Nonostante le buone intenzioni, i vincoli di struttura economica e di bilancio pubblico sono stretti. Il quadro macroeconomico e la struttura della manovra non possono che prefigurare miglioramenti marginali, sia per la crescita che per gli spazi fiscali del bilancio. In effetti, il 65% della manovra 2020 (30-33 mld di euro) è condizionata dalle clausole di salvaguardia (23,1 mld). Con questa impostazione, la maggiore crescita, pari allo 0,3%, è interamente attribuita alla sterilizzazione dell’Iva.
Tutte le altre misure sono limitate, indipendentemente dal deficit tendenziale pari all’1,6%, significativamente più basso rispetto al 2,1% previsto in aprile. Qualora la Commissione Europea concedesse un certo margine di flessibilità, difficile senza re-interpretare il Fiscal Compact, sarebbe pari a poco più di 0,5 punti percentuali (7-8 mld).
Data la cornice, come già ricordato, il mancato aumento delle aliquote Iva (clausole di salvaguardia) dal 10% al 13% e dal 22% al 25,2%, determinerebbe una crescita aggiuntiva pari allo 0,3%. Evidentemente il governo computa una maggiore crescita dello 0,3% a partire dal mancato aumento dell’Iva del 3%, più in particolare 0,15 per la prima e 0,15 per la seconda aliquota. Sebbene sia, forse, “ragionevole” la considerazione del Governo, non sappiamo come impattano sul Pil le coperture (minori spese) per neutralizzare l’aumento dell’Iva.
Se il reddito è l’esito dei consumi, degli investimenti e della spesa pubblica, le coperture per disinnescare le clausole, inevitabilmente, contraggono il Pil e tale contrazione deve essere significativamente più contenuta rispetto alla contrazione dell’aumento dell’Iva. Il governo, sostanzialmente, computa una maggiore crescita via riduzione della pressione fiscale (non aumento delle aliquote Iva) e non considera altrettanto efficace una spesa pubblica pari alla crescita delle aliquote Iva.
Sul punto è bene ricordare il Teorema di Haavelmo; secondo questo teorema (detto anche del bilancio in pareggio) una politica economica che miri contemporaneamente ad aumentare, in egual misura, spesa pubblica e prelievo fiscale (in modo che non si abbia né miglioramento né peggioramento del bilancio statale) può ugualmente far crescere il reddito di equilibrio. Gli effetti di una spesa pubblica addizionale saranno, infatti, maggiori degli effetti deflazionistici dovuti alle nuove tasse. Sebbene il teorema sia più che ragionevole, analizzando sia il prelievo fiscale per soggetti giuridici e persone, come le aliquote Iva per singoli Paesi, associare la minore crescita dell’Italia, peggio ancora quella potenziale, all’alto prelievo è un azzardo.
Le aliquote Iva sono nella media europea con uno spazio di manovra non banale (la Danimarca ha un’Iva del 25%), così come le aliquote per le persone e le imprese giuridiche, 47% per le persone e 27 per le imprese. C’è il nodo dell’evasione dell’imposta Iva molto alta in Italia. Secondo l’amico A. Santoro, ad ogni aumento dell’Iva corrisponde una altrettanta crescita dell’evasione dell’imposta. Una osservazione puntuale che occorre considerare perché potrebbe inficiare la potenziale crescita delle entrate fiscali. Sebbene corretta l’osservazione, esistono degli strumenti per ridurla. Magari un provvedimento legislativo che rimuova il vincolo della privacy che impedisce di profilare i contribuenti. Se Google lo fa ogni giorno, perché il fisco non potrebbe farlo?’
In realtà occorre contrastare una analisi economica pericolosa, ovvero che la riduzione del prelievo fiscale permette una equivalente crescita del Pil; da un lato si commette l’errore di associare la crescita alla pressione fiscale, dall’altra si svuota la politica economica pubblica come agente economico. Due facce della stessa medaglia del pensiero ortodosso che da tempo dovrebbe essere già stato consegnato alla storia.
La domanda che dovremo porci è la seguente: impiegare il 65% della manovra per disinnescare le clausole salvaguardia (23,1 mld) è così dirimente? Non sarebbe stato più opportuno un ridisegno delle stesse almeno sul modello europeo, assieme a quella della struttura fiscale nazionale?
ROBERTO ROMANO
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