Pomigliano d’Arco, una delle Stalingrado del voto al vecchio Pci, alle ultime politiche ha voltato le spalle al centrosinistra per votare in massa i 5Stelle. Eppure lo stabilimento Fca è stato uno dei simboli del nuovo corso renziano, totalmente schierato con i manager alla Sergio Marchionne, impegnato a picconare i corpi intermedi a cominciare dal sindacato. Nessuno tra i dem si è chiesto quali effetti producesse la cura imposta dall’ad del Lingotto a Pomigliano, una cura praticata attraverso il ricatto della perdita del posto di lavoro nel mezzo di una durissima crisi economica. Andrea Amendola, membro della segreteria regionale della Cgil Campania, è stato segretario della Fiom e lo sviluppo della parabola Marchionne l’ha seguito dalla trincea del sito Fca partenopeo Giambattista Vico.
Amendola, com’è cominciata l’alba del nuovo corso?
Nel 2009 Marchionne annuncia che lo stabilimento, dove si producevano le Alfa più volte scelte come auto dell’anno, non era efficiente a causa degli operai, accusati di essere degli scansafatiche. Chiude il sito per tre mesi per fare formazione, in realtà una sorta di rieducazione dei lavoratori. Apre il sito di Nola: doveva essere il polo della logistica ma nei fatti un sito confino dove smistare 316 operai scomodi. Nel 2010 impone un referendum ai dipendenti per fare accettare il nuovo piano, il 60% dice Sì sentendosi sotto ricatto. Crea una new co con regole differenti: pause ridotte; sosta pranzo a fine turno; via le Rsu, l’organizzazione dei reparti ruota intorno al team leader scelto dall’azienda. E poi niente scioperi: se c’è un problema in produzione non si possono fermare le macchine ma si deve chiedere all’azienda un incontro, attendere 15 giorni, sedersi intorno a un tavolo e poi alla fine niente sciopero lo stesso.
Cosa è successo agli operai?
La Fiom non firmò l’accordo. L’azienda allora tenne a casa tutti gli iscritti, per rientrare a lavoro abbiamo dovuto fare una causa civile e una penale. Gli operai erano abituati a venire da noi quando c’era da protestare, andare dagli altri sindacati quando c’era da ottenere qualcosa. Marchionne ha spazzato via tutto, lasciando l’operaio da solo su una linea di montaggio che viaggia a ritmi folli e nessuno che si frapponga tra lui e il padrone. La crisi della rappresentanza politica del centrosinistra è speculare a quella del sindacato. I lavoratori sono arrabbiati e disperati e hanno votato contro la sinistra, anche i tesserati Fiom. Pure contro Leu. Non li hanno mai sentiti vicini nelle lotte. Hanno però visto Renzi in visita al Vico: una sala blindata dove entravano solo quelli che avevano passato il vaglio dell’azienda perché si poteva fare solo la claque. Il 4 marzo si sono vendicati.
I 5Stelle invece hanno sostenuto gli operai?
Abbiamo invitato Luigi Di Maio più volte ma non è mai venuto alle nostre iniziative a Pomigliano. I lavoratori non sanno neppure che faccia hanno gli altri candidati pentastellati ma li hanno votati lo stesso. Vogliono buttare giù tutto e questa è stata la loro occasione, è stato il loro modo di protestare.
Qual è stato l’effetto delle riforme del lavoro del Pd in Campania?
Dall’inizio della crisi, nel 2007, in regione si sono persi circa 400mila posti di lavoro. Una cifra enorme. Quando il governo Renzi ha varato la riforma degli ammortizzatori sociali, eliminando la mobilità e introducendo i 28 mesi di Naspi, spiegava a tutti che grazie anche al Jobs act chi perdeva il lavoro ne avrebbe rapidamente trovato un altro. Al Sud questo nuovo lavoro non lo vede quasi nessuno. Quello che subiscono è una contrazione drastica degli ammortizzatori, l’impossibilità di andare in pensione grazie alla legge Fornero e una miriade di corsi di formazione e Lpu-lavori di pubblica utilità senza alcuna ricollocazione al lavoro stabile. Tutta gente che ha votato in massa i 5Stelle.
ADRIANA POLLICE
foto tratta da Pixabay