Non è tanto difficile stabilire la verità dei fatti mediante l’adozione del “metodo storico“, quindi tramite la meticolosa ricerca di testimonianze e fonti che si incrociano tra loro e che consentono di garantire la veridicità di un evento che si è determinato in un dato contesto, in un dato tempi.
Semmai si tratta di un lavoro lungo, laborioso e non affidabile all’immediatezza di uno slogan, di una frase; tanto meno si può trattare di una ricostruzione degli eventi sommaria, fatta per “sentito dire” o riprendendo asserzioni che, nella maggior parte dei casi, sono figlie di illazioni e quindi poggiano sul niente.
Questo, appunto, se si pretende di essere degli storici e se si contribuisce a conservare la memoria della storia, del nostro cammino su questo povero pianeta.
Dunque, il lavoro dello storico ha bisogno di metodo, di tempo, di pazienza e anche di tanta passione. Tutti elementi che vengono recisi ignominiosamente in una società dove lo scambio delle informazioni è così veloce da impedire persino il semplice atto di lettura di un giornale: ci si aggancia ad Internet, si leggono i titoli di qualche sito che privilegia l’effetto al contenuto, si lega tutto ad una “viralità” delle notizie e anche del ripercorrere la nostra storia, le nostre tradizioni, la cultura in generale.
Pertanto, si entra nel vortice dell'”ipotizzabile” che diviene il nuovo “metodo storico“: un metodo completamente revisionista, privo di attendibilità, ma dove i confini del lecito sono così labili da consentire a chiunque di allargare le maglie della rete della verità e far penetrare nella considerazione dei fatti solo opinioni personali viziate da pregiudizi e da veri e propri falsi in tema di racconto dei fatti, di narrazione degli eventi del passato più o meno recente.
Questo accade non tanto per le piramidi egiziane o per le campagne di Napoleone in Italia, Austria e Russia, ma semmai per porzioni del Novecento che riguardano poi l’intero secolo, che l’hanno inevitabilmente condizionato e condannato ad essere lungo e breve al tempo stesso: con due guerre mondiali che l’hanno accorciato terribilmente nei suoi primi quarant’anni; con tutto un retaggio di guerre non guerreggiate, di colonialismi abbandonati e resurrezione dei popoli e di conquista dei diritti sociali e civili che ne ha fatto alla fine un secolo anche molto lungo.
Per l’appunto, proprio nel grande dramma novecentesco delle guerre mondiali si consumano le più disarmanti divisioni popolari tra chi interpreta la politica odierna, corrosa dalla sua stessa compromissione con il potere economico, tradita tante volte nei suoi princìpi costituzionali, piegata al volere privato e sempre più lontana dal civismo e dai “cittadini“, e chi si rifà alle fondamenta del sistema democratico caratterizzandolo con quel tratto sociale ha istruito molti degli articoli della Costituzione repubblicana.
In fondo, si può dire che di revisionismo non è mai davvero esistito uno soltanto: i confutatori delle più evidenti realtà di fatti e accadimenti del recente passato, quanto del presente, si sono moltiplicati grazie alla debolezza culturale che è venuta progressivamente avanti sul’onda della “pacificazione nazionale“, per assecondare anche in questo caso una voglia di assurgere agli scranni del potere, alla gestione esecutiva, al governo della Repubblica.
La morte di Piero Terracina, uno degli ultimi sopravvissuti all’inferno concentrazionario di Auschwitz-Birkenau, così viene oggi vissuta non come la semplice dipartita di un grande testimone delle atrocità naziste e dell’orrore del Terzo Reich; è invece motivo di inquietudine e di allarme, visto che il revisionismo storico, politico e sociale è sempre più di moda: per cui ci si definisce impunemente “negazionisti” nel senso stretto del termine, riferito all’Olocausto ebraico e ai tanti stermini di massa perpetrati dai nazisti e dai fascisti; ci si dice, senza troppi infingimenti, nemmeno più “neofascisti” ma direttamente “fascisti” o “nazisti“, rivendicando con orgoglio l'”ordine” che regnava sotto Adolf Hitler e Benito Mussolini; e tutto questo si traduce, infine, in una rielaborazione dei ruoli costituzionali tanto delle istituzioni quanto dei cittadini da parte delle destre sovraniste.
Non ho mai pensato che debbano servire solamente delle spinte repressive per educare o rieducare giovani e meno giovani ad un atavico e primordiale istinto democratico e sociale. Ho sempre ritenuto che la coercizione fosse una induzione, quindi una forzatura e che, invece, l’adesione ai princìpi dell’eguaglianza tra tutti gli esseri umani e viventi dovesse essere un approdo spontaneo, divenendo così “naturale“, escludendo in tal modo dal consorzio civile quanto lo avrebbe negato anche solo lontanamente.
La scomparsa del sentimento della vergogna del dirsi razzisti, del proclamarsi “mussoliniani” o del simpatizzare per forze più o meno dichiaratamente nostalgiche del ventennio dittatoriale in Italia, l’indebolimento della pregiudiziale antifascista sono sintomi che preludono a consensi nei confronti di nuovi condottieri nazionali adorati sui “social network” come se fossero “di casa“, come un tempo Mussolini veniva vissuto dai ragazzi alla stregua di un padre e dalle ragazze e dalle donne come l'”uomo ideale“.
Siamo su una soglia pericolosa che ci allontana dai conflitti veri, dalle contrapposizioni naturali nel sistema capitalistico: invece della lotta tra le classi sociali imperversa la lotta nelle classi sociali; anzi: nella classe sociale degli sfruttati, dei moderni proletari. Padroni e finanzieri in qualche modo trovano sempre il modo di stare dalla parte della barricata che li protegge da qualunque minaccia di cambiamento dell’ordine costituito.
Per questo l’unica risposta al sovranismo, quella più forte e decisa, cosciente e consapevole non può che essere di critica senza se e senza ma alle condizioni di sopravvivenza in cui milioni di persone si trovano e non può essere la semplice “gentile” opposizione delle sardine che non prendono minimamente in considerazione la costituzione di un fronte largo di opposizione tanto al salvinismo e al sovranismo quanto alle politiche che lo hanno creato: liberismo, privatizzazioni e costante annichilimento dei diritti sociali: preambolo per far scemare anche quelli civili.
MARCO SFERINI
10 dicembre 2019
Foto di Jacek Abramowicz da Pixabay