«Meloni, il patriarcato esiste». 200 mila al corteo femminista

Nella Capitale una marea fucsia contro i femminicidi e il genocidio e per il welfare

Resisteva un sospetto. L’enorme successo della manifestazione contro la violenza sulle donne dello scorso anno era forse dovuto esclusivamente all’ondata di emozione per il femminicidio di Giulia Cecchettin? Era un sospetto sbagliato. Un anno dopo il corteo transfemminista convocato a Roma da Non una di meno ha visto sfilare almeno 200 mila persone con una piattaforma politica ed economica che prescinde, travalica e restituisce senso ai fatti di cronaca. «La violenza è politica e questo è un governo patriarcale, non basta una premier donna», spiegano le attiviste Nudm alla partenza, davanti la Piramide Cestia.

Alla spicciolata arrivano donne e uomini di tutte le età, bambini e bambine: la piazza che all’inizio sembra troppo vasta, si riempie. Di certo un assist fortissimo per la partecipazione lo hanno dato, loro malgrado, il ministro all’Istruzione (e merito) Valditara e la presidente del Consiglio Meloni che ne ha rivendicato le frasi inopportune, xenofobe e negazioniste pronunciate alla presentazione della Fondazione Cecchettin solo lunedì scorso.

Naturale quindi che la gran parte dei cartelli, ironici e irriverenti, fosse dedicata a loro. «Il patriarcato esiste, il razzismo istituzionale non è la risposta» è il coro di risposta unanime a Valditara. Ma c’è anche altro: «manifestiamo contro l’orbanizzazione della società, contro il Ddl sicurezza che si realizza nella criminalizzazione delle scelte di vita e del dissenso e nella militarizzazione del territorio mentre la crisi economica morde, contro il lavoro povero e il part time obbligatorio femminile che è un record di Meloni – spiegano dalla piazza – contro il governo che taglia welfare, sanità e scuola per finanziare il riarmo».

«104 morti di Stato. Non è l’immigrazione ma la vostra educazione», recita lo striscione dei collettivi degli studenti medi che arrivano in massa dopo aver fatto un flash mob davanti al ministero dell’Istruzione di Viale Trastevere. Lì hanno anche bruciato una foto del ministro leghista: gesto preso subito a pretesto dalla maggioranza per tentare di descrivere anche questo corteo come violento e per chiedere ai partiti di centrosinistra di prenderne le distanze. Altro segnale che al governo sfugge il senso di una mobilitazione femminista che non è convocata da nessun partito ma da una rete composita di associazioni, centri anti violenza, collettivi, centri di aggregazione giovanile.

Ci sono gli striscioni di Be Free, Differenza Donna, Lucha y Siesta, Giuridicamente Libera. Quelli della Casa Internazionale delle Donne, di Scosse della Rete degli studenti medi, di Aracne. C’è la Cgil e Nonna Roma. Ci sono anche diversi esponenti del centro sinistra ma senza alcun simbolo di partito. «È una manifestazione di tutti», spiega la senatrice dem Cecilia d’Elia.

Il corteo comincia a muoversi dietro il primo camion avvolto in un gigantesco striscione che recita una frase di Gisèle Pélicot, il cui marito è sotto processo in Francia per averla violentata e fatta violentare da decine di altri uomini: «La vergogna deve cambiare lato». Mara, insegnante in pensione, si nasconde dietro un albero per sbirciare la nipote, al corteo con le compagne di classe, «se mi vede si potrebbe imbarazzare – dice – ma io sono tanto orgogliosa e vorrei farle una foto».

Un gruppo di uomini si affaccia da un palazzo in piazzale Ostiense sventolando cartelli femministi tra gli applausi delle persone in strada. Arrivano anche le attrici della fondazione Una Nessuna e Centomila: Paola Cortellesi, Vittoria Puccini, Maria Chiara Giannetta, tra le altre.

Avanza un gruppo di scout portando bandiere della Palestina. Vengono da una parrocchia capitolina, dicono, per manifestare anche contro il genocidio. Il tema, come lo scorso anno, è fra i punti centrali della piattaforma di convocazione della giornata di lotta. Per tutto il serpentone che si snoda lungo il centro di Roma, i colori della bandiera della Palestina si mischiano con il fucsia e il viola delle femministe.

Arrivati davanti alla sede della Fao sale il rumore dei mazzi di chiavi, usati non solo come segno del fatto che l’assassino ha spesso le chiavi di casa ma anche contro il «silenzio complice dei governi occidentali sul massacro della popolazione palestinese. Le donne sono un bersaglio privilegiato».

Fiamma e le amiche sono dipendenti statali, ognuna indossa una kefiah, «ma la mia è originale- sottolinea lei – la portavo già negli anni ‘70». Commenta che queste ragazze hanno ragione perché «la guerra è frutto del patriarcato». La seconda tappa è al Colosseo dove viene srotolato un enorme elenco con i nomi delle 106 vittime di femminicidio, lesbicidio e transicidio dell’ultimo anno.

«L’informazione è parziale perché derubrica i casi quando le vittime sono donne anziane, trans o migranti – dice un attivista al megafono – chiediamo di smetterla con questa selezione feroce». Valentina si è portata il figlio di 5 anni, si accosta per cercare le amiche che arrivano da Pisa, con le bambine. Rimangono anche quando sembra ci sia un momento di tensione con le forze dell’ordine, all’altezza della sede dei Pro Vita. «Non siamo preoccupate, è una bella festa», dicono avviandosi verso Piazza Vittorio, dove il corteo, dopo ore, finalmente riesce ad arrivare.

LUCIANA CIMINO

da il manifesto.it

foto: screenshot tv

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Cronache

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