unione Europea e i vincoli ulteriori che la Banca Centrale guidata da Mario Draghi impone rigidamente e senza appello.
Angela Merkel è stata perentoria anche con Matteo Renzi in questi giorni di incontri a Berlino: interessante il programma del giovane presidente del consiglio italiano ma i numeri restano numeri e i patti si rispettano secondo la migliore tradizione romana che da millenni lo proclama.
E proprio noi discendenti dei latini, degli antichi romani e di un impero che dominò su tre continenti non vorremo essere da meno per la nostra storia. Va provato al mondo che l’Italia ce la può fare a rispettare i vincoli del mercato, che può creare quella “stabilità” che il MES richiede e che ora può essere applicata a tutto tondo, visto il via libera della più alta corte di giustizia della Germania.
Del resto la locomotiva tedesca non poteva lasciarsi sfuggire anche questa occasione: la benedizione del MES è, pertanto, un passaggio magari tecnico, di prammatica, ma sancisce – se ce ne fosse il bisogno – anche giuridicamente che tutto è perfettamente legale.
Se la cantano e se la suonano e intanto i vincoli dettati dai trattati stringono la morsa su una economia nazionale che non riesce ad investire più in nulla, decelera e cala in ogni settore. Persino in quello della manifattura, in quello agricolo dove era la quarta tra le nazioni europee a primeggiare.
La politica di Renzi è chiara: dare garanzie all’Europa sulla base di un programma di governo che emerge sempre più per quello che è veramente. Al di là degli 80 euro al mese distribuiti a chi guadagna meno di 1.500 euro, la mannaia dell’esecutivo si abbatte sulle pensioni ed esclude da qualunque miglioramento di condizioni di vita chi è precario, disoccupato o, questa è da segnare attentamente e sottolineare abbondantemente, chi è disabile. Già, sembra che anche le pensioni e i redditi delle persone disabili siano nel cerchio magico di intervento strutturale del governo per reperire risorse mentre la ministra Pinotti valuta se tagliare o meno le spese assurde che dovrebbero essere impiegate per l’acquisto dei famigerati cacciabombardieri F35.
Acronimi, cifre che li seguono e che spesso ci passano sopra le teste, in mezzo alle colonne dei pezzi giornalistici e che scorriamo così, senza colpo ferire. Senza esserne feriti. Ma sono spesso cardini e pietre angolari delle manovre di governo sul piano economico e delimitano i confini del tenore di vita dei più deboli, dei meno tutelati, di chi non riesce a sbarcare il lunario e ricorre sempre più spesso agli aiuti della Caritas o di enti di assistenza anche privati… visto che il pubblico è dedito a mettere le mani nelle tasche proprio di chi invece dovrebbe maggiormente tutelare.
In realtà, le parole che compongono gli acronimi che descrivono istituti europei volti alla salvaguardia del benessere dei paesi più indigenti, sono parole false, bugiarde e volutamente ipocrite. Per la borghesia continentale il benessere è solamente il suo benessere, il proprio e niente altro.
In questo senso il Meccanismo europeo di stabilità assume il suo più legittimo e pieno significato. Per il resto della popolazione può essere declinato nel peggiore dei nomi possibili, raffigurando un elemento di ulteriore impoverimento sociale, di deflagrazione dei diritti acquisiti in tempi ormai lontani e che sono tutti, ma proprio tutti da riconquistare.
Le elezioni europee non sono e non saranno la panacea di tutti i mali. Nessuno si illude e nessuno deve illudersi a questo riguardo. Ma rappresentano una tappa per la ricostruzione di una sinistra che abbracci tutta l’Europa e che contrasti l’avanzata pericolosamente impetuosa di forze come il Front National in Francia, gli Jobbik magiari e molti altri gruppi xenofobi, autoritari, violenti come Alba dorata in Grecia: tutti volti ad una esasperazione delle coscienze, ad una radicalizzazione dello scontro tra poveri, tra uguali nella miseria ma diversi per colore della pelle, per credo religioso, filosofico o culturale.
Compito di una nuova sinistra in Europa deve essere politicamente plurale: fermare questi rigurgiti di nazionalismo esaltatore dell’odio con il solo modo possibile. E il solo modo possibile è l’inversione delle politiche economiche continentali, l’abolizione del Fiscal compact, la riconversione e la ridiscussione dei trattati internazionali, la trasformazione dell’Euro da moneta che pesa sulle vite dei popoli europei a moneta che unisce e che può favorire un’economia sociale invece che esclusivamente profittuale.
Stiamo parlando di una vera rottura rivoluzionaria con tutto quello a cui oggi assistiamo in Europa, ma o sarà così o l’economia dei singoli stati diventerà un luogo di scontro invece che di incontro e di scambio con gli altri continenti.
L’Europa sociale è possibile costruirla solo voltando le spalle a tutto ciò che oggi conosciamo, ma senza le proposte demagogiche di uscita dall’Unione o dall’Euro. Non è cambiando meramente la moneta che si cambia l’economia. Uscendo dalla UE, poi, si produrrebbe una frammentazione in tutti i settori, un progressivo indebolimento di una situazione sociale già disastrosa. I poveri sarebbero ancora più poveri per effetti inflattivi che scatenerebbero il panico e il lavoro diventerebbe un lusso per pochissimi.
Dobbiamo invece, con le liste riunite intorno ad Alexis Tsipras, prendere a modello l’energica risalita della sinistra greca ma non imitarla: ogni paese ha le sue peculiarità e sarebbe sbagliato assimilarci a questo o quell’esempio. Di certo serve una maggiore coesione politica non unificante senza distinzioni culturali o ideologiche, ma certamente unita su una sintesi pragmatica che sappia scrivere e praticare un modello di Europa alternativo a quello in cui oggi disgraziatamente ci troviamo a vivere.
MARCO SFERINI
18 marzo 2014