Mazzini. Il sogno dell’Italia onesta

Le biografie su Giuseppe Mazzini, contrariamente alla vasta letteratura storiografica che ne ha indagato l’agire politico, non sono numerose. Anzi, si fa proprio fatica a trovarne una che non...

Le biografie su Giuseppe Mazzini, contrariamente alla vasta letteratura storiografica che ne ha indagato l’agire politico, non sono numerose. Anzi, si fa proprio fatica a trovarne una che non sia soltanto una cronistoria della vita o una che tralasci aspetti importanti dell’esistenza mazziniana per ritrovarsi a privilegiare soltanto quelli che possono essere considerati i punti salienti del suo attraversamento del secolo risorgimentale.

Gaetano Salvemini ne ha scritta una molto interessante, edita da Feltrinelli, che è, tra tutte, quella che più fa lo sforzo di mettere insieme privato e pubblico dell’apostolo dell’Unità d’Italia e che lo tratta con un piglio antieroico, mostrandoci le virtù del pensiero democratico e sociale di Mazzini accanto a quelle ombre dogmatiche che lo attraversavano quando si parlava di morale, di fede e di rapporti etici. Altre biografie che si possono suggerire sono quelle di Roland Sarti, per le edizioni Laterza e, infine, quella di Giovanni Belardelli per Il Mulino che riesuma Mazzini dalla fossa degli sconfitti e ne celebra l’attualità come pensatore e come politico attraverso la Costituzione della Repubblica Romana del 1849.

Dopo questa breve carrellata di suggerimenti, a dire il vero qui ci interessa trattare una biografia più recente e anche molto meno impegnativa. Una biografia recente ma nemmeno più tanto: ormai può dirsi parecchio datata, visto come la storia del nostro Paese è cambiata dal 1993 in avanti. Siamo in piena crisi politica destrutturante, nel marasma tangentopolizio, quando il giornalista Romano Bracalini scrive “Mazzini. Il sogno dell’Italia onesta” (Mondadori, collana “Scie“).

Se fosse un titolo uscito qualche anno fa, si sarebbe potuto pensare che l’autore fosse stato influenzato non tanto dal movimento tellurico provocato dal pool di Milano nei confronti dei palazzi del potere, quanto dalla presunta rivoluzione grillino-pentastellata nel nome proprio di quella frontiera dell’onestà divenuta un programma politico a sé stante, teso a fuggire da quelle gabbie ideologiche così temute per chi voleva fondare un trasversalismo populista che raccogliesse voti da destra e da sinistra, eppure così necessarie per alimentare un confronto democratico più dignitoso e di alto profilo.

Invece, Romano Bracalini, cronista e divulgatore storico per la RAI, traccia un ritratto di Mazzini imbevuto di retorica ma, non per questo, da scartare a priori. Ripetiamolo: meglio Salvemini; tuttavia, pur figlia del suo tempo, la biografia del giornalista toscano si sforza di usare un linguaggio a metà tra la cronaca e la storiografia, per essere comprensibile davvero al maggior numero di lettori possibili. Chiunque, anche il più a digiuno delle gesta mazziniane, persino dell’epopea dell’unificazione italiana, può disporsi alla lettura di questo libro con assoluta tranquillità. Ricorda, nella prosa, lo stile montanelliano: la storia al di fuori del rigore cattedratico, del descrittivismo tecnicistico, dell’ampollosità verbosa di un linguaggio comprensibile soltanto per gli addetti ai lavori.

Il Mazzini di Bracalini è davvero quello popolare, quel rappresentante del popolo che lui stesso si era considerato una volta entrato a far parte del Triumvirato romano. Il sogno dell’unificazione repubblicana di un Paese che ancora non c’era è stato volutamente distorto, artefatto, confuso con il terrorismo bombarolo, con estremismi di varia sorta e allontanato da quelle che il mainstream di allora contemplava come le ipotesi legittimamente sostenibili sul superamento degli Stati italiani per arrivare allo Stato italiano, all’Italia propriamente detta.

Bracalini lo ripete, capitolo dopo capitolo: Mazzini è stato molto poco ascoltato, tanto frainteso e altrettanto molto schernito per ridurne l’analisi social-sociologica, culturale e politica ad una utopia tra le tante, confondibile con il nascente socialismo, al pari delle Camicie rosse garibaldine dipinte dalla propaganda monarchica sabauda, austriaca, borbonica e dagli anatemi pontifici come un “nido di repubblicani socialisti”.

Soltanto la scrematura del tempo ha permesso di fare chiarezza tra le posizioni politiche che si sono confrontate riguardo al dramma epico del Risorgimento italiano: dai moti carbonari al nascente repubblicanesimo della Giovine Italia, passando per il neoguelfismo giobertiano e il federalismo di Cattaneo. Grandi idee e progetti per una nazione che era (ed in parte ancora oggi è) tutta da costruire. Per un popolo da inventare, tenuto insieme dai confini geografici che hanno consentito lo sviluppo di un comune idioma linguistico, anche se non proprio uniforme dalle Alpi alla Sicilia.

Mazzini vede le potenzialità che ha l’Italia ottocentesca. Guarda le carte politiche e nota la frammentazione politica e sociale della Penisola, così come gli pare evidente l’anacronismo dello spezzettamento della Germania, a trazione prussiana, in un contesto europeo in cui la Francia fatica a riprendersi dalla sconfitta napoleonica e dalla traversata rivoluzionaria, mentre l’Inghilterra giganteggia e diventa, nella pratica, il primo paese globale, quello dell’impero, quello che ha una base in ogni continente.

Ma l’Italia di Mazzini non è chiamata agli “alti destini“, che pure citerà agli amici tra le sue ultime parole sul letto di morte nel 1872 a Pisa, coloniali e imperialisti che si potrebbe facilmente presupporre. La repubblica che lui vuole è quella egualitaria nei diritti e nei doveri, è un salto di qualità sociale e democratico, è qualcosa che fa davvero fatica a trovare un corrispettivo nell’attualità del momento: le monarchie sono ancora l’espressione di un potere che nella sua unicità e monocrazia garantisce le classi privilegiate e perpetua un ordine, del resto, restaurato proprio a Vienna e concordemente tra le potenze vincitrici su Napoleone e la Francia di Talleyrand, emblematico esempio di neotrasformismo politico-statale moderno.

Il pregio della biografia bracaliniana di Mazzini risiede proprio nella sottolineatura della sottovalutazione della proposta politica democratico-repubblicana (unitaria e non federalista) fatta dal triumviro della Repubblica romana: non si trattava di un avamposto socialisteggiante, ma così era – giustamente – vissuta dalle corti europee e italiane e da quella alta borghesia nascente che avrebbe presto gareggiato con la nobiltà anche nel futuro Parlamento del Regno d’Italia, intollerante al suffragio universale, fortemente classista e discriminatoria sulla base del censo.

Proprio la Costituzione del 1849, di quella res publica durata pochi mesi, schiacciata dall’intervento militare francese, nonostante la grande resistenza popolare opposta ad un atto di vera e propria aggressione e repressione reazionaria, proprio quella carta che Mazzini vorrà venga approvata in punto di morte della Repubblica stessa, sarà il manifesto più concretamente lapalissiano del pensiero e dell’azione di chi si rifarà, nei decenni seguenti, a quell’uomo vestito di nero e un po’ grigio in volto, incapace alle compromissioni, fiducioso nella voglia di riscatto dei popoli, acerrimo avversario del marxismo, a cui, nonostante tutto, Marx ed Engels rivolgeranno elogi proprio per le riforme introdotte nel breve tempo di governo laico dello Stato romano.

La piacevolezza della lettura di questo libro di Bracalini risiede, tra l’altro, nella scoperta di un Mazzini misconosciuto: agli aneddoti scolastici, che sono nel tempo divenuti l’alone mistico che ha dovuto circondare uno dei padri dell’Unità italiana, si accompagnano – e in parte si sostituiscono – descrizioni e narrazioni di una intimità di rapporti familiari che i biografi hanno quasi sempre tenuto separate dall'”ufficialità” del racconto storico-politico, quasi fosse sconveniente parlare degli innamoramenti, delle altre passioni del repubblicano genovese.

Non siamo davanti ad un testo superficiale, ma sicuramente molto leggero e, per questo, catalogabile nello scaffale della “divulgazione” ampia. Una lettura da affrontare con la circospezione delle premesse date: per conoscere davvero Mazzini servono altri approfondimenti, costruiti con vero metodo storico, cui affiancare anche un approccio disincantato verso un’opera che – come precisato all’inizio di queste righe – è e rimane figlia del tempo in cui viene scritta: la ricerca di una politica scevra da intrighi e interessi privati, di un suo ritorno al pubblico per il pubblico, al governo negli interessi del popolo.

Forse è questa la vera utopia. Ma Mazzini fondava proprio sull’incredulità del suo progetto la fiducia nella bontà che ne percepiva: non il sogno per il sogno, ma la visione prospettica, la reiterata critica della monarchia come sistema destinato all’anacronismo nella società moderna delle industrie e del progresso scientifico accompagnato, quindi, ad un progresso anche morale.

Nemmeno un secolo dopo la fine della Repubblica romana, appena ottantacinque anni dopo la Spedizione dei Mille, l’Italia, lacerata da un ventennio fascista che aveva tracciato una cesura netta con l’eredità liberale post-unitaria, diventava quella Repubblica per cui Giuseppe Mazzini aveva lottato per tutta la sua vita. Più volte minacciata proprio per il suo intransigente carattere sociale ed egualitario, per quel patto costituzionale così lessicalmente simile alla Costituzione romana del ’49, la Repubblica italiana è sopravvissuta fino ad oggi e, se sapremo riconoscere i pericoli che la possono minare principalmente dal suo interno, vivrà ancora a lungo.

ROMANO BRACALINI
MAZZINI. IL SOGNO DELL’ITALIA ONESTA
MONDADORI
QUI LE VARIE EDIZIONI IN VENDITA

MARCO SFERINI

6 aprile 2022

foto: particolare della copertina del libro

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