La vittoria di Javier Milei al ballottaggio di domenica scorsa in Argentina non era certo imprevedibile. Ma gli 11 punti di distacco con cui «l’anarchico di mercato» ha stracciato il ministro dell’Economia e candidato del centrosinistra peronista, Sergio Massa, hanno sbalordito tutti a Buenos Aires. Anche i suoi più accorati sostenitori. La rabbia nei confronti della «casta politica» è stata più forte della paura verso la destra estrema dunque.
Il risultato delle elezioni segna in primo luogo una chiara riconfigurazione politica interna: il bipolarismo di coalizione che si è affermato negli ultimi vent’anni, tra l’eterogeneo polo peronista dominato dal centrosinistra e dalla figura di Cristina Fernandez de Kirchner, e quello liberal-conservatore dell’ex presidente Mauricio Macri (2015-2019) è definitivamente collassato.
Massa, che aspirava ad ergersi a nuovo leader moderato di un peronismo in picchiata, ha annunciato la sera stessa delle elezioni il suo ritiro a vita privata. L’Unión por la Patria che lo ha sostenuto già fatica a mantenersi unita.
E Macri, entusiasta sostenitore di Milei dopo la sconfitta della sua candidata Patricia Bullrich alle generali del 22 ottobre, può essere invece considerato il vero vincitore delle elezioni: in un colpo solo si è sbarazzato dell’ala moderata della coalizione che lo ha sostenuto durante il suo fallimentare governo, e si è garantito un ruolo di prim’ordine per i suoi alfieri nell’esecutivo “libertario” che governerà a partire dal 10 dicembre.
La Libertad avanza, il movimento di Milei, non ha nemmeno il numero necessario di dirigenti per coprire tutti gli incarichi di un governo nazionale. Inoltre, può contare solo su un esiguo numero di parlamentari, non ha il controllo di nessuna delle 24 province argentine, e sono pochissimi i comuni in cui ha la maggioranza. Il sostegno di Macri sarà vitale per il futuro di Milei, un sodalizio siglato nel lungo abbraccio tra i due nell’Hotel Libertador dove il presidente eletto attendeva domenica i risultati, e che gli addetti stampa di entrambi i partiti si sono affrettati a diffondere il più possibile.
Uno dei tanti punti di domanda che si aprono dunque è se il sostegno della destra tradizionale al al futuro primo governo “libertario” del mondo apporterà un barlume di razionalità e moderatezza al suo programma ultra liberista. L’ideologia di Milei si basa su una concezione estremamente individualista ed economicista della difesa delle libertà individuali.
Il grande assioma che mette insieme le stravaganti proposte presentate durante la campagna elettorale è la riduzione ai minimi termini dello Stato, considerato come un’enorme fonte di corruzione e distorsione dell’economia e della società. «Oggi comincia la trasformazione dell’Argentina», sono state le sue prime parole da presidente eletto. «Oggi inizia la fine della decadenza. È finito il modello dello Stato onnipresente che crea povertà».
Nelle prime ore di lunedì, le azioni delle aziende argentine quotate in borsa a New York sono schizzate del 40%. Si tratta di settori fortemente regolati dallo stato (banche, energia, trasporti) che il presidente eletto ha annunciato di voler liberalizzare.
Nelle prime ore da presidente eletto, Milei ha confermato anche alcuni dei suoi propositi più controversi: chiudere la Banca Centrale, privatizzare le principali aziende statali, tra cui la compagnia energetica nazionale Ypf, la televisione pubblica, Radio Nacional e l’agenzia statale di notizie Télam. Già a partire dal giorno del suo insediamento prenderà misure urgenti, ha sottolineato, per riformare l’intricato sistema di bond dello stato – saliti del 6% a Wall Street dopo la sua vittoria – e risanare le finanze argentine.
Il festivo nazionale per il Giorno della Sovranità del 20 novembre in Argentina ha posticipato di un giorno il primo verdetto del mercato locale sul risultato elettorale. C’è grande attesa specialmente intorno al mercato di valute: il dollaro statunitense, con cui Milei vorrebbe sostituire il peso argentino, è ormai da anni la moneta di riferimento per i prezzi dei beni durevoli e bene di riserva per il risparmio degli argentini.
Ogni suo apprezzamento comporta gravi ricadute sul mercato locale, e si attende un aumento spropositato nelle prossime ore. Instabilità tra l’altro già prevista da Milei, che ha accollato al governo uscente la responsabilità di qualunque collasso economico che possa succedere da qui al 10 dicembre.
Intanto preoccupa lo sdoganamento che il fenomeno Milei ha già messo in atto nei confronti dei discorsi considerati finora inaccettabili o politicamente non corretti. I social sono pieni ormai di denunce da parte di militanti e difensori dei diritti umani che hanno ricevuto minacce negli ultimi giorni. «Da lunedì torna il Ford Falcon verde», recitano molti foglietti anonimi recapitati in casa di diversi attivisti, in riferimento all’auto usata dai militari durante la dittatura (1976-1983) per far sparire gli oppositori politici.
Il modello di Javier Milei in un paese come l’Argentina contraddistinto da un fortissimo attivismo e una diffusa partecipazione politica, è possibile solo attraverso una dura repressione dell’opposizione sociale nelle strade. Il nuovo presidente ha già avvertito, appena ricevuti i risultati: contro chi protesta sarà tolleranza zero.
FEDERICO LARSEN
foto: screenshot tv