Da una interessante osservazione di Ernst Mach si può argomentare sulle tendenze moderne del filone meccanicistico giunto, dopo lo stesso Leibniz, ad una resa dei conti dell’epocale, e per certi versi epico, scontro con il suo avversario per l’appunto storico: il finalismo. Mach sostiene che le fonti dei meccanicisti sono sempre state frutto dell’osservazione, anche inconsapevole, dei fenomeni naturali, di tutto ciò che noi siamo e di tutto ciò in cui noi siamo. Se questo metodo può essere visto attraverso una lente gnoseologica, è abbastanza spontaneo chiedersi, per l’appunto come fa Mach, se si possa pretendere una imperturbabilità delle nozioni acquisite empiricamente.
Siccome ogni cosa è soggetta ad un mutamento continuo, le prime fonti del meccanicismo sono, non fosse altro che per definizione, soggette a questi cambiamenti naturali; pertanto la loro validità può mutare nel tempo e non risultare sempre uguale a sé stessa e, quindi, non essere così certo il fondamento scientifico che gli si può e gli si vuole giustamente attribuire. Ne consegue che l’esperienza si innova e ri rinnova attraverso nuovissime acquisizioni conoscitive che subiscono esse stesse aggiornamenti senza soluzione di continuità.
Si potrebbe persino affermare che il meccanicismo, visto che è parte del mutamento complessivo dell’essere, dell’esistente, è esso stesso prigioniero di sé medesimo o, magari più banalmente, costretto nella apparente contraddizione di un auto-condizionamento. Riprendendo Galileo e gli sviluppi newtoniani, Mach legge le evoluzioni scientifiche nelle analisi compiute dei fenomeni naturali e, quindi, individua una nuova critica del meccanicismo a partire dagli elementi materiali propriamente tali. Si parte, dunque dalla materia per cercare di eviscerare qualcosa di più della semplice – eppure fondamentale – consequenzialità tra causa ed effetto.
Galileo non separa scienza e fede per dare adito a una verità duale: la comprensione cosmologica dell’universo è affidata tanto all’una quanto all’altra. La prima si muove sul terreno squisitamente oggettivo, concreto, tangibile e pratico; la seconda non può che affidarsi alla metafisica in cui prendono vivacità le dinamiche tutte dialettiche tra etica e morale, tra comportamento umano e predestinazione divina, tra libero arbitrio e ispirazione ultraterrena che esige la trascendenza del pensiero dall’evidente al presupponente.
Così Cartesio: il metodo matematico, con cui si può studiare il mondo che ci circonda, non confligge con un finalismo che però è incluso nel raziocinante e che, quindi, non è completamente tale. L’esistenza è, senza essere risolvibile, appena comprensibile se ci si affida all’autocoscienza, alla mente: il “penso, dunque sono” espande l’attività cognitiva da una banalizzazione delle capacità deduttive affidate a quote di misticismo che nulla hanno a che fare con l’osservazione e la straordinaria capacità dell’intelligenza umana di tendere alla comprensione di ciò che c’è o ci sembra vi sia.
Mach, passando per il meccanicismo storico galileiano e cartesiano, per cui è possibile studiare l’esistente dal punto di vista scientifico-matematico senza ostacolare la propensione finalistica al vivere come se Dio esistesse (una specie di “scommessa” pascaliana…), non tenta l’approccio leibniziano tra i due grandi filoni interpretativi dell’universo mondo, ma arriva – come si scriveva poco sopra – a Netwon per provare a fare qualche ulteriore passo in avanti nella critica della meccanica. Se prendiamo l’avviso da un punto di vista epistemologico, il moto dei corpi è dato – e qui sta la novità introdotta da Mach – da un rapporto vicendevole tra gli stessi, visto che la loro massa è determinata non solo dal prodotto del volume per la densità.
Il fisico e matematico moderno, quindi, accetta il meccanicismo nel rapporto oggettivo tra causa ed effetto (una palla da biliardo che ne colpisce un’altra provoca una azione che dà seguito ad una reazione), ma osserva nel complesso le conseguenze duplici che ne derivano. Non fissa quindi soltanto il suo sguardo sulla palla spinta in avanti da un’altra che l’ha colpita in precedenza. Nel mentre fa ciò, osserva anche come si comporta il moto della prima palla. La sua velocità si è ridotta ed è stata assorbita dal corpo in cui è subentrata la spinta propulsiva: lo scambio di questa forza è dato da una energia che non passa materialmente da corpo a corpo, ma che viene trasmessa attraverso la “collisione elastica“.
L’energia cinetica esiste prima e dopo l’urto che, per definizione fisica, porta alla risultate nulla delle forze. La palla A colpisce la palla B: la A esaurisce la sua energia, trasmettendola meccanicamente alla B che passa dal suo stato di quiete ad uno di moto che può essere frenato da un’altra palla presente sul tappeto del biliardo o dalle sponde dello stesso. In tutti questi casi, il meccanicismo naturale ci spiega come Mach abbia opportunamente specificato quella «particolare caratteristica che determina l’accelerazione» come un qualcosa di esistente nei corpi o, per meglio dire e non essere fraintesi, data dalla consistenza degli stesi.
Geymonat chiosa con acuta precisione: «Ne consegue che il confronto tra le masse di due corpi dovrà venire eseguito confrontando l’accelerazione che il primo comunica al secondo con quella (inversa) che il secondo comunica al primo quando essi agiscono uno sull’altro; e ciò dimostra l’inscindibile legame che connette tale concetto con il principio di azione e reazione, sicché Mach può concludere che i due “dipendono l’uno dall’altro, cioè l’uno presuppone l’altro”». Questo tentativo di spiegare i rapporti meccanici sul piano fisico è indubbiamente illuminante nel progresso della scienza moderna.
Senza assolutizzare nulla, dimostra che ogni fenomeno ha una “dipendenza” da un altro o da altri fenomeni. E che, quindi, l’unicità globale dell’esistente è data da una correlazione continua di fattori che non sono separabili dal contesto e che, di per sé non potrebbero esistere oppure non potrebbero dare adito a ciò per cui esistono. Prendiamo l’osso di una pesca. Se lasciato in un barattolo rimarrà quello che è, forse si trasformerà chimicamente in altro, decomponendosi piano piano. Se, invece, piantato in un terreno, sempre piano piano, ma certamente, darà vita ad una nuova pianta. Di pesche.
Farà, quindi, ciò che è già nel suo essere tale: nell’osso ci sono tutte le informazioni necessarie (o per meglio dire le qualità naturali) affinché, mediante la sua interazione con il resto dell’ambiente, nasca da lui un albero ricco di frutti. Il meccanicismo è dunque protagonista di un naturalismo che da Galileo in avanti sta alla base dell’osservazione completa dell’esistente: tanto della terra quanto del cielo. Mach ci mette in guardia: per quanto possano essere oggettivamente simili sempre nel rapporto di azione e razione, di causa ed effetto, i principi della dinamica non vanno presi come verità assolute. Rendere dogmaticamente delle evidenze scientifiche è fare torto anzitutto alla scienza come metodo di acquisizione progressiva del sapere.
Ed in questo frangente, dunque, del conoscere mediante sperimentazioni che includono non tanto il fallimento, ma l’inatteso a volte: la materia può comportarsi secondo i nostri calcoli, ma può anche riservarci delle sorprese. Ed allora non possiamo prevaricarla e pretendere di avere ragione: se gli effetti non corrispondono a ciò che avevamo previsto, non esiste un metro di valutazione soggettivo che possa farsi largo nella constatazione de visu degli accadimenti. Non è una questione di arrendevolezza all’evidente; più semplicemente si tratta di fuggire dalle tentazioni dogmatiche e prendere atto che la sperimentazione è per l’appunto ciò che ci suggerisce il verbo latino “experior“: tentare, provare.
Qui si può inquadrare “storicamente” il meccanicismo come filone di una conoscenza parziale che, al pari degli altri piani del sapere, ovviamente compresi quelli delle ipotizzazioni metafisiche sull’esistenza, l’essenza delle cose e il senso della vita e dell’universo, consente di acquisire nuove nozioni mediante l’osservazione che è contemporaneissima della sperimentazione ma che, immediatamente dopo, diviene conoscenza. Un sapere che ha la consapevolezza della provvisorietà e che, quindi, non può “finalizzarsi” e farsi irregimentare nelle strettoie della precondizione dettata dal divino.
Non lo esclude, perché non è questo il suo compito primo e il suo fine ultimo. Ma ne può prescindere. Diò, se esiste, non è assimilabile ad una delle cause del moto lineare dei corpi. Il meccanicismo deve poter essere consapevole del fatto – sostiene Mach – che «tutte le cose sono in dipendenza reciproca e che noi stessi, con i nostri pensieri, siamo solo una parte della natura». Per dirla differentemente, relativizzando un po’ tutto e tutti, anche il tempo è una rappresentazione, se vogliamo empirica, di una constatazione oggettiva del rapporto tra noi umani e i cicli stagionali, il moto dei pianeti, le interazioni tra fenomeni naturali che prescindono dalle categorizzazioni che abbiamo attribuito all’infinitamente piccolo come all’infinitamente grande.
Grandiosamente affascinante la convergenza tra scienza e metafisica, tra meccanicismo e finalismo, tra oggettivo e soggettivo, tra concreto e astratto. Nel tentativo necessario di superarsi di continuo, il metodo scientifico offre sempre nuove sfide che non offendono nessuna religione, poiché il limite è quello dell’osservabile, del constatabile una, due, molte, ma non infinite volte. Perché l’infinito appartiene alla categoria del mistero universale e non alla limitatezza dei confini del nostro micromondo terrestre in cui tutto sembra, prescindendo per qualche attimo dallo scuro della volta celeste, mentre è giorno e il cielo ci separa da atmosfere più empiree, avere un qualche significato.
La Provvidenza con la pi mauscola, dirà qualcuno, perdonerà alla scienza tanta presunzione. Ma se i finalisti hanno una qualche ragione da smerciare ancora oggi, possono includere ogni possibilità gnoseologica nell’intento primordiale di un Creatore che rimane in disparte. O che probabilmente non esiste nei termini in cui noi umani lo abbiamo pensato, vissuto e costretto a far vivere da millenni e millenni. La fisica suppone, la metafisica invece presuppone. La differenza può sembrare lessicalmente irrilevante, eppure in un prefisso, apparentemente di pochissimo conto, si cela così tanta storia del pensiero e della pratica umana…
Questo non è un mistero irrisolvibile. Semmai è un pizzico di ulteriore fascino in più che il linguaggio ha come fenomeno interpretativo dell’esistente. Del singolare rapporto tra la specialità del nostro essere senzienti ed autocoscienti e del fatto che la preservazione della specie umana dovrebbe se non altro interessarci per non riportare la materia, almeno in questa parte piccola dell’Universo, ad uno stato antecedente allo sviluppo della meravigliosa, complessa e ancora tanto inesplorata nostra intelligenza. Anche in ciò si celano meccanicismi, cause ed effetti. Basta andarli a cercare…
MARCO SFERINI
29 dicembre 2024
foto: screenshot ed elaborazione propria