Riscopre l’acqua calda il compagno Massimo D’Alema che, a mia memoria per la prima volta in tanti anni, fa pubblicare un suo editoriale dal “Manifesto” e scrive, tra le tante altre cose: “Certo all’origine della crisi della sinistra ci sono scelte che vengono da lontano e che hanno profondamente segnato la subalternità del socialismo europeo al neoliberismo…” e poco più avanti:
“la sinistra è rimasta schiacciata dal peso del dominio dell’economia sulla politica, nella morsa di quella contraddizione – annotata già da Gramsci nei Quaderni – tra il carattere cosmopolitico dell’economia il carattere ristrettamente nazionale di una politica messa sulla difensiva dall’influenza pervasiva della finanza globale”.
Vale poco replicare che in parti rimaste oscurate della sinistra italiana queste analisi correvano da subito, dal momento in cui si decise di sciogliere il PCI e di addentrarsi nelle spire del governativismo costi quel che costi: teoria della quale D’Alema è stato sicuramente il “Principe” negli anni ’90 fino a perseguire l’idea del taglio dell’eccesso di domanda in una società complessa attraverso riforme istituzionali di stampo presidenzialista, come si verificò nelle tesi sostenute nei lavori della Bicamerale da lui presieduta e mutuate, in buona parte e sostanza, dalla “Grande Riforma” craxiana.
Vale poco ripeto, adesso come adesso, ritornare su quei passi e rivendicare – da parte di chi seppe sostenerla – l’opposizione a quei disegni (ci sarebbe da ritornare ancora una volta alle posizioni – non tutte – presenti nell’area del “NO” alla svolta occhettiana).
Il punto, invece, da affrontare rimane quello che D’Alema ripropone con ostinazione degna di miglior causa: la ricostituzione del centro – sinistra come antidoto alla deriva in atto.
Verrebbe voglia di ripetere l’antico modo “errare humanum est, sed perseverare diabolicum”, ma forse non è proprio il caso.
Lo stesso ex-segretario della FGCI scrive “ la democrazia comporta una dialettica e un conflitto regolato tra forze portatrici di idee, valori e interessi diversi tra di loro”.
Ecco questo è il nodo: portare avanti l’idea di fondo di una soggettività politica che rappresenti forze portatrici di idee, valori interessi contrastanti con quelli che si sono espressi in questa fase di gestione del ciclo capitalistico rappresentati dall’Unione Europea e dalla ricerca della governabilità anche da parte del centrosinistra, addirittura con il governo presieduto dallo stesso D’Alema.
Una soggettività politica che non ricerchi formule ma prenda atto e tenga conto come sua base costitutiva del fatto che questa fase del ciclo capitalistico è stata gestita proprio in funzione dell’allargamento dei margini di sfruttamento, di coercizione dei diritti sociali, di vero e proprio “arretramento storico” in una società sempre più “sfrangiata” piuttosto che “complessa”, dominata dall’individualismo consumistico verso i cui meccanismi la sinistra ha compiuto una vera e propria operazione di “dismissione culturale”, alimentando la grande operazione della destra di “dismissione della memoria” e di introduzione di miti negativi di cui il PD nell’ultima fase è stato sicuramente portatore.
E’ questo il dato di analisi di cui farsi carico per ripartire non tanto per non“commettere gli errori del passato” (ancora D’Alema: ma deve rimanere una distinzione tra chi li ha commessi e chi si è opposto) ma per riaffermare, ancora una volta e con forza, la necessità di organizzare una politica che sia di opposizione al sistema e insieme proponga un’alternativa d’orizzonte.
FRANCO ASTENGO
10 aprile 2018
foto tratta da Pixabay