Il calcio rappresenta ormai da molti decenni una parte fondamentale dell’immaginario collettivo delle italiane e degli italiani.
Ebbene questo immaginario, posto da molto tempo al confine del mito, nel giro di pochi giorni è stato rappresentato da due fatti tra loro apparentemente contrastanti.
Da un lato la tragica scomparsa di Gianluca Vialli ha suscitato un turbine di “pietas” e di buoni sentimenti: un’espressione emozionale collettiva legata alla visione che il personaggio aveva sempre saputo costruire intorno a sé, particolarmente nel periodo difficile della malattia.
Dall’altro canto abbiamo assistito al ritorno ad una esplosione di violenza, definibile davvero di nuovo come lotta tribale (come descritta da Desmond Morris in un suo testo di qualche anno fa).
Così si può qualificare l’episodio dello scontro tra ultras Roma – Napoli avvenuto sull’autostrada.
Si è verificato un incrocio tra apparenti opposti intrecciati però dall’esaltazione della “forza” intesa quale punto creativo della supremazia, di quella aspirazione al dominio che rimane comunque, al fondo dell’animo umano, lo scopo finale ed esaustivo della competizione.
Non è sfuggita a questa regola la strumentazione mediatica costruita attorno alla tragedia di cui è stato protagonista Gianluca Vialli.
Anzi: rivisto dopo la sua morte il film “La bella stagione”, in cui è protagonista il campionato dello scudetto della Sampdoria, esso appare quasi una sublimazione dell’idea di segnare un “oltre” nel quale il dominio assume quasi l’espressione di una ricerca assoluta del senso della vita.
Il film è costruito, infatti, sull’idea della rivincita: tutto ruota nella ricerca dell’abbraccio finale, quello di Wembley 2021 in un susseguirsi di aspettative coltivate sul filo di una crescente tensione emotiva cui non si riesce a sfuggire: quasi una rapsodia shakespeariana.
Raramente si è visto un testamento spirituale così coinvolgente costruito sulle immagini proprio da chi era il latore del messaggio nella piena consapevolezza di ciò che si stava elaborando.
L’escatologia del gioco raggiunge così il suo fine ultimo e il calcio si trasforma davvero in “fede” ben oltre la fidelizzazione verso i diversi colori e l’approccio nazionalista verso la competizione globale.
Così la violenza non può che inglobare i buoni sentimenti rendendone difficile la distinzione se non compiendo una operazione faticosamente contraria alle regole comuni dettate dall’ovvio della necessità di una appartenenza.
Un’appartenenza contraddittoria in un momento che alla fine non può essere altro che di fantasia dal quale accettiamo il regalo della sublimazione dei nostri sogni più reconditi : Nike la mediatrice tra gli dei e gli uomini.
FRANCO ASTENGO
13 gennaio 2023
Foto di Denniz Futalan