La filosofia non manca di trattati sui rapporti amicali e il senso comune sembra sapere con esattezza di che cosa parliamo quando parliamo di amicizia. Eppure è difficile fornire un resoconto accurato di quali forme di vita e di quali rapporti l’amicizia produca e, viceversa, da quali sia prodotta, quale sia il suo «spazio» rispetto ad altri legami affettivi, come si sia evoluta storicamente e da quali rapporti di potere sia attraversata.
Al di là, quindi, della percezione secondo cui dell’amicizia si è detto tutto, non è difficile comprendere che non esiste al momento un’analisi genealogica che renda conto di questa «relazione ancora senza forma». Questo è il compito che Lorenzo Petrachi affronta, con grande perizia, in Rovine dell’amicizia. Il progetto incompiuto di Michel Foucault (Orthotes, pp. 330, euro 25).
Ovviamente, senza la pretesa di esaurire questa immensa area di ricerca, ma al fine di porre le basi per sviluppare, come recita il sottotitolo, quanto Foucault ha lasciato incompiuto. In un’intervista del 1982, il filosofo francese, che sarebbe morto due anni dopo, affermava infatti: «Se c’è una cosa che mi interessa, oggi, è il problema dell’amicizia. Dopo aver studiato la storia della sessualità, bisogna comprendere la storia dell’amicizia».
È a partire da questa intervista e da altre impercettibili tracce disseminate negli ultimi interventi di Foucault che si dipana l’indagine dello studioso bolognese, indagine che restituisce all’amicizia tutta la sua densità materiale: l’amicizia non è qualcosa di astorico e individualistico, ma un «dispositivo di residualità», marxianamente, «prodotto e informato da relazioni sociali determinate».
L’amicizia è un dispositivo di residualità per almeno due ragioni, una ontologica e una storica. Ontologicamente, l’amicizia non va intesa come qualcosa che sorge ex vacuo dalla nostra volontà; l’amicizia, al contrario, è un campo relazionale di interessi, doveri, affetti, aspettative, piaceri e discorsi…, che si costituisce intrecciandosi e scontrandosi con altri campi di sapere/potere, tra i quali, soprattutto, quelli dell’amore e dell’eterosessualità obbligatoria. Storicamente, nella riflessione di Foucault, l’amicizia, ancora una volta, non si sviluppa ex nihilo, bensì all’intersezione tra i suoi studi sulla sessualità, le tecniche di governo, la soggettivizzazione, la cura di sé e la parresia.
In questo senso, Petrachi può parlare di rovine dell’amicizia: l’amicizia è ciò che si forma dai resti lasciati da forme di relazioni socialmente ben più egemoni. Ma, con un’ulteriore mossa squisitamente politica, l’autore assegna all’espressione anche un significato altro: «una determinata esperienza deve andare in rovina insieme agli altri modi di produzione della relazione che l’affiancano e che le danno forma, se si vuole dar luogo a un mondo brulicante di affetti e rapporti d’altro tipo. Rapporti senza forma, ma già con un nome provvisorio».
Rovine dell’amicizia assume così le sembianze di una «sfida politica collettiva» «per fare in modo che le cose non siano più binarie» e per provare a restituire ad alcuni dei nomi provvisori a cui facciamo ricorso per uscire dalle strette della ragione neoliberale – per esempio “parentele” o “comune” – quella «gamma di sentimenti intensi, ricchi, colorati» che nulla hanno a che vedere «con quella cosa monotona e nera che sarebbe l’amore», per usare le parole che, nel 1978, un’entusiasta Michel rivolse all’amico Thierry.
MASSIMO FILIPPI
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