Almaviva ha già aperto un call center in Romania: proprio nei giorni in cui si annuncia il licenziamento di 2511 dipendenti italiani, sul sito di recruitmentrumeno ejobs.ro campeggia un banner per la ricerca di 500 operatori telefonici che parlino italiano (livello minimo B2), destinati alla filiale Iasi Almaviva Services, operativa dallo scorso giugno nella città di Iasi. Nessuno scandalo per la nuova attività: il gruppo dei Tripi è una multinazionale, con 13 mila addetti nel nostro Paese e 32 mila all’estero. Il problema è che si tratta del primo caso di delocalizzazione per l’azienda, visto che appunto i servizi non verranno lavorati da rumeni per rumeni, ma da rumeni per clienti italiani. Insomma dopo anni di contrasto al fenomeno, anche Almaviva ha dovuto andare a caccia nella Ue di costi più bassi.
Secondo le informazioni che siamo riusciti a reperire, il sito di Iasi avrebbe già un centinaio di addetti operativi, lavorerebbe almeno 3 mila telefonate al giorno, ma punterebbe a un personale di mille unità. L’annuncio di Almaviva propone «contratto di lavoro a tempo indeterminato con orario giornaliero di 4/6/8 ore; stipendio fisso; bonus legati al raggiungimento di obiettivi; possibilità di crescita professionale». Le paghe offerte sarebbero un po’ più alte di quelle dei concorrenti vicini, per poter soffiare le cuffiette migliori.
Il primo grosso contratto attivato sarebbe con Vodafone, ma ci sarebbero contatti per una committenza da parte del 119 Telecom. Vodafone, tra l’altro, si appoggiava in passato sulla filiale Almaviva di Napoli, la stessa di cui due giorni fa è stata annunciata la chiusura (con 845 lavoratori che da gennaio perderebbero il posto). Altri 1666 licenziamenti sono previsti a Roma, anch’esso sito in via di dismissione, mentre Palermo diventerebbe la «sede prioritaria» in Italia. Dopo aver trasferito però 338 operatori (ridotti rispetto al numero precedente di 398) a Rende, in Calabria. Decisione, quest’ultima, che ha provocato proteste: perché in genere, in un settore ad alta tecnologia come è sicuramente quello dei call center, si spostano le commesse e non le persone (con relative famiglie a seguito).
Per Palermo i sindacati parlano infatti di «licenziamenti mascherati». E la stessa decisione di inviare 2511 lettere di mobilità è stata attaccata sia da Cgil, Cisl e Uil che da diversi partiti politici. Si rimprovera all’azienda di aver fatto marcia indietro rispetto a un accordo siglato solo 4 mesi fa, il 31 maggio, in cui si tentava di riassorbire i circa 3 mila esuberi individuati con un mix di accordi sindacali sulla produttività, una distribuzione più «solidale» delle commesse tra le sedi, azioni di contrasto ai fenomeni distorsivi da parte del governo (le delocalizzazioni fuori dalle regole, ad esempio, le gare al massimo ribasso, l’uso degli incentivi al Jobs Act per assumere addetti a basso costo, con un effettodumping).
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ANTONIO SCIOTTO
foto tratta da Pixabay