Dimenticate il Museo Egizio, il Museo del Cinema, i palazzi barocchi, l’eleganza mitteleuropea di Piazza San Carlo, il Palazzo Reale sabauda Versailles. La Torino del lavoro perduto è quella delle periferie, agli esordi del secolo scorso assai più sperdute di adesso; paesi dentro la città, nati intorno alla fabbrica, grande o piccola che fosse. Si può, si deve andare a cercarla, la Torino del lavoro perduto, seguendo itinerari introvabili su un dépliant turistico perché mai scritti. Si può, si deve andare a cercarla a Nord, nove chilometri in tutto partendo dal quartiere Aurora Valdocco e dallo stabilimento della Nebiolo Fonderie Caratteri Tipografici di via Padova 19.
Dismesso nel 1979 e sede del Ministero della giustizia, direzione sistemi informativi, il complesso è lungo 180 metri e occupa un’area di 35mila metri quadri. Fu costruito nel 1922 su progetto dell’ingegner Ugo Fano. Primo in Europa, utilizzò l’energia elettrica per scaldare le macchine da fusione. La Pastore, una testa di cane lupo il marchio, realizzava serrature, serrande e portoni in via Padova 43. L’edificio, 19mila metri quadri, riempie l’isolato tra corso Novara, via Perugia, via Padova e via Pedrotti. Dopo il recupero è rimasto a lungo vuoto, in gennaio la decisione di farne una residenza universitaria. Seguendo un percorso un po’ a zig zag, con il vantaggio di entrare nel cuore di Aurora, si sbuca in corso Verona. Al 21 di via Modena, una parallela, corrisponde la palazzina del custode della Società Fonderia Smalteria ed Affini Ballada, che aveva l’ingresso principale in corso Verona 8. La palazzina, miscela di Eclettismo e Art Nouveau, l’AIS, Associazione Italiana Sommelier. Gli architetti Gottardo Gussoni ed Ermanno Vivarelli ampliarono il progetto originale della Ballada, 1906, firmato da Pietro Fenoglio. Autentico innovatore, Fenoglio conferì alla grandiosità delle strutture in ferro caratteri Art Nouveau, appunto, e neogotici.
La prossima tappa offre due gioielli di archeologia industriale. La Fiat Grandi Motori già Ansaldi, Corso Vercelli 46, porta di nuovo la firma di Pietro Fenoglio, e la data del 1891. Gli ampliamenti dal 1905 al 1915 si devono a Giacomo Trucco. La Fiat vi collocò le Officine Grandi Motori nel 1923. Dismessa e lasciata a sé stessa, la OGM si consuma nell’attesa, forse inutile, di un domani. Rimanda alle fabbriche ottocentesche di Manchester la Ansaldi Officine Meccaniche, via Generale Luigi Damiano 15, interamente in cotto, una lunga fila di finestroni protetti da sbarre al pianoterra, tetti a punta con le vetrate in obliquo. Dieci i minuti di cammino dall’Ansaldi al quartiere Parco Dora/ Spina 3, teatro di uno sterminato cantiere aperto nel 2006 grazie ai fondi delle Olimpiadi invernali e non ancora in dirittura di arrivo. L’area, un milione di metri quadri, è ripartita in sette macrozone, corrispondenti agli ex impianti industriali Michelin, Ingest, Fiat Nole, Paracchi, Fiat Ferriere poi Teksid, Officine Savigliano. Un itinerario nell’itinerario, che vede le punte color ruggine del ponte strallato attraversare dal 2011 il fiume Dora. Le Officine Savigliano, corso Mortara 9, oggetto di un’impegnativa opera di recupero, sono uno dei simboli della Torino operaia.
Binari
Nel 1899, vent’anni dopo l’apertura, fu deciso di costruire qui il nuovo stabilimento e ottimizzare così la produzione di materiale mobile e fisso per tramvie ferrovie. L’alto livello di specializzazione delle Officine valse loro le commesse per la copertura dei binari della stazione Centrale di Milano e del Vomero a Napoli. Negli anni ’70 del Novecento la società viene venduta alla General Electric, che nel ’99 fa armi e bagagli. La manica di corso Mortara è occupata da uffici, da un centro commerciale e da un supermercato. Quaranta numeri oltre, spicca, accanto ai campi gioco del Parco Dora, un’immensa tettoia sostenuta da colonne che sono residui, meglio dire reperti, delle strutture della Teksid, chiusa nel 1992. Sotto la tettoia si raduna la comunità islamica cittadina per celebrare la fine del Ramadan, ma anche la folla giovanile ed elettronica del Kappa Future Festival. Nel 1938, in via Foligno 2, Borgo Vittoria, l’architetto bulgaro Nicolaj Diulgheroff intervenne, per conto della stamperia di lamiere SIMBI, su un insieme di edifici già esistenti, realizzando una costruzione a forma di macchina – nave e di impronta tardo razionalista. La Comunità Federico Ozanam ne ha fatto la sua Casa. Inizialmente foresteria per studenti operai, è stata adibita a scuola di cucina e ristorante. Mai avrebbe immaginato, Nicolaj, che sul tetto sarebbe stato impiantato l’Ortoalto, orto urbano di centocinquanta metri quadri. Ulteriore e doppio cambio di quartiere. Gli uffici della Circoscrizione 5, via Stradella 192, Madonna di Campagna, sono stati aperti negli spazi tardo ’800 delle ex Concerie Italiane Riunite, ‘rivisitati’ tra il 1916 e il 1924 dal solito Pietro Fenoglio.
Cinema
La ex Fert produzioni cinematografiche, via Forlì 169, Lucento Vallette, nacque dalla matita dell’ingegner Gino Olivetti ed entrò in funzione nel 1921. I ventiduemila metri quadri comprendevano un teatro di posa, i magazzini, due laboratori, la palazzina degli uffici, cui si aggiunse nel 1924 un secondo teatro di posa. Le attività si fermano nel 1973, e nel 1996 il comune decide di abbattere tutto salvando la sola palazzina degli uffici. Che dal 2001 al 2015 ha ospitato il Virtual Reality & Multimedia Park, moderno epigone della Fert, messo in liquidazione. La Paracchi di via Pianezza 17 faceva parte delle aziende che nella Torino di inizi ’900 cercarono fortuna al di là dell’automobile. Il signor Giovanni, il titolare, preferì mettere in piedi, era il 1901, la prima fabbrica di tappeti italiana. Rimase lì per decenni, ma la concorrenza sempre più pressante dei mercati esteri impose l’addio negli anni ’80. Tra il 2005 e il 2009 la Paracchi è stata al centro di una riqualificazione che ha interessato settemila metri quadri tra uffici, abitazioni e negozi. La Torino operaia non finisce però in via Pianezza. A ovest (quartieri Cenisia Cit Turin, Borgo San Paolo, Pozzo Strada, San Donato) le tracce sono a volte molto esili, altre volte offuscate dall’incuria e da cantieri eterni, altre ancora ben evidenti. Due supermercati hanno preso il posto rispettivamente della FOD Ceramica ligure di via Sant’Antonino 51, architetture di gusto Art Deco, e della Fiat Ferroviaria, primi ’900, corso Rosselli 110. I clienti di un locale notturno in via Beaulard 9 ballano sulle memorie della Orbis Florio, attiva negli anni ’30, in che ramo non è più dato di sapere. La ex Birreria Metzger, via Bogetto 4, edilizia industriale del secondo ’800 cui si miscelarono elementi Art Nouveau introdotti da Fenoglio, mostra l’insegna di un gommista e la targa di una scuola di danza.
Annose impalcature nascondono la facciata liberty della Fabbrica Macchine Nebiolo Officine, via Paolo Borsellino 26, proprio accanto alle OGR, che nel 1971 vide costituirsi uno dei primi Consigli di fabbrica italiani. Il liberty è stile inconfondibile anche della palazzina di corso Regina Margherita 242, dove dal 1937 al 2006 si stabilì la gloriosa Ditta Pastiglie Leone. All’interno e dietro la palazzina, l’ennesimo complesso residenziale. Buona sorte, grazie al restauro conservativo, ha avuto la FIP, Fabbrica Italiana Pianoforti, di via Vigone 80, che il progetto di Enrico Bonicelli, 1917, sviluppò su cinque piani anticipando le architetture della Città di Adriano Olivetti. Il Comune l’ha destinata alla Soris, la Società Riscossioni. Ultimo indirizzo la scuola elementare e asilo nido Eduardo De Filippo, via Fossano 16. Bambini e ragazzini studiano in quello che fu l’impianto della Ditta Richiardi – Vorwerk & Sohn per la produzione di tessuti, e in seguito succursale della Paracchi, costruito in cinque anni dal 1889 e tutto in mattoni rossi. A Sud, il Campus Universitario Luigi Einaudi, Lungo Dora 80, quartiere Vanchiglia/ Vanchiglietta, nasconde i gasometri e qualche residuo delle costruzioni dell’Area Italgas, sorta nel 1856 con il nome di Officina Vanchiglia. Le trasformazioni, le bombe, gli smantellamenti se la sono portata via. L’Art Nouveau si riaffaccia in via Bisalta 9, Millefonti Lingotto, nell’ex Pastificio Italiano, 1907, pioniere delle strutture torinesi in cemento armato. Gli interventi del 2004, effettuati con il passaggio di proprietà all’Hotel AC, hanno riportato alla luce le finestre e le lesene delle facciate, e valorizzato la vecchia ciminiera. Nel secondo dopoguerra il Pastificio venne acquistato dalla Carpano Vermouth, ormai allo stretto nella casa madre di via Nizza 224, di fronte al lato nord della Fiat Lingotto. La storica sede del celebre aperitivo, alambicchi e cisterne compresi, appartiene dal 2007 a Eataly, l’impero del cibo buono (e caro), governato da Oscar Farinetti, monarca assoluto. Ma, come si usa dire, questa è davvero un’altra storia.
LUCIANO DEL SETTE
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