Grundrisse. Un viaggio negli appunti di Karl Marx (Alegre, pp. 526, euro 28) è un capitolo del «Progetto Marx» al quale David Harvey lavora da almeno un quarto di secolo. È il seguito, o la premessa, per un altro «accompagnamento» – companion, è l’originale titolo inglese – a un altro libro importante del filosofo e geografo britannico: l’Introduzione al capitale tradotta da La Casa Usher nel 2014.

I Lineamenti della critica dell’economia politica (Grundrisse) sono stati scritti da Marx tra il 1857 e il 1858. Questi formidabili inediti iniziarono ad essere letti davvero dal 1953. In Italia furono tradotti tra il 1968 e il 1970 da Enzo Grillo e divennero un altro strumento per rovesciare lo stalinismo. Oggi sono in libreria con l’editore PGreco.

Il «viaggio» di Harvey non è un saggio filosofico sulla genesi dei testi e sul rapporto critico con la filosofia di Hegel sul modello di Roman Rosdolsky (Genesi e struttura del Capitale di Marx). Sembra più vicino all’introduzione di Vitalij Vygodskij attento al processo unitario della teoria economica di Marx. Le parti più felici del libro sono quelle dove l’autore ha realizzato più un’analisi contestuale, o una genealogia del presente storico, che usa il «metodo» marxiano per comprendere cos’è oggi il capitalismo finanziario e lo stato delle lotte dall’America Latina agli Stati Uniti fino all’Europa.

Harvey conferma che i Grundrisse non sono una «specie di stenografia intellettuale privata che è a volte impenetrabile» (Eric Hobsbawn). Invece sono una moderna «opera aperta», un flusso di coscienza organizzato in un laboratorio dove Marx ha analizzato i principali concetti esposti del Capitale (denaro, capitale, merce, alienazione, forza lavoro, produzione e circolazione, scienza e tecnologia, il conflitto tra capitale e forza lavoro). Se nel Capitale la critica dell’economia politica parte dalla merce, nei Grundrisse parte dal denaro. La prima parte dal valore d’uso e dall’alienazione del «lavoro vivo», gli altri dall’equivalente generale degli scambi.

Produzione, circolazione e valorizzazione finanziaria sono processi diversi che insieme formano una «spirale» o una «curva che si ampia». Così inteso il capitale non si chiude su se stesso come il circolo hegeliano della dialettica dello Spirito Assoluto. Né può essere inteso come un Leviatano che chiude il mondo in un ergastolo. Il capitale è un rapporto: quanto più il mondo è aspirato nel «mercato mondiale» tanto più si allargano i bisogni e crescono le crisi; tanto più il capitale si autonomizza dal lavoro, tanto più dipende da una forza lavoro più sfruttata; tanto più aumenta l’accumulazione del valore e la concentrazione dei capitali, tanto più diminuisce il saggio del profitto.

Harvey sostiene che il concetto più importante dei Grundrisse è la «totalità». Lamenta il fatto che sarebbe stata «snobbata dai vari commentatori» che però non cita. È un’osservazione imprecisa perché sia l’operaismo con Antonio Negri in Marx oltre Marx (manifestolibri) che i marxisti attenti al rapporto tra Marx e Hegel hanno dato diverse interpretazioni di questo concetto.

Si direbbe piuttosto che Harvey, pur avendo riconosciuto il divenire della totalità, fatichi a concepirla nei termini di una tendenza antagonista. Così facendo sottovaluta un elemento della dialettica marxiana che permette di comprendere il capitale come un rapporto politico tra elementi confliggenti, a cominciare dalla forza lavoro che lotta contro l’espropriazione del plusvalore e la sua riduzione a «lavoro morto».

Non è solo una questione filologica. Da ciò dipende la possibilità di creare quella che Harvey chiama «soggettività anti-capitalista». Questa soggettività potrebbe essere creata a partire dalla conoscenza della «duplicità» del capitale. Harvey la descrive in pagine molto belle. Duplice è il capitale: da un lato, il suo sviluppo è «civilizzazione»; dall’altro lato, la sua crescita sfrutta e distrugge. Duplici sono molti concetti marxiani: forza lavoro, classe, ideologia. Lo sono perché Marx individua in ciascuno di essi il movimento che li porta fuori di sé, trasforma la differenza in costituzione e trae il nuovo a partire dal rovesciamento dialettico.

I Grundrisse si muovono nell’ambivalenza: da un lato, il capitale nega una «linea di fuga» oltre se stesso; dall’altro lato, la pratica. Essendo popolata da forze divergenti la sua «totalità» produce una soggettività che la contrasta e l’amplifica. Quella indicata da Marx non è un’ipotesi idealistica, ma una possibilità reale basata sul concreto funzionamento della macchina-capitale.

Negli stessi termini potrebbe essere inteso un altro concetto che appare nel famoso «frammento delle macchine» contenuto nei Grundrisse: l’individuo sociale. Questo «individuo» è il rovescio di quello liberale: isolato, proprietario, calcolatore. È una collettività in movimento, un’unità delle differenze, una molteplicità sociale intelligente. È una forma della vita dove «il lavoro non si presenta più come lavoro, ma come pieno dispiegarsi dell’attività stessa». In pratica, il comunismo.

Harvey si sofferma invece sul «lavoratore emancipato». Questa figura coincide con l’artigiano indipendente, l’operaio professionale e gli «autodidatti». Pensa ai lavoratori dei servizi pubblici, quelli della cultura e agli insegnanti e allude allo sviluppo di un lavoro «indipendente, duttile e flessibile». In realtà, l’emancipazione in questione consisterebbe nel farsi sfruttare il meno possibile in una società che resta basata sul lavoro salariato. Sembrerebbe un passo indietro rispetto alla liberazione comunista che in Marx è l’abolizione del lavoro mercificato.

L’indecisione di Harvey può essere spiegata con una diversa declinazione del comunismo nei Grundrisse e nel secondo e nel terzo libro del Capitale. Nel primo testo Marx prefigura la fine dello sfruttamento e la liberazione dei bisogni; nell’altra opera il lavoratore è emancipato dall’organizzazione non più capitalistica della produzione. Le due prospettive non si escludono: il comunismo è una dialettica tra la liberazione della forza lavoro e la sua libertà nel lavoro.

Ciò che però conta in questo libro è la consapevolezza del suo autore nel considerare il marxismo come una prassi che va organizzata ed estesa al fine di sollevare un «gigante dormiente» – splendida la definizione di Harvey – in un movimento che «costruisce un’alternativa». Il problema è come si costruisce un simile movimento. L’autore affronta il problema quando usa la sua lettura dei Grundrisse per individuare un rapporto tra la critica del capitalismo e quella contro gli altri poteri che dominano la vita: il razzismo, il sessismo, il colonialismo, il capitalismo fossile e così via.

Di solito, tale rapporto è considerato a partire dalla condizione individuale. Così si finisce per creare una categoria essenziale a partire dalla quale si forma una gerarchia tra le identità. Tale impostazione divide e impedisce l’azione laddove sarebbe necessaria un’unità capace di trasformarsi.

Harvey invita invece i lavoratori e i movimenti a maturare una «coscienza della totalità» in cui si trovano implicati. La «totalità» è quella del capitale, ma ciò non significa dire che l’anticapitalismo sia la lotta più importante delle altre. Pensarlo significa ridurre la critica dell’economia politica a un’analisi delle forze produttive, mentre Marx è interessato alla trasformazione di queste ultime in soggetti sociali.

È più utile invece pensare che il potere del capitale è in relazione con gli altri sia nella riproduzione sociale che nella produzione industriale. La critica del capitalismo implica un’alleanza con lotta contro il patriarcato e la violenza sessuale, contro il razzismo e il colonialismo, per la giustizia climatica. E viceversa.

Questa operazione si realizza connettendo la critica dell’economia politica alla creazione di una soggettività politica. E ciò che permette di fare il metodo marxiano. La sua utilità è notevole quando si tratta di creare una nuova sintesi politica in un momento in cui invece si contrappongono i diritti sociali a quelli civili. L’obiettivo non è fare la somma di soggetti diversi, ma creare il «divenire co-rivoluzionario» descritto altrove da Harvey.

Ciò imporrebbe al marxismo e agli altri pensieri critici di non separare più la struttura dalla sovrastruttura, l’economico dal politico, i diritti dai bisogni, la soggettività dalla produzione. In fondo, è ciò che ci si propone di fare da mezzo secolo, con esiti alterni. L’obiettivo di Harvey è «fare ritirare il capitale» per «fare posto» a un «mondo civilizzato, egualitario e accettabile in senso ambientale». La prospettiva è minima, ma sarebbe già molto oggi.

ROBERTO CICCARELLI

da il manifesto.it

foto: screenshot ed elaborazione propria