L’abolizione da parte del governo Meloni – con esplicita rivendicazione della presidente del Consiglio – della protezione speciale per i migranti che rischiano di essere uccisi o incarcerati nei Paesi di provenienza per le loro idee politiche, le tendenze sessuali o religiose, sancisce la cancellazione di un dispositivo di salvaguardia dei più basilari e riconosciuti Diritti Umani presente attualmente nella maggioranza delle nazioni comunitarie e non solo.
Già questo dato smentisce alla radice la pretestuosa motivazione, avanzata dal Presidente del Consiglio, dell’unicità dell’Italia in questo campo: semplicemente non è vero; le bugie possono far fare molta strada ma impediscono il ritorno, e questo in politica significa avere una vista miope.
Ora è chiaro che sulla pelle dei migranti si giocano partite multiple: quella nazionale di competizione tra Fratelli d’Italia e Lega su chi esclude di più, ma anche una intera visione delle relazioni internazionali, in particolare tra Paesi ricchi ed impoveriti e, attraverso di essa, della costruzione stessa dell’Unione Europea.
È evidentemente una visione biopolitica come la evidenziava Foucault negli anni ’80 del secolo scorso quando chiariva come il corpo migrante, con tutti i suoi significati e significanti simbolici, diventa la massima espressione di una governance che, come suo scopo ultimo, approfondisce anziché colmarle, le linee di frattura già presenti all’interno del genere umano.
Il punto d’intersezione tra il trattamento dei corpi migranti e l’impostazione del biodominio è chiarissimo se riprendiamo la definizione stessa che Foucault dava di «potere sovrano», nella sua radicale novità rispetto alle condizioni in cui questo veniva esercitato sino al termine della guerra fredda. Prima della caduta del muro, infatti, il «potere sovrano» consisteva nel «dare la morte e concedere la vita»; in questi tempi scanditi dal biopotere, la sua definizione è invece cambiata in «sostenere la vita e lasciar morire».
A questo punto appare chiaro il forte collegamento tra gli annunci programmatici delle destre sovraniste sul divieto dei salvataggi plurimi in mare prima, ed ora la decisione italiana di cancellare la protezione speciale, peraltro appoggiata apertamente dal presidente del Ppe Manfred Weber che, in una ieri in una intervista ha dichiarato: «Servono subito accordi chiari di riammissione [leggi espulsioni forzate n.d.a.] con i Paesi di origine» ma, se questi non dovessero funzionare ecco che «i muri dovrebbero essere l’ultima risposta, ma se non è possibile fermare in altro modo l’immigrazione clandestina allora bisogna essere pronti a costruire recinzioni.
Il Ppe pensa che l’Unione europea debba finanziare queste recinzioni perché si tratta di proteggere i confini europei» (dal Corriere della Sera del 17-4-23).
In questa temperie politica è facile capire la necessità di attivare gli strumenti di una reale risposta che tenga insieme, Diritti umani e solidarietà internazionale; in altre parole investire finalmente le risorse atte a sostenere gli Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile che, in sede Onu, tutte le nazioni, incluse l’Italia, hanno deciso di attuare attraverso la destinazione dello 0,7 % del loro Pil, come oggi chiede al governo italiano l’omonima Campagna.
E infatti, basterebbe calcolare semplicemente quanto costano i muri, con la logica securitaria che li accompagna, la militarizzazione dei confini, il sostegno ai Governi che usano i migranti come bombe biologiche per drenare risorse dall’Europa, i persistenti danni ambientali che spingono i popoli a migrazioni forzate e, ultimo ma non per importanza, il continuo e progressivo restringimento degli spazi democratici all’interno stesso dei Paesi dell’Unione, per capire che l’investimento più produttivo per le democrazie è quello in solidarietà e Diritti.
Al contrario, lo stato di emergenza per gestire i migranti non è (ancora) lo stato di eccezione di cui parlava Carl Schmitt, ma chi di noi ha più anni ricorderà quante violazioni delle libertà civili furono ammesse negli «anni di piombo» a partire dal «fermo di polizia».
Ecco perché molti Sindaci, da Lepore a Bologna a Gualtieri a Roma, si oppongono a questa decisione dall’alto.
E allora va rovesciata la logica del respingimento, dei muri, delle barriere, dell’esternalizzazione dei confini militarizzati; per questo le associazioni che si impegnano nella gestione dei migranti in mare, ma anche sulle banchine siciliane o greche, nelle procedure per la protezione dei minori, restituiscono come prima priorità a queste persone il loro volto, la loro identità unica e irripetibile, la loro forza vitale, perché siamo noi, quelli pronti a gettare al vento secoli di democrazia e convivenza, immersi nell’inverno demografico, ad aver bisogno della forza di queste vite almeno tanto quanto loro hanno bisogno di noi.
RAFFAELE K. SALINARI
Portavoce CINI (Coordinamento Italiano Ong Internazionali)
Foto di Phil Desforges