Dopo l’accenno di sovranismo? Il diluvio. Non pare proprio. Ma nemmeno sembra affacciarsi sulla scena politica e sociale italiana quella alternativa degna di un tale nome, quell’insieme di proposte che si possano mutare in pragmatiche riforme di sistema, quindi in ossequi italici ai voleri del grande capitale internazionale e continentale.
Il governo Conte II è un Giano Bifronte cui è venuta meno una sola parte del viso, quella che ha tradito, come (si perdoni la citazione da cartoni animati degli anni ’70 e ’80) Lady Gandal e il marito, separati dalla fedeltà a Re Vega. Uno dei due dovette soccombere nello stesso corpo; anzi, nello stesso viso: toccò a Gandal spuntarla… Il solito maschilismo, si dirà. Ma almeno guardando la televisione ci si divertiva.
Oggi non si passa se non sotto le forche caudine di discorsi di fine anno che fanno concorrenza a quello ufficiale per eccellenza, quello del Quirinale.
Il Presidente Mattarella ha usato parole equilibrate: ha ridisegnato l’Italia secondo gli schemi costituzionali, lo ha fatto provando meramente ad illustrare un Paese che può avere la fisionomia concreta dell’unità nella diversità, in molteplici campi e settori. Ha ribaltato la storia che i sovranisti raccontano per far emergere le pulsioni di fobie e ansie emotive quotidiane di larga parte della popolazione e che sono il miglior humus su cui far crescere insoddisfazione, rabbia, pregiudizi e ostilità (che sfocia in tanti episodi di odio manifesto e, quindi, di conseguente violenza).
Paure immotivate e ansie giustificate: una differenza va operata. Anche in psicoanalisi, l’ansia è un disturbo che può assumere le più diverse forme. Si va dall’ossessione alla compulsione, dall’inquietudine semplice alla fobia più complicata e radicata.
Mentre il Capo dello Stato pronunciava il suo discorso, a Venezia, inneggiando a Mussolini e inveendo contro Anna Frank (“L’abbiamo messa nel forno“), un gruppo di giovani ha malmenato il deputato Scotto di Liberi e Uguali. Una aggressione ripetuta con calci e pugni, di cui ha fatto le spese anche un passante accorso per cercare di fermare il tutto. Segno che questi sono proprio neofascisti non è solo l’atteggiamento squadristico che hanno avuto, ma la mancanza di una cultura storica in quanto tale.
Anna Frank e la famiglia sono stati catturati dalla polizia verde al soldo dei tedeschi in Amsterdam e deportati in diversi campi di concentramento e sterminio: la madre Edith, gravemente ammalata e depressa, morì ad Auschwitz, mentre Anna e sua sorella maggiore Margot dopo alcuni mesi passati nello stesso campo nazista tedesco nella Polonia occupata dalla Germania, vennero trasferite a Bergen-Belsen e lì morirono di tifo esantematico poche settimane prima dell’arrivo delle truppe alleate.
Ad Anna è stato risparmiato il passaggio per il camino, ma non per questo la sua tragedia è meno cruenta, atroce e bestiale. In tutto degna del Terzo Reich. Così come l’ignoranza della storia è sempre degna dei fascisti di nuovo modello. Confermiamolo: gli aggressori di Scotto, non c’è dubbio, erano tali: ragazzi che per sentito dire sanno che gli ebrei finivano nelle camere a gas e nei forni crematori. Hanno fatto un semplice (seppur inconsapevole) sillogismo e hanno collocato la povera Anna laddove non è mai stata messa.
Serve una ironia tiepida, leggera per schernire questi delinquenti, questi assassini della storia e malmenatori di chi la rivendica come memoria per l’oggi e per il futuro. Ma è una ironia necessaria per arginare la bruttura di una Italia che nel discorso di Mattarella per fortuna sembra poter uscire dal Lato Oscuro del sovranismo e tornare al Lato Chiaro della democrazia repubblicana.
Un passaggio non formale, nemmeno di poco conto, ma certamente insufficiente se preso come unica frontiera di cambiamento sociale, come unica forma mentis di una politica di sinistra che continua a limitarsi alla ricerca di un posto al sole in qualunque governo pallidamente riformista o che, invece, è relegata all’inconsistenza e alla prova di una riorganizzazione per estrinsecare ancora una volta la sua natura di classe passando attraverso un recupero non solo valoriale di sé medesima ma tramite una dismissione di qualunque legame con ciò che ancora troppo spesso viene definito “di sinistra” e continua invece ad essere uno dei peggiori nemici proprio della sinistra stessa. Sicuramente di quella comunista e anticapitalista, libertaria ed ecologista, femminista e rivoluzionaria.
Non stupisce che il Presidente non abbia fatto alcun cenno, in questa Italia ricostruita nei suoi tratti artistici, storici, morali e civili come il vero Bel Paese, nell’immaginario collettivo degli oltre dieci milioni di telespettatori (con un punte di ascolto del 60% rispetto a tutti gli altri programmi in onda in quel momento), alla vicenda di Nicoletta Dosio.
C’è troppa distanza tra il comunismo libertario di Nicoletta e il formalismo quirinalizio: non si tratta di un italiano all’estero torturato e ucciso barbaramente di cui ci si dovrebbe occupare ancora (e non solo a Capodanno); non si tratta di una ragazza sparita nelle lande kenyote e di cui si sa solo che forse sta bene ma che è in mano a persone che le potrebbero fare del male in ogni momento…
Si tratta di un’altra lotta di e per la libertà: come quelle di Giulio Regeni e di Silvia Romano. Come quelle di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. Come quelle di centinaia di altri italiani che hanno intrapreso quelle che sembrano avventure alla Corto Maltese, ma che finiscono non nell’iperuranico sogno da cui il marinaio si sveglia nell’umidità del mattino di un inverno inglese: finiscono il più delle volte male. Spesso si tratta di storie ai più veramente “incomprensibili“, nel più stretto senso del termine. Non le capiscono. Non si capacitano come Lorenzo Orsetti, anarchico ed antifascista, sia potuto andare spontaneamente a combattere a fianco delle brigate curde contro il Daesh in Siria.
Così la lotta dei No Tav viene ideologizzata, resa schiava di contrapposizioni di campo necessarie ad una politica che deve esemplificare per arrivare a schematizzazioni prive di senso, ma che fanno il gioco di una propaganda in cui da una parte stanno i buoni che portano belle ferrovie veloci, progresso e modernità; dall’altra stanno i cattivi che tagliano le reti, che occupano i cantieri, che si incatenano ai piloni di cemento, che marciano per la Val di Susa con le bandiere bianche, rosse, rosse e nere. Comunisti, anarchici, disobbedienti. In una parola i tanto disprezzati “antagonisti“.
Così televisioni e giornali li devono classificare per mostrare la bontà di chi li contrasta, cercando di mantenere quell’ordine antisociale che viene invece fatto passare per normalità: tanto istituzionale quanto civile.
Nicoletta, come altri No Tav, ha passato il il Capodanno in una prigione dello Stato italiano, alle Vallette di Torino. Spero non si arrabbierà se qui, di seguito, cito interamente la sua prima lettera dal carcere. E’ una lettera che avrebbe potuto tranquillamente scrivere un’altra donna, un’altra rivoluzionaria: Rosa Luxemburg. Conoscendo un poco Nicoletta, so che non aspira al paragone impegnativo, ma le farà piacere perché chi ha letto, studiato gli scritti e la politica della grande comunista polacco-tedesca, riconosce nella lotta tutta l’essenza del senso della vita dato all’umanità stessa: singola e non solo.
“Sto bene, sono contenta della scelta che ho fatto perché è il risultato di una causa giusta e bella, la lotta NoTav che è anche la lotta per un modello di società diverso e nasce dalla consapevolezza che quello presente non è l’unico dei mondi possibili.
Sento la solidarietà collettiva e provo di persona cosa sia una famiglia di lotta. L’appoggio e l’affetto che mi avete dimostrato quando sono stata arrestata, e le manifestazioni la cui eco mi è arrivata da lontano, confermano che la scelta è giusta e che potrò portarla fino in fondo con gioia.
Parlo di voi alle altre detenute e ripeto che la solidarietà data a me è per tutte le donne e gli uomini che queste mura insensate rinchiudono.”. (dal sito www.nicolettadosio.it).
Ecco, l’anno inizia così: con ignoranza del passato, antisemitismo, violenza, repressione di Stato e un governo diviso internamente, che tra poco ballerà sul vulcano delle elezioni regionali. Ma non vi preoccupate, il Presidente del Consiglio ha ribadito il suo ottimismo.
Lo fece anche nel 2018. Abbiamo visto poi quanto è accaduto nell’orribile 2019. Buon anno a tutte e tutte voi…
MARCO SFERINI
2 gennaio 2020
foto: screenshot