Laura Schettini, docente di Storia delle donne e di genere all’università di Padova, ha visto il match tra Imane Khelif e Angela Carini?

Se non è stata una scena preparata è stata quanto meno una rinuncia alla competizione molto opportuna.

Cosa glielo fa pensare?

La mancanza del minimo fair play: Carini ha dato le spalle all’avversaria per confermare il clima che si era creato intorno alla vicenda.

Per giorni è stata diffusa la notizia che la pugile algerina fosse una persona trans. Lo ha fatto anche, tra i primi, il presidente del Senato La Russa.

C’è stata una campagna che ha confuso persone transgender e intersessuali per stigmatizzare entrambe e presentarle come pericolose per le donne. Se vogliamo credere alla buona fede, possiamo parlare di ignoranza. Anche se le istituzioni avrebbero il dovere di documentarsi prima di comunicare.

Se fossero in malafede?

C’è stato un uso strumentale delle Olimpiadi per dare una ulteriore bordata alle donne trans e alla variabilità sessuale. Da qualche tempo la campagna chiamata antigender dalla destra radicale e familista, non solo italiana, è costruita soprattutto contro le persone trans.
Da oggi vengono messe nell’obiettivo pure le persone intersessuali. È stata usata una retorica basata sulla pericolosità e la violenza delle donne trans o delle persone intersex. È paradossale perché l’Italia, con la Turchia, è in vetta alle classifiche europee sui crimini d’odio transfobico. È un dispositivo classico della destra questa narrazione tossica, però l’unica violenza che abbiamo visto è quella contro Imane Khelif, che è stata «massacrata».

Meloni ha diffuso una foto con l’atleta italiana insistendo sulla «gara non equa».

Era una posa particolare, protettiva e, come spesso accade quando si parla di protezione top-down, infantilizzante. Il messaggio che è passato tramite quella immagine e i discorsi di questi giorni è pericoloso soprattutto in termini di rappresentazione delle donne.
Da un lato l’intersessuale potente o meglio con un po’ di testosterone in più che basta a creare l’invincibilità, dall’altro una donna che non può vincere. Tutta questa narrazione di cui Meloni è interprete è ancora più forte perché avviene intorno a donne che combattono per mestiere e che praticano discipline che hanno un contenuto, anche storico, di autodifesa.
Poi ci sarebbe da aprire il discorso su come Khelif è stata «mostrificata»: esposta per giorni e, con lei, l’esistenza delle persone intersessuali. Non so come si definisca ma so che questa vicenda ci mette ancora di fronte alla questione di cosa decide il vero sesso di una persona, laddove esistono persone che nascono con caratteri misti e non sono poche. È un nodo intorno a cui la medicina, ossessionata dall’idea di riportare tutti al maschile o femminile, gira da almeno un secolo e mezzo.
Piuttosto che accettare l’esistenza degli intersex stabiliamo soglie e parametri che ci dicono se sono uomini e donne. Ma questi parametri sono cambiati nel corso del tempo: a fine Ottocento erano gli organi genitali esterni a definire le persone. Ora ci sono altri indici come la quantità di ormoni e di testosterone. Ma chi decide questi standard?

Che conclusione ne ha tratto?

Che le nostre società sono inadeguate a fare i conti con la varietà sessuale.

È stata la stessa Meloni a riferirsi alla sua carica al maschile con effetti che ora sembrano quasi comici.

Il punto è sempre l’autodeterminazione. Ha voluto farsi chiamare il presidente, la Lega presenta mozioni per punire l’uso di sindaca o assessora. La loro idea di governo dei corpi e delle vite delle persone è che dobbiamo usare solo il maschile. Ma guai se un ragazzo o una ragazza manifestano l’intenzione di cambiare genere. È un manifesto di puro opportunismo politico.

Nel suo libro L’ideologia gender è pericolosa (Laterza) ricostruisce la storia dell’ossessione politica per gli orientamenti sessuali. C’è differenza tra le prime campagne della destra e quelle di oggi?

Quest’ultima ondata antigender è anche anti femminista in prima istanza. Mette al centro la categoria dell’ordine naturale della famiglia, richiama una società con divisioni dei compiti tra maschi e femmine che sembrava superata, auspicando un ritorno a casa delle donne, o meglio a fare figli, con tanta più violenza quanto più cala il tasso di natalità. Rimuovendo le ragioni che riguardano la mancanza del lavoro e la fatica del vivere, della cura.
I nuovi padri intervengono sulla sfera emotiva e sentimentale dei figli ma la gestione del quotidiano rimane sempre alle donne, come ci dicono anche i dati Istat.

LUCIANA CIMINO

da il manifesto.it

foto: screenshot ed elaborazione propria